Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 21 marzo 2016

Guardati dalla mia fame, MIlena Agus e Luciana Castellina

Le parti di questo libro si parlano da lontano. Da lontano perché la distanza tra i fatti e il loro senso è davvero incolmabile. Libro a quattro mani, di autrici molto diverse tra loro. Un fatto di cronaca viene raccontato come realtà nuda e cruda da Luciana Castellina, come romanzo da Milena Agus. Il fatto è quello del 6 marzo 1946, quando, in Puglia, due sorelle di quattro, ignare della fame intorno, incolpevoli degli spari sulla folla, ma colpevoli per storia e classe, vengono linciate. A parlare con me di questa terribile guerra civile che si scatenò, non solo in Puglia, dal ’43 al ’49 ci sono Giovanni, Marco, Sarah, Maria, Marina, Marella, Giuseppina, Annalisa, Elke e Patrizia B. prima, però, ci soffermiamo sulla vita di queste sorelle, che sembrano un corpo unico, chiuse nel loro palazzo.
Per Maria Milena Agus affronta il vero, Luciana Castellina il verosimile. Le sorelle Porro non avrebbero mai potuto immaginare una vita diversa da come la vivevano, erano chiuse. Prigioniere di loro stesse e due volte vittime, perché a nessuno importava di loro e non erano (non sembravano) neanche ricche. Erano avulse dalla realtà, la loro colpa. La colpa di non voler sapere e non volere intervenire. All’interno del racconto della Agus c’è un personaggio narrante che man mano diventa l’alter ego dell’autrice stessa. A cui è venuto il nervoso a parlare delle Porro. Per questo non ci rivela il nome di chi narra, perché è lei stessa , la Agus. Il libro è particolare perché da quello che si legge, secondo Castellina, la folla ha diritto ad una reazione violenta, mentre la Agus non la poteva concepire.
A Marco ha interessato, ma non è piaciuto il tipo di romanzo, come strutturato. La seconda parte l’ha trovata troppo didattica. Le sorelle Porro hanno una consapevolezza ingenua. La loro serenità basata sulla fede, ma fuori dalla realtà, non le ha salvate.
Giovanni ritiene che la parte storica, la seconda, poteva essere messo prima, ma il lettore poteva essere prevenuto. Le due parti sono funzionali l’una all’altra. È indubbio che le sorelle Porro si limitassero ad esistere. Ma non dobbiamo dimenticare, ci dice, che stiamo guardando quella storia oggi, secondo i nostri criteri. Dovremmo vedere le usanze di allora, inquadrarla in quel tempo. Le sorelle Porro sono statiche, la voce narrante si muove solo dentro e solo dopo. Non c’era trasmigrazione. Sebbene progressista, la voce narrante non fa niente finché costretta.
Per Giuseppina le Porro sono quel che resta di una famiglia, di un mondo che è morto. Per sposare un ricco bisognava avere molti soldi. Non tutti i figli erano adatti al matrimonio, ne venivano prescelti solo alcuni o, addirittura, uno solo. Gli altri potevano sposare un povero, dice l’autrice, ma per le sorelle Porro sarebbe stata una vergogna. Sembra, dunque, la morte di una famiglia. E anche se non restava loro molto, la distanza è tale che il popolo non lo percepisce e vede solo il fatto che loro fossero il simbolo della ricchezza. Mi piacerebbe, dice Giuseppina, capire perché la narrante trovi pace nelle Porro. C’è nella Agus qualcosa delle sorelle Porro, qualcosa di profondo che l’ha portata a scriverne. L’ha colpita la museruola. E Di Vittorio che nel comizio non accenna minimamente alla violenza del giorno prima. È qui che la Agus non si trova per niente. La seconda parte è un saggio.
Sarah è d’accordo con Giuseppina, ma una vita grama era di molti ricchi. Non è una invenzione della Agus.
Lavinia non ha finito, ha letto solo la prima parte.
Per Marella l’autrice ha cercato in tutti i modi di trovare una salvazione per le sorelle, invece la narrante risultava loro ostile. Perché le tratta sempre come un essere unico. Come personaggio, le è piaciuta la serva e l’educazione tacita, sebbene la bambina vacilli. La scrittura le è risultata troppo semplice per la prima parte. Mentre la seconda parte è stata noiosa, non c’era bisogno di scriverla.
Annalisa, nei racconti di amici, ha conosciuto un mondo così. Dove il sacrificio di queste donne è tenere il palazzo di famiglia.
Ad Alessandra è piaciuta la prima parte, la seconda no. Le è sembrato un libro di storia.
Bisogna guardarsi dalla fame della gente. Perché questa, la fame, si fa violenza e chiede vendetta.