Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 12 ottobre 2015

Lo stato di ebbrezza, incontro con Valerio Varesi

Gli Itineranti incontrano Valerio Varesi per discutere de Lo stato di ebbrezza. Ultimo libro di una trilogia storico politica del nostro Paese. Il protagonista è Domenico Nanni, giornalista. Uno che non si è fatto scrupoli ad arraffare tutto ciò che poteva. Orfano, cresciuto dalla madre che si è sacrificata oltremodo per garantirgli un futuro. Ma ci sono gli anni ottanta e Domenico entra nell’ubriacatura generale fino a quando, a quasi sessant’anni, non gli arriva un rigurgito di coscienza che ci fa vedere ‘un unico color di buio come il canarino cui coprono la gabbia’.
Lo stato di ebbrezza è un romanzo storico?
Tutto quello che è passato è romanzo storico. Gran parte della letteratura è storia perché parla del vissuto. Poi, per definizione è quello che si propone di raccontare un’epoca. Questa, di cui parlo in questo libro, è materia viva che deve essere ancora raccontata.
È satirico?
 
Io uso il grottesco. Il registro più comico è il grottesco. Ci sono situazioni tragicomiche, tipo l’episodio con cui chiudo il libro. La mozione Paniz. L’Italia ha vissuto una situazione molto comica, tragicamente comica.
Domenico Nanni, il giornalista, sei tu?
Nanni è più vecchio di me. È giornalista per un breve tratto della sua vita. Poi è pierre, è colui che vende fumo. È il prototipo di un certo tipo di persone che hanno convertito il loro talento occupando un posto nel mondo.
E Susanna, chi è?
Susanna è una ragazza all’inizio spregiudicata. Capisce subito che bisognava infiltrare il potere. Cosa che alla fine la rende disperante.
Per questo si lasciano lei e Domenico?
Il loro rapporto è figlio di quell’epoca lì. Non c’era l’idea di camminare assieme. Quando lui scopre che lei è così, finisce la magia. Anche lui è alla ricerca di qualcosa.
La rivoluzione linguistica adottata. Sembri un Valerio diverso dai due libri precedenti.
È una rivoluzione necessaria perché racconto il farsesco. Gli anni raccontati hanno perduto di serietà e hanno bisogno di questo linguaggio. Forse gli anni fino agli ‘80 erano di scontri. Dopo abbiamo anni fluttuanti, dal noi all’io, individui a pensare solo in funzione di se stessi. Mi sento un personaggio cangiante. Così La sentenza è un romanzo epico. Il rivoluzionario ha del lirismo diffuso. Avevo bisogno di raccontare con velocità questo edonismo reaganiano. La modalità di scrittura ce l’avevo in serbo, deriva dall’ammirazione per Celine, destrutturando la lingua.
Ti sta pesando?
No, mi fa piacere! È una lingua diversa, ma è quello che volevo. Lo stile racconta un’emozione. Poi, io racconto questa storia per episodi di modo da far pensare subito al lettore ‘dove siamo finiti?’. È un libro surriscaldato. Non è stato facile mantenere questa lingua per trecento pagine.
In altri tuoi romanzi è ben definibile il nemico. Qui dov’è?
Ci sono troppe cose. Nel rivoluzionario c’era la classe operaia, i metodi capitalistici, il mondo era diviso in due. Era tutto più semplice. Oggi, proprio perché i destini sono individuali, succedono tante cose slegate tra loro, apparentemente.  La tragedia di Vermicino forse non era scientemente in ragione della TV annebbiante. Era compassione, ma da lì si capisce che si è svoltato. Inizia la tv commerciale. Si capisce che la tv è la nuova piazza virtuale.
Commuove più la parola o l’immagine?
Nel caso di questo voyeurismo delle tragedie c’è una sorta di esorcismo. Per esser certi di essere diversi, tutti noi abbiamo dentro un mostriciattolo. L’immagine.
Tutto molto agghiacciante. Si è salvato qualcuno?
Non è stato facile trovare la chiave del forziere Berlusconi. L’abbassamento del gusto non ha generato una generazione di politici. Prima erano colti, i parlamentari. Vent’anni di berlusconismo hanno prodotto questo. Oggi, poi, i ministri renziani sono ventriloqui di Renzi. Forse l’unico che si salva è Padoan. L’economia in mancanza di idee vince. È una crisi culturale.
È la generazione degli anni ’50 che ha prodotto tutto ciò?
Sì, questa generazione è stata encomiabile per sacrificio. Ci han fatto diventare la sesta potenza del mondo. Poi, dopo si è solo consumato. Renzi sbaglia a contrapporre le generazioni. Dal punto di vista sociale i nonni sono il welfare dei giovani.
Che cosa succede a Domenico ad un certo momento?
Nanni arriva ad una conclusione. Questo mondo che lui ha contribuito a creare è una sua sconfitta e una sua vittoria. Sposa una ciellina perché nella vita bisogna avere punti di riferimento. Ho scelto i cattolici più incistati appositamente. Questa ragazza diventa necessario punto di riferimento. Capisce, grazie a Corlaita, che ci vuole disciplina a questo mondo. Che guizzare da tutte le parti non serve. Bisogna trovare società gregarie.
Questo finale era da imboccare?
Il finale è il delirio. Scomparsa della realtà. La stessa cosa che è accaduta nella finanza. Denaro inventato con un clic. Si poteva creare denaro anche senza averlo. Una economia sul niente. Un artificio. Il contrario della madre di Nanni.
Perché non hai dato delle speranze?
La speranza nasce successivamente quando hai fatto i conti con la realtà. È una crisi economica. Bene. Se quella ricetta economica ha fallito (il liberismo economico) perché reiterarlo? Quale speranza c’è se continuiamo a riproporre lo stesso meccanismo? Oggi ci sono solo delle allergie, questo sì. Podemos, Syriza, altri. Fame di reazione che però non sono ancora alterità.
La sensazione è che è stato tutto troppo. Si fa fatica a leggere. Lascia l’amarezza del niente. Pensi di aver fatto un’operazione che porti qualcosa per il futuro ai tuoi lettori?
Volevo dare una scossa elettrica. Mi piace anche il giudizio negativo, nel caso. Fa riflettere. Avrei voglia di libri. M’impegno e cerco di fare bene il mio mestiere. Cerco la verità. Non mi pongo il problema di un libro che mi debba dare speranza. Ma il finale de Il rivoluzionario vale ancora. Quella fiammella lì, qualcuno la prenderà. Il fatto che in giro ci siano otto milioni di poveri peseranno pure politicamente..
Valerio, ma li facciamo quattro amici al bar?
Ci sto.