Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

martedì 22 febbraio 2011

Il Silenzio del Trombone di Guido Leotta

Tutto qua, recita la dedica sulla mia copia. Ma non è tutto qua. La vita non è una frase monca. Anche quando siamo in tanti, ombre nell’ombra. Quando la parola è contraffatta perché un traduttore pazzo usa dei sostantivi diversi per un uguale silenzio e qualcun altro svilisce il sentimento ché ha un solo zero in fondo. Quando i senzadio perseverano nel peccato e nell’impotenza del padre assolutore. O quando il lavoro non piace e nessuno si accorge di un’assenza. E neanche quando infreddoliti accendinisti si sfregiano per questioni di spazio e quote di mercato. Anche quando il rimpianto è di qualcosa neanche mai sfiorato e una fetta di cocomero basta per dissetare l’arsura del cuore. La vita non è una frase monca, no. Persino se la cravattona indossata pende verso la trave maestra, in direzione sbagliata. Non è monca perché presi da soli abbiamo dei nomi normali ma insieme ad altri possono formare un’anima.
Le note non muoiono mai, al massimo suonate sbagliate o restate silenziose nella campana del trombone.

venerdì 11 febbraio 2011

11.02.2011

Eccola la data speciale di questo anno, il palindromo numerico. Che non è solo curiosità per gli appassionati di matematica. È anche curiosità per gli appassionati e basta. E voi direte: che c’entra in questo blog la palindromica data o come diamine si chiami?  Bene. Guardate il logo, per favore, ideato da me. Due tomi rossi e undici tomi grigi, in alcuni casi tomini. Undici e due sono le coppie di cifre del nostro palindromo. Undici e due sono i libri della pila. Undici e due sono i Marinelli. Io sono appassionata di numeri ma soprattutto sono appassionata e basta. Per la mia libreria avevo scelto il mio nome, quello che per prima era stato di mio padre. Poi avevo scelto di rappresentarlo, quel nome. Alcuni mi chiedevano se la scelta dei 13 tomi fosse legata alla fortuna…ossignore! Non sono superstiziosa, ho preso anche un aereo di venerdì 17, e in quanto a fortuna. Altri desumevano pure la scelta del colore rosso dalla dea bendata. Del grigio non ne venivano a capo. Invece, pensate gli appassionati e basta  cosa si possono inventare: che il nome è l’origine, l’origine è il sangue, il sangue è la famiglia. Marinelli. Per chi è curioso: tra i tomi grigi sarei la terzultima verso l’alto. Lo so mi sono fatta un po’ più grande ma, come direbbe il commissario Colajacono dell' Inverno Dispari, e qui siamo in inverno di un anno dispari per l'appunto, perché limitarsi, quando si sogna? Ancora lo so. Volete sapere del grigio. È la distanza che pure sempre mi lega alle mie origini.

mercoledì 9 febbraio 2011

Un Inverno Dispari di Franco Foschi e Guido Leotta

Avevo voglia di camminare stasera. Quando sto pensando troppo faccio così, cerco di stancarmi, e quindi può capitare che attraversi la città senza neanche accorgermene approfittando d’un pomeriggio primaverile finito nel mazzo d’un inverno. Dispari.
Prima di arrivare in sede, dalla vetrina di un bar vedo Lorenzo e Luisa. Lui è rilassato, lei sta scoprendo l’assassino. È lì infatti a leggere le ultime pagine del libro, colta il flagranza di reato. Sorridiamo, beviamo qualcosa e raggiungiamo gli altri, Alberto, Maria, Mirca, Chiara e Katia. Abbiamo iniziato da poco quando sopraggiungono anche Letizia e Rosanna.
Cominciamo dalle debolezze, secondo Lorenzo, del nostro commissario e di quali motivi abbiano potuto avere gli autori di descriverlo così, sminuendolo. Noi donne, se c’è un uomo che ci piace, è proprio quello ‘debole’, ahinoi, così in coro ma con la voce di Maria quasi lo sbraniamo, Lorenzo, per controbattere, ché invece fa tenerezza il commissario turbato, tenace però e senza compromessi, dove il turbamento può solo arricchire il personaggio e divertire il lettore. Eppoi, Lorenzo, su dai, non può colpirci la moralità di questi tempi! Nessun ammiccamento alle faccende politiche, come pensa Katia per una frazione di secondo. No. Di questi tempi ovvero solo dell’onestà cui siamo arrivati. Già. Invece se c’è una cosa di cui Maria avrebbe fatto a meno nel personaggio sono le frasi latine e quelle corsive. Bastava che ce lo dicessero, e una sola volta anche, che Colajacono era un umanista, senza questa necessaria ridondanza di odi ed epodi oraziane. Vi prego, no. Orazio lasciatemelo, a me è piaciuto. E qui, concedetecelo, siamo al terzo ciclo!, facciamo gli smargiassi a stabilire chi ha scritto cosa e siamo quasi tutti concordi nel trovare foschiani i discorsi diretti, detti o pensati, leottini le dissertazioni sulla provincia e quella cosa a pagina centosedici. Quella cosa che Rosanna legge. Prima che la leggesse eravamo quasi tutti convinti che la motivazione delle tre morti potesse davvero essere priva di motivazione. Per Letizia ad esempio solo una pura follia uccidere due persone in maniera precisa e una a caso sebbene la terza contenesse nel nome stesso la motivazione, nomen omen. Per Mirca la motivazione poteva essere semplicemente la banalità del male, germe della solitudine, la chiusura persino geografica d’un posto e non solo mentale. Per Lorenzo le vittime non erano unite e, tranne la prima, sembrano anche non meritare la morte. Forse gli autori ci vogliono lasciare col dubbio che siano coinvolte altre persone, dice Luisa, e la buttano semplicisticamente sulla solitudine. Forse solo hanno lasciato dei buchi, aggiunge Maria. Forse a Lagodiavolo non ci sono le terme, sboccia Chiara, picchiatella degli Itineranti come lei stessa si definisce. Forse...( a differenza di Alberto, io non amo molto i puntini di sospensione ma qui mi occorrono perché la spiegazione che stiamo per ricevere ci ha lasciati sospesi, appunto, in attesa che Guido e Franco la confermino o la smentiscano ). Aspettate ce la spiega Rosanna ora che ha riletto, di nuovo, pagina centosedici. Il mistero si svela qui. Impariamo che a Lagodiavolo sono scesi i barbari che avevano, contrariamente a quanto si possa pensare, un pensiero molto più evoluto con una concezione di altrove felice e senza tempo. Vita e morte si parlano attraverso la musica. E per forza che anche il dio più buono si arrabbia se viene rapito l’arpista preferito! Se c’è una cosa che m’ha sempre colpito degli dei è la vendetta. Non gliene passava una. Pena dunque per la perdita d’un arpista, tre arie. Lamento, Pianto, Sonno. Ecco. Le nostre tre vittime dovremmo collegarle alla rievocazione del mito e del rito. Capita infatti che alcune rievocazioni impregnino di partecipazione gli astanti, capita poi che la partecipazione possa essere così partecipata che il morto ci scappi o che la tarantola ti punga per davvero. È capitato in riti per la Madonna Addolorata o in tarante salentine e uno quasi non se lo spiega. Noi, prima di Rosanna, non ce lo spiegavamo. Dunque Matteo, che uno direbbe il picchiatello assassino di Lagodiavolo, è il Sommo Giustiziere. Che ha aspettato un intero anno per suonare la sua musica e mettersi in comunicazione con il dove o con l’altrove e meschine invidie politiche invece si sono frapposte ad ostacolarla, la comunicazione. Presto arriva la vendetta. Accidenti! Maria però non ci sta nonostante Rosanna l’abbia spiegata benissimo. Non ci sta, avrebbe voluto uno scrittore, due per la precisione, più umile, che creasse il personaggio senza farlo diventare assassino, le dà fastidio lo sfoggio d’un mito così grande in un piccolo paese di piccola cultura. Non ne capisce il motivo. E a me che le dico che forse non lo capisce perché non è una potenziale assassina ( ché certe cose le capiscono solo chi può farle )  risponde che allora io lo sono. Ossignore! Sta’ a vedere che in un inverno dispari, questo del duemilaunidici, ho scoperto che potrei uccidere! Ed io che pensavo di somigliare a Colajacono per via del desiderio etimologicamente siderale; per via di una comunità di paese che mi ha generata e che va alla messa almeno nelle feste comandate; per via di Orazio e del camino; per via di Giovanna e della pazienza; per via di quella cosa bellissima che due frasi mettono in comunicazione senza invadere; per via del dispregio di una casa da ricchi senza neanche un libro; per via della scelta dei numeri dispari; per via di mille pensieri idealisti. Scopro d’avere illusione di purezza. E con questa illusione commetto omicidio senza neppure un morto. Per fortuna che mi chiamo Vita.

mercoledì 2 febbraio 2011

Una Storia di Jazz e la Neve

Non ho mai usato droghe nè fumato una sigaretta in vita mia anche solo per provare. Domenica scorsa però, complice la neve e un incontro fortunato che per una volta, assieme ad una cartella esattoriale impazzita, ti fa ricevere un pacchetto quasi a sorpresa, e complice ancora un fuoco accogliente, l'allucinazione è venuta da sola.  Senza droghe e senza fumi, ché è meglio. Sulle musiche del Faxtet Ferruccio Filipazzi mi racconta una storia scritta da Giampiero Rigosi. A volte interviene anche lui, Giampiero, ché Ferruccio vuole sempre tener banco a raccontare, e sì che ha una bella voce! Altre volte Guido e i suoi zittiscono l'uno e l'altro con decisi arcobaleni di note malinconiche. Io non conoscevo Chet Beker prima dell'allucinazione. E dire che il jazz mi piace, lo ascolto, ho seguito Paolo Fresu in diversi concerti. Può essere che sia stata davvero un'allucinazione, mi perdonerà 'sto Chet, o può essere che io, alla fine, sia solo e ancora abbastanza giovane per dovermi vergognare di non conoscerlo. E mi ha incuriosito il giusto. Il vecchio invece mi ha incuriosito molto, il supplente di Chet Beker per intenderci, quello che suona al suo posto in una serata bolognese zuppa di droga e alcool e chissà cos'altro. Suona e le prende anche al suo posto, ed io, alla fine della storia, resto con la bocca appassita, arsa dalla curiosità tanto che mi verserei un bicchiere di vino con questi personaggi pur di non farli smettere ma, ahimé, insisto nella mia astemia. Ferruccio non parla più e Guido e i suoi amici hanno già smesso di suonare. Fuori nevica ancora.