Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

sabato 24 settembre 2011

Donatella è un fiume

A Vita con immediato affetto, così recita la dedica sulla mia copia. Quell'immediato mi aveva disorientata qualche mese fa. Donatella era stata scelta in una triologia di autrici che in maniera diversa raccontavano del rapporto madre figlia. L'avevo avvicinata alla presentazione all'Ambasciatori qui a Bologna. Ero con Sarah e Nicoletta, qualche sedia più in là Maria e Rosanna. Non mi era piaciuta quella presentazione, non perché la conducesse un altro gruppo di lettura, l'invidia non la frequento spesso. Solo la conversazione si fermava sempre prima di concedersi intima e generosa, le nostre non vogliono essere così. Poi lei, vicina, da sola, è stata disarmante con l'affetto immediato, un numero di telefono e una data d'incontro, mai ridiscussa nelle comunicazioni seguite. Oggi, ventiquattro settembre. Mauro di recente mi ha regalato una schiettezza senza filtri. Non è sempre facile, però non posso non dire che nei giorni appena prima l'incontro ho potuto forse fraintendere delle comunicazioni della casa editrice che tradivano quell'immediato affetto. Non può essere un fiume in secca Donatella, mi son ripetuta. Ancora un frainteso, le cose non dette lasciano spesso lo spazio a che si possa farlo. Così non capisco un messaggio e Donatella pranza da sola al suo arrivo. Sono un fiume in secca. Le ho preso dei fiori, amo riceverne e regalarne, come i libri. Poi lei non lo sa ma ognuno porta qualcosa, è il nostro ringraziamento. Siamo un ruscello o anche un fiume che ha timore di rompere gli argini. La mia acqua porta speranza. La ritrovo all'inizio e alla fine, nel racconto della maternità dell'io narrante, dell'amore che era riuscito a dipanarsi in un bisogno prima, nel pudore poi. Resta secca Donatella. Ci sbatte in viso gli stereotipi dei buoni sentimenti, lei cerca la dualità, dice, la complessità. I buoni sentimenti sono un aspetto parziale della realtà ed è superfluo occuparsene. Integrare nella nostra esperienza aspetti meno accettabili aiuta a crescere. L'acqua di Maria mi da conforto, aggiunge speranza, l'ha trovata nell'inizio uguale alla fine. L'acqua di Lorena la toglie e vi porta disperazione e sensi di colpa. Donatella è lei un ruscello ora dove la figlia ricomincia la stessa storia perché la narrazione è tutto quello che può fare per la madre, l'unica cura che può somministrarle essendo ormai ostruito il canale della fisicità. La figlia non saprà restituire ciò che non ha ricevuto. Il racconto è la cura per lei stessa che ha tradito i valori rurali che l'hanno cresciuta, che pur avendo gli strumenti culturali, perché ha studiato, capisce l'assenza ma non la comprende. Resta la ferita e il senso di colpa, resta la sofferenza nel ricevere una felicità gratuita. Donatella è un ruscello che si ritrae. La mia acqua le porta la favola di Fedro, di un lupo e di un agnello. Torna ruscello e dice che no, forse non è casuale la scelta di quella favola. C'è il lupo, c'è il male, c'è il luogo di morte ma è una favola senza finale, il lupo sparisce e la madre torna con due agnellini dalla Colombara. Non lontano da qui si apprezza già una cascata. L'acqua di Gabriella è impetuosa, porta una figlia che non può imputare alla madre anaffettiva la sua incapacità di emanciparsi dai sensi di colpa e dalle sofferenze, anche quelle dei vitelli, ne esige il riscatto. Donatella è un fiume che sta ingrossando. Chiede in prestito il libro a cercare fiduciosa, lei, l'altro vitello che si salva. L'acqua di Rosanna è deviata, porta spruzzi su racconti funebri e rituali, su radici e identità. Donatella è l'acqua dopo la deviazione. Il racconto funebre è il rituale di separazione. Il racconto in tutte le siuazioni è l'elaborazione più terapeutica. La figlia diviene madre della madre attraverso il racconto. Restituisce la sua dimensione fetale, di conoscenza della voce materna, di suono. Ci svela questa deviazione che all'inizio il libro era stato concepito come racconto riferito solo alla madre poi l'acqua esigeva sempre più momenti di introspezione della figlia. Capita così che le stesse situazioni siano raccontate in maniera diversa. L'acqua di Alberto è una sferzata, curiosa di sapere se le vicende narrate legano Donatella al libro. Donatella sembra rinsecchirsi. Non sa distinguere il vissuto dall'inventato, dal sentito, dal riportato, dal rubato alle vite degli altri. Non è importante la provenienza dei materiali, importante è il processo. L'acqua di Gabriella ha rotto gli argini cercando la ragione della predisposizione ai lati oscuri. Donatella ora è un fiume di vecchi ricordi salvati, che non ripete a tutti, a noi li regala. Il suo è un racconto sofferto, il raffreddore l'aiuta, ma si deve aggrappare. A ventotto anni ha sofferto di attacchi di panico e depressione. E' seguito un percorso analitico e l'incapacità di fare qualsiasi cosa. L'impotenza di riuscire a toccare certi nodi, poiché troppo pericolosi. Scelte assodate ridiscusse. Da quell'esperienza lunga e dolorosa la necessità di voler vedere sempre oltre la facciata, smettendo di accontentarsi di alcune verità consolatorie, di credere di essere felice. Le dispiace possa sembrarci pessimista, si scusa nel dire che la gioia è fine a sé stessa, ma è stato il dolore, più di ogni cosa, a farla crescere. Con coraggio ci travolge dicendo che ora può rimetterci la vita ma sempre vorrà sapere cosa c'è in lei. Il corpo non si ribella a caso. Donatella è un fiume in piena, noi rigagnoli strabordati da quel fiume. Dove necessaria è ormai la modalità di cura, di bisogno, di amore. E se prendersi cura di un genitore, vederne le nudità, destabilizza un figlio, non deve sembrare riprovevole affidarsi ad una casa di cura. Lei lo ha chiesto a suo figlio. Il rigagnolo di Maria porta la stessa richiesta. Ma Letizia resta un'acqua sua, che soffre come di una esclusione su una richiesta così. L'acqua di Nicoletta è provocatoria, vuole la storia e questa richiesta in contraddizione tra di loro. Donatella è il fiume calmo di una madre che può chiedere perché può aver sofferto un'imposizione, oppure semplicemente per pudore. L'acqua ancora schietta di Gabriella aggiunge la possibilità che un figlio non ci sia a prendersi cura di un genitore. L'acqua di Giusy è un torrente che trova riscatto nella malattia. Donatella è un fiume che è quasi arrivato al mare, la malattia è ora occasione di incontro tra madre e figlia, l'ultima opportunità di relazione, una resa dei conti ormai forzatamente rimandata. La mia acqua è come il fiume di Donatella di vecchi ricordi salvati, non una resa dei conti ma il momento più intenso della mia vita nella relazione con mia madre, il suo coma, non solo le mani perpendicolari, ormai l'intero suo corpo. Donatella è un fiume che mi accoglie sincero. Le acque pensose anche di chi è restato accanto come Cinzia, Barbara, Elke, Sarah, come Rebecca e Nazario, Lorenzo, Manuela, Emilia, Paola, stanno ritraendosi portando da diverse parti appunti sulla scrittura, sulle frasi tronche, sui detti impliciti, sul tu spontaneo. E' un fiume Donatella mentre ora legge la gioia di chi lavora nella notte per restare nato. Poi finalmente, in auto, nel tragitto verso la stazione, si getta nel mare.

lunedì 19 settembre 2011

Mia Madre è un Fiume di Donatella di Pietrantonio

Sembra ci siamo salutati ieri, c'è già un'altra estate nel mezzo. Questa sera sceglieremo anche i nuovi autori, sto pensando mentre dalle due torri cammino verso via Lame prima di pensare a Giampiero. Già. Nelle serate di lettura, se attraverso il centro a piedi, mi capita di pensare a lui, forse perché il suo libro finii di leggerlo sugli scalini di San Petronio. Ad un tavolino del bar vicino alla sede ci sono già Chiara, Maria e Rosanna. Chiara non la vedevo da molto, lei sempre sorridente mi mette allegria. Mi chiede se ce la farà a superare l'apprendistato di lettrice pasticciona. Rosanna ha una borsa piena di libri, me ne presta uno, Gli effetti secondari dei sogni, sa che sono una sognatrice di professione. Con Maria abbiamo condiviso una colazione appena qualche giorno fa. Saliamo, c'è Alberto come sempre ad accoglierci. Poi trovo Gabriella, Nara, Lorena, Barbara, Sarah con Nicoletta ed una nuova ospite Elke, Luigi e infine Mercede di ritorno dalla sua maternità. I nomi che vengono proposti per proseguire dopo le letture estive sono tanti, ognuno è bravo ad avere un suggerimento. Gabriella lamenta il limite di autori solo italiani, Maria lo rivendica. Io non mi sento di tradire l'identità che ci contraddistingue come gruppo, poi, dopo l'intervista di Varesi, ne ho preso coscienza più forte e posso solo difenderla. Così la scelta cade su Stefano Benni, in onore di Gabriella che ha bisogno di fare carburante con letture allegre, dice. Gabriella si è avvalsa della facoltà di non finire Mia madre è un fiume, si è fermata a pagina 113. Non ha sostenuto la tragedia crescente che vede morire persino i vitelli e falciare il cane preferito, nessun sorriso della narrante con il figlio Giovanni. Lorena l'ha finito ma non vi ha trovato redenzione né speranza. Le è mancato una conclusione pacifica, l'ha infastidita la troppa educazione al senso di colpa. Maria non si è intristita, forse la prima lettura l'ha stancata, l'ha annoiata la campagna perché lei vivrebbe solo in via Pietralata, in mezzo alla gente. La seconda lettura le è parsa meno ridondante, ha spesso pensato a Rosanna e come lei si sarebbe goduta quel libro impregnato di origini, riti e ricette, poche quest'ultime per la verità. Alla prima lettura le erano sembrate troppe. Nara condivide con Maria. Poi si è anche rivista nel libro, l'ha toccata l'assenza di fisicità come alcune descrizioni di amore non detto, stupende perché vissute. A Sarah è piaciuto il libro, è solo dispiaciuta che questa figlia non si sia resa conto che la madre l'ha amata come poteva. Allora Gabriella incalza dicendo che il lavoro, se questa era la scusante della madre, non può escludere una ricchezza affettiva. Ma stiamo scherzando? è Rosanna a chiederlo, è Rosanna a recuperare brani di estrema affettività, anche di sensualità, fatti di rami di cieliegio, pane e zucchero, di una favola raccontata senza finale perché chi soffre di alzheimer un finale non ce l'ha. Per non parlare della figlia, di questo modo di lenire il dolore della madre attraverso il racconto, di come consapevole o inconsapevole abbia capito che la parola produce e salva più che il toccare fisicamente. La madre è stata un fiume infinito, ha ragione Sarah, le ha dato quello che le poteva dare. Va bene, è il racconto la cura, interviene Alberto, ma perché raccontarle solo cose negative? Rosanna sbotta in un non è vero categorico e torna sul ramo di ciliegio e sulla sensorialità, sulle mani perpendicolari capaci solo di fatiche, l'amore affidato ad altro. Si accende nuovamente Gabriella a controbattere che se ci facciamo delle turbe mentali è solo questione culturale, le madri africane portano in groppa i loro figli e questi vengono su con degli io grandi così, allarga davvero tanto le braccia. Accidenti, che serata! sto pensando quando interviene Nicoletta a dirci che a lei il libro non era piaciuto leggendolo, forse il suo stato d'animo non era giusto, ma questa sera si è accorta che la cupezza che aveva letto è straordinaria e addirittura bella. Prima era solo o troppo distratta dal suo dolore. Chiara è dolcissima, non ti preoccupare, le dice. Anche lei al primo incontro ha dovuto ricredersi e addirittura convincersi che avesse letto un altro libro. A Mercede ha fatto piacere leggere Mia madre è un fiume alla luce della sua recente esperienza di maternità. Non riesce a dire se è un libro speranzoso o disperato ma ciò che l'ha colpita è stato poi il ruolo di madre della narrante, l'immeritatezza di un figlio uscito dalla fabbrica degli angeli per i cattivi pensieri avuti sulla sua di madre. Luigi è arrivato tardi ma giusto in tempo per condividere un po' di Maria e un po' di Rosanna anche se ha trovato faticoso e pesante il modo di scrivere con il tu. Io di mani perpendicolari potrei dire, stasera però ne ho poca voglia. Di odori anche e questo riesco a dirlo. Di sogni mi conoscono tutti, meglio di no. Del rapporto col figlioletto Giovanni mi sono innamorata, vorrei portare i miei figli a fare lo stesso tragitto che facevo da piccola per andare a scuola. La campagna la conosco bene, i suoi lavori e i suoi sudori. Le mucche, se chiedete a Nazario, mi commuovono con i loro occhi grandi e acquosi, ho sofferto per il vitello che non ce l'ha fatta. Poi ho gioito per quello sfebbrato. C'è una pagina in questo libro che potrei aver scritto io, senza togliere nulla a Donatella anzi, come la narrante a sua madre, mi ha restituito un pezzo di vita.