Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 12 dicembre 2011

XY di Sandro Veronesi

Chissà cosa m'aspetta stasera dopo i messaggi ricevuti sulla lettura di XY. A me è piaciuto, l'ho visto come una sorta di riconciliazione tra Fede e Scienza. L'una che cede il passo all'altra e viceversa, o che si affrontano complementari perché, secondo una frase che mi ha colpito e mi ha fatto ripensare veramente a Dio, Questi può essere solo dentro la scienza e non fuori, nell'attualità del mondo e mai contro di essa.

Va bene, sono pronta a Luisa e Lorenzo, Barbara, Chiara e Katia, Elke, Sarah, Giuseppe, Maria e Rosanna. Ci sono anche Manjolia, galeotto fu Carofiglio, e Patrizia, la ragazza della porta accanto.

Dopo la mia riconciliazione parte Maria. A lei la storia così complessa, capace di far venire dubbi, di cercare risposte, di avere voglia, leggendola, di chiamare qualcuno per parlarne, pare una vittoria per l'autore. Esagerato solo lo squalo estinto ma l'ipotesi di Satana o anche Dio che può scatenarsi in forze non umane ma neanche animalesche la trova accogliente. E' il finale quello deludente, troppo aperto. Forse a Veronesi è successo quello che dice Gianrico, che i personaggi spesso si eliminino da soli e la storia si chiuda con qualche tassello mancante. A parte questo la domanda che le è restata è perché sia capitato in quel posto quella sorta di vendetta di Dio. Eppoi, nel caso, di cosa si sarebbe vendicato? Degli incesti forse? A me verrebbe da dire di sì. Poi poteva capitare ovunque. Forse la comunità montana, tranquilla, confinata dal resto del mondo, solo si prestava meglio al racconto come ad insinuare follie, reali e presunte, ed incesti appunto. Pare un sogno lucido generale dove alla fine tutti capiscono che è meglio destarsi, cambiare le cose.

Katia e Sarah non hanno finito di leggere, Barbara non ha fatto in tempo e chiede loro se lo finiranno. Chiede anche se tra don Ermete e Giovanna accada qualcosa. No. Uccelli di rovo non ve ne sono in questa storia. E anzi. La notte che avrebbe potuto far presagire così si rivela la narrazione bellissima di una tentazione che non ha bisogno d'essere ostacolata semplicemente perché a quel prete quella donna non piaceva, non intercettava le sue debolezze.

Chiara il libro l'ha letto e sostiene che per tutto il tempo mi ha pensata per via dei puntini di sospensione, a volte interi dialoghi di puntini.
...... 
Allora è arrivata a pensare che Veronesi avrà la sua teoria dei puntini ma di certo ora a lei non piacciono più.

Lorenzo che ha letto il libro fino alle prime cento pagine dice che non gli è dispiaciuto poiché l'autore è stroardinario nel farti entrare nella mente dei personaggi.

Giuseppe ha letto il libro in maniera molto piatta. A Maria dice che lo squalo ci sta, ci può essere col Demonio. Quello che la storia ci chiede è credere a qualcosa o non credere. Accettare che le cose possano accadere in maniera anche inspiegabile perché semplicemente non si può spiegare tutto.

Per Manjolia il libro è stato difficile da leggere e ciononostante è riuscita a leggerlo senza vocabolario, lei che non è madrelingua italiana. Sostiene che la strage narrata è esasperata in funzione del fatto che, come ha detto Giuseppe, o si crede a tutto o si spiega tutto. Per lei il finale è chiaro. Spesso ci si perde dietro le sciocchezze mentre accadono cose vere, cose gravi. Così è il personaggio femminile, Giovanna, a svegliarsi prima di tutti dal torpore del sogno lucido. La segue poi la comunità dove l'armonia era solo una facciata. A Manjolia è davvero piaciuto come Veronesi abbia usato la storia per trasmettere un messaggio così.

Rosanna non ha finito il libro ma per quel che ha letto l'ha trovato appassionante. Si è chiesta perché l'autore ha sentito il bisogno di scrivere una storia così. Perché vuole dirci che bisogna tollerare l'ignoto? Perché la strage è la catastrofe che può capitarci vivendo? Per dirci che dopo la catastrofe uno pensa che il mondo non sarà più lo stesso e invece il mondo è andato avanti nel mentre lo stesso? Già. Forse il messaggio è appunto che non è tutto possibile o che è tutto possibile. Soprattutto che uno questo discrimine lo deve tenere sempre a mente. Che dare colpe agli altri, agli eventi od anche a sé stessi, ti mette in una posizione paranoica. Resta solo di cambiare rotta allora, avere la capacità negativa del dubbio, non della certezza. Dal dubbio il pensiero riesce a muovere. Dalla follia scaturisce la verità. Che non sempre è detta e non sempre si saprà. Anche di noi stessi. Non sapremo mai tutto ma è sano sentire ancora dolore, portarsi i propri pezzi dentro. E' in questo senso che si riapre la ferita al personaggio femminile, a lei che ha vissuto in ribasso delle proprie possibilità.

Accidenti! penso.

Mi avete convinto a finirlo, dice Barbara.

Ma perché? la ferita c'entra con la storia? chiede Elke.

Non ho trovato tutte queste cose che avete detto voi....Chiara.

Mi avete incuriosita. Il tema sembra interessante, ma la strage potrebbe essere vista come i peccati? Patrizia al suo esordio da itinerante lettrice.

La discussione è stata affascinante, siamo giunti alla fine con la voglia ancora di chiederci quando arriva Nara a farci un saluto prenatalizio e a redarguirci che lei la notte vorrebbe dormire. Ci avventiamo sulla sua affermazione risentiti. Quale orrore? L'invito perenne a consegnarci ad un futuro meravigliosamente ignoto e imprevedibile? Senza paura?

Buon Natale.


domenica 11 dicembre 2011

XY di Sandro Veronesi



Un borgo nella montagna trentina viene sconvolto da una strage efferata. Le vittime muoiono tutte nello stesso momento e nello stesso luogo, ma non allo stesso modo. Ogni morte ha una causa diversa, inspiegabile, come in una ricapitolazione universale, paradossale o sovranaturale. I magistrati e le autorità del governo scelgono di mascherare quelle cause e di ricondurle a spiegazioni rassicuranti per non umiliare la scienza. Non è un giallo, neanche un thriller. Si potrebbe dire sia un romanzo drammatico sulla psiche umana tenuta sotto ricatto dalle paure del mondo. Si potrebbe dire poi sia quasi la narrazione di una riconciliazione tra la Fede e la Scienza. Perché se si osserva solo ciò che si comprende finisce che si esiste solo in ciò che si comprende. Perché Dio può essere solo dentro la scienza e non fuori, nell'attualità del mondo e mai contro di essa.



sabato 26 novembre 2011

Gianrico Carofiglio e Il silenzio dell'onda a Bologna

Caro Gianrico,

Va bene, hai ragione. Il personaggio che si ribella bisogna lasciarlo vivere. Anche il relatore troppo loquace. La soppressione, beninteso, era solo metaforica. Come l'onda del titolo che è sì l'onda reale ma anche il silenzio dell'infanzia, di quella stagione che tutti abbiamo perduto. Fai quasi tenerezza mentre sveli che è nel personaggio bambino che ti sei immedesimato. La storia del cane lo lasciava intuire sebbene il maresciallo, quando sfoggia tecniche investigative, è facile che induca il lettore ad associarlo a Carofiglio magistrato. Dici che è naturale, che se uno ha esperienza diretta di un mondo è facile poi trovarsi quel mondo nella scrittura. Tant'è che un episodio, quasi inverosimile, è accaduto dall'inizio alla fine e te lo raccontò un carabiniere. Tu però sei proprio bravo. La tua scrittura è sempre lieve eppure un po' tramortisce. Concordo con quella giornalista che dice che è proprio come quei vini bianchi siciliani che paiono leggeri, poi invece ti alzi e ti tremano le gambe. Sono restata appena delusa forse, m'aspettavo un Gianrico ironico come quello dell'avvocato Guerrieri in auto col suo cliente sulla superstrada Bari - Lecce. Mi aspettavo una battuta iniziale, sembravi volerla fare, accidenti! ma il relatore, sì che è relatore, relaziona troppo. Diciamo allora che va bene così, è un libro malinconico questo, niente battuta, un romanzo di caduta e riscatto, e quasi diventi serio nel descrivere Roberto e il territorio affascinante di un infiltrato. Affascinante e pericoloso. Ora sì, sei proprio serio nel dire che quando qualcuno è per troppo tempo qualcun'altro poi fa fatica ad essere se stesso. Chiedi se c'è qualche psichiatra in sala e ti viene un sorriso. Non derisorio, no, di chi dallo psichiatra ci va. Un sorriso di compiacimento, di narcisismo intellettuale, sai d'aver scritto bene quella parte. Tu con gli psichiatri ci hai parlato, soprattutto però hai parlato coi pazienti. Grazie, faremo attenzione a parlare con gli scrittori. Pazienti o no. Abbiamo capito che senza che ce ne accorgiamo lui, lo scrittore, potrà infilarsi la nostra storia in tasca, rubarci le battute, descriverci in un episodio. E che regalo quando leggi il pezzo tagliato! Quello di Roberto che si reca in libreria per la prima volta e incontra uno scrittore appunto. Finalmente ci fai sorridere, con malinconia, ovvio. Intascata la storia lo scrittore non ha paura di raccontarla. Dici che scrivere è camminare in una stanza buia, il rischio di farsi male c'è, anche di non sapere se c'è una via di uscita. Ma senza paura. Soprattutto se capita che le parole, battendole sulla tastiera, si infilino nel verso giusto. E tu questa sensazione l'hai avuta nel momento in cui il dottore perde il controllo e sfoga con il suo paziente il dolore per il figlio. Se posso dire la mia, Gianrico, le parole ti si sono infilate benissimo anche nel finale. E' semplicemente bello. Ricordati che me l'hai detto tu che il furto letterario è uno degli strumenti più importanti di chi scrive. Ed io un poco scrivo.

domenica 20 novembre 2011

Gli Effetti Secondari dei Sogni di Delphine De Vigan

Lou Bertignac è un'adolescente con un quoziente intellettivo molto alto. Ma non le piace parlare, ha sempre l'impressione che le parole si dileguino, disertino la verità. Pensa in maniera forsennata, anche al verso di roteazione della lingua in un bacio. Una relazione orale a scuola è l'occasione di un incontro con una ragazza poco più grande di lei che vive per strada. Così le cose infinitamente piccole possono diventare grandi.

mercoledì 9 novembre 2011

La Traccia dell'Angelo e Le Beatrici di Stefano Benni

Chiara è seduta sui gradini dell'ingresso e sta per invirami un messaggio quando le sono apparsa dietro la porta a vetri. Ci salutiamo, mi dice che Barbara non è ancora arrivata e che Katia non verrà. Già. Qualcuno non riesce ad esserci stasera, come Elke che aveva un compleanno, Letizia che non aveva un baby sitter, Alberto che ha l'esame di stato. Tutti gli altri non pervenuti. Arriva Barbara sorridente come sempre, ci apre. Cioè le apriamo il portone e lei apre la sala. Poi arrivano Maria, Lorena, Sarah, Gabriella, Giuseppe, Nara, Lorenzo e Luisa.
So che hanno mugugnato su Benni. Il bello dell'attesa degli incontri è che di tanto in tanto mi arrivano messaggi con l'indice di gradimento della lettura in corso. Sicuramente La traccia dell'angelo è lontana dal Bar Sport di qualche decennio fa, spensierato e gigiolone. A me ha infastidito la narrazione morale o moralista. Ma ho accolto la denuncia del dolore inascoltato o trattato con sufficienza chimica. Mi è piaciuto Gaddo, l'angelo cattivo che non mi sembrava poi così cattivo, mi sono piaciuti i nomi dei personaggi. Uno che si chiama Morfeo e il suo male è l'insonnia è delizioso. Sarah fa fatica a comprendere i libri di Benni, lo preferisce nei racconti brevi. De La traccia dell'angelo le è piaciuto l'inizio perché l'ha riportata al Natale da piccola. Anche a Lorena ha interessato la storia del Natale post cellulare, dove si ha talmente tanto che non si apprezza più nulla. A Maria questo libro, al contrario de Le Beatrici, non è piaciuto. E' scritto bene, sostiene, ma la mette in difficoltà la scrittura che si allontana continuamente da ciò che può toccare con mano. Anche lei ha accolto le denuncia dei farmaci ma non le è piaciuta che sia stata fatta in maniera didattica. Sugli angeli poi ha da ridire. Se deve pensare che esistano vuole che ci siano sempre. Non qualche volta sì, altre no come mi aveva fraintesa. No, no. Per me l'angelo, se è angelo, ci deve essere sempre. E poi anche più di uno, se più di una sono le persone care passate oltre. A Giuseppe non sono piaciuti entrambi i libri. Ha trovato delirante La traccia dell'Angelo. Gaddo lo ha fatto pensare a Il Maestro e Margherita di Bulgakov ma è stata solo un'occasione persa perché solo sfiorata. Le Beatrici non gli è piaciuto perché prova fastidio a leggere pezzi di teatro. Ma i testi delle canzoni sono geniali. A Barbara Le Beatrici son garbate tanto. Lorenzo non ha letto. A Luisa le due letture non hanno trasmesso nulla e non le era mai capitato. Nara ha letto Le Beatrici solo fino a metà. Era passata a La traccia dell'angelo per risollevarsi un po' e alla fin fine non l'ha trovato malvagio. Le ha lasciato persino la speranza che sia stato tutto un sogno e bacia il libro ripensando a Viola di Grado. Gabriella, eccola, lei preferisce la vitalità di Viola di Grado invece ed è risentita con noi perché pensa che le abbiamo contrabbandato i titoli di Benni come letture leggere mentre vi ha trovato solo cupezza. La cupezza di una esperienza personale molto sofferta, di non accettazione della morte, di incapacità di stare al mondo degli occidentali. Maria non ce la fa e chiede se non è un pallino quello che ha della cultura occidentale. No, risponde Gabriella, è solo che la sofferenza così spiattellata non le piace, mancano poi gli strumenti per affrontarla. Io però credo che non spetti a Benni dare gli strumenti. Lui ha raccontato una storia. Una storia di denuncia, siamo tutti d'accordo. Anche una storia incredibilmente d'amore, come ha detto Maria. L'amore per il figlio, riempiendo pagine dense che potrebbero portare ad un dibattito notevole. Lorena in quelle pagine ha sentito l'autore di una voce femminile molto bella, di una sensibilità molto forte. La stessa sensibilità io l'avevo ritrovata nell' Attesa de Le Beatrici, e ne ero rimasta sorpresa.

C'è una frase di non ricordo chi che più o meno recita che la vita è un lungo sogno. La traccia dell'angelo è la vita, episodi della vita. Morfeo è bambino quando scopre la morte. Si diventa grandi quando la si scopre quest'antagonista della vita. Morfeo forse sogna per tutto il racconto. Evita la morte, preferisce la vita.




domenica 6 novembre 2011

La Traccia dell'Angelo di Stefano Benni


Morfeo è grande quando soffre d'insonnia e s'intossica di farmaci. Ma prima, come tutti, è stato un bambino che in una notte di Natale perde i sensi dopo che una vecchia persiana ha deciso di finire la sua vita sulla sua testa. Il racconto si dipana atipico e surreale lontano dal Bar Sport, solo nel mezzo tante caricature a ricordo di quel Benni strampalato. Sembra una storia di denuncia sociale, del disagio di vivere sempre più diffuso, del dolore inascoltato o trattato con sufficienza medica e chimica. Sembra una confessione. Di quel bisogno di vivere con la certezza che la vera gioia è degli scampati. Sembra un'aberrazione della vita quella morte che si insinua inattesa. Un'incapacità tutta umana, gli animali infatti vivono senza morte. Sembra un lungo coma o un lungo sogno mentre la vita, più forte, procede attraversata da angeli. Ma un angelo non c’è sempre. Se no, non è un angelo. La sua prerogativa è che qualche volta arriva e qualche volta ti abbandona. Ecco l’essenza, la traccia dell’angelo.



venerdì 4 novembre 2011

In Libreria, a casa o a cena da amici così fioriscono i club dei lettori di Valerio Varesi

Tutti assieme per leggere, commentare, dibattere e persino recitare. Il mondo dei circoli di lettura bolognesi è quanto mai composito e declina la passione per la pagina in modo molto variegato. L'idea nata da Librerie Coop sostenuta da Repubblica è quella di riunire tutti i club dei lettori, farli emergere dal loro privato per una comune condivisione. Il momento culminante dovrebbe essere un vero e proprio festival dei circoli di lettura nel corso del quale i fruitori delle pagine chiederanno alle stesse Librerie Coop di invitare l'autore preferito per un confrontoche vedrà i lettori nella veste di critici e intervistatori in un rapporto diretto con lo scrittore. Il viaggio tra le congreghe di appassionati del libro prosegue con gruppi che fanno capo a librerie e biblioteche. ( omissis )...mentre è nato da una Libreria di via Riva di reno anche il gruppo Itinerari di Lettura ideato e coordinato da Vita Marinelli che ne era titolare. Marinelli ora non è più libraia, ma il circolo da lei ideato sopravvive e si ritrova nella sede Acli di via Lame. La frequenza delle riunioni è mensile e la formula già anticipa lo spirito del futuro festival: lettura di un libro e invito dell'autore a discutere dell'opera. ( omissis )

martedì 1 novembre 2011

Sono un'Astrobleta


L'insonnia è più feroce se il cielo è stellato. D'estate non dormo mai. Per il caldo, direte. No, per le stelle.

Ho atteso l'autunno ed è arrivato. Ma un cane che abbaia nella notte disturba quello che deve essere il mio sonno poi, se il cielo è limpido, l'ululato è nitido pure quello.

Oggi sono andata dal dottore, credo ormai d'avere le allucinazioni.

Non dormo più, gli ho detto. Un cane disturba il mio sonno.

Allontani il cane, suggerisce.

Dottore, non ho cani.

Sarà quello dei vicini.

Lo guardo stralunata e lui pure. Non sono così scema da andare dal medico se un cane si mette ad abbaiare nella notte. Il dottore capisce il mio pensiero. Ed io il suo. E no, non faccio uso di sostanze stupefacenti. No, non ho mai fumato in vita mia, neanche per provare. La sua bocca resta aperta in una smorfia di parola che continuo con no, non sto prendendo farmaci. E di nuovo no, non ho mai sofferto di allucinazioni. No, non ho altri disturbi. Eppoi no, l'insonnia non mi disturba se proprio devo dirla tutta.

Da quanto tempo abbaia il cane? mi chiede

Ogni notte. In questo periodo abbaia nelle prime ore della notte.

Ma ha la finestra aperta?

La finestra è chiusa, naturale. Fa freddo. Non chiudo le persiane per non sprecare la notte...

...per non sprecare la notte?

Be', sì. Se proprio devo stare sveglia almeno mi guardo le stelle. In questo periodo ci sono le sette sorelle...

...le Pleiadi?

Sì, loro. Ma...

...si ricorda se d'estate il suo cane abbaiasse in orari diversi?

Dottore, le ripeto che non ho un cane.

Certo, certo, il cane che sente intendevo.

Di notte...al mattino. Rabbioso nelle giornate che si sarebbero rivelate le più calde.

Come fa a dirlo con precisione?

Dottore, nel cielo c'è un'opera maestosa che è la costellazione di Orione, se fosse un uomo ne sarei innamorata. E d'estate la si vede al mattino, in autunno la vedo al calare delle notte.

Il Dottore ha un sussulto.

Vita, sa dirmi cos'altro vede nel cielo?

Accidenti! il cane di Orione!

Non soffro d'insonnia e non ho le allucinazioni. Sono un'astrobleta, colpita dalle stelle.
Un Cane abbaia sempre nella mia notte.


domenica 30 ottobre 2011

Il Silenzio dell'Onda di Gianrico Carofiglio



E' di una malinconia commovente l'ultimo libro di Gianrico. Con la voglia di rileggerlo appena finito. La storia è davvero singolare perché si svolge attorno ai sogni di un ragazzino e ad un percorso psicoanalitico di un maresciallo quarantasettenne. Due figure femminili, anche qui una più giovane e una più matura, fanno da traino e scompaiono man mano che si dipanano i ricordi e i sentimenti delle figure maschili. La scenografia è quella della capitale. Banale, si potrebbe dire. Disarmante, invece, nelle lunghe passeggiate e nei luoghi del cinema, visti chissà quante volte, che ancora, però, restituiscono la Roma più bella. Oltre alla storia di rinascita dell'uomo e al mistero onirico del ragazzino, all'interno del libro si trova un delizioso cammeo di riscatto per una giustizia troppo spesso sfiduciata e denigrata, e finalmente la certezza che 'le botte le danno soprattutto quelli che non sanno fare bene gli investigatori'. Il finale del libro è semplicemente bello. Senza poter dire, senza riuscire a dire. Occorre aver letto molti libri per descrivere una sensazione.


mercoledì 26 ottobre 2011

Settanta acrilico trenta lana, lavaggio con capi simili

Una delle regole di un buon lavaggio è che si lavi il cotone con il cotone, la lana con la lana, i misti sintetici con i misti sintetici. Appunto. Claudia è una nuova amica lettrice, eredità modicana della scrittura di viaggio. Certo anche Mauro. E anche Giusy da Udine. E se volete anche Giuseppe, eredità di un'eredità modicana. Claudia però non l'avete vista. Sta partecipando alle letture a distanza e qualche giorno fa ci ha fatto sapere cosa pensa del libro.
Dice che all'inizio non le è piaciuto. Non le piaceva il linguaggio e il tema, le stava antipatica la scrittrice e pure i suoi personaggi, Camelia e Livia. Poi, finito di leggere, sorride, trova che l'autrice sia geniale perché c'è riuscita, a fregarla. Pensa che solo voglia stare scomoda al lettore, dall'inizio alla fine, senza essere simpatica, parlando come deve parlare Camelia che è piena di rabbia e di dolore. Claudia dice che è brava Viola, cavolo se è brava ad utilizzare un linguaggio parlato, attuale, giovane, a volte costruito, a volte immaginifico con le parole giuste. E' brava a far parlare Camelia col lettore, a farlo provocare continuamente, leggendogli nel pensiero le domande, le risposte, i commenti, le critiche. Pungolandolo nella sua posizione comoda, di lettore appunto, ma facendolo entrare a viva forza nello schifo e nell'incubo della depressione, del dolore, dell'incomunicabilità. Della solitudine.
Il tema.
Claudia dice che il tema è tosto e, anche qui, la sconcerta, ma non troppo, la giovane età dell'autrice. La sposa di suo padre è lei, Camelia. E' lei la tradita, la madre è diventata solo la sua rivale. La madre bella, Camelia no. Non è più madre, non è mai stata madre. Riesce ad avere un rapporto con lei, solo nella bruttezza, nei buchi, ma non da figlia, neanche da figlia che si occupa della madre. Il suo rapporto con lei, come quello con Wen o con Jimmy è sempre solo uno specchio di se stessa, di disperata ricerca dell'amore, incontrando solo porte chiuse senza significati espliciti ma sempre rimandati a se stessa: la madre è chiusa nel suo mondo inaccessibile e lontano, Wen non spiega il rifiuto, Jimmy cerca la soddisfazione ad un impulso proprio, usandola come uno strumento.
Claudia ringrazia per l'opportunità di lettura, probabilmente da sola non avrebbe finito di leggere se non avesse avuto un compito da svolgere. Viola ora ha anche questo pregio, di averle fatto dismettere una buona volta i paraocchi e averle dato la spinta a leggere cose diverse, che stimolano sempre molto il pensiero.

lunedì 17 ottobre 2011

Settanta acrilico trenta lana di Viola di Grado

L'incontro di stasera avremmo dovuto averlo una settimana fa. Mercede, per poter esserci, mi aveva chiesto di spostarlo a oggi. E' il diciassette ottobre. Sono un po' restia ma chiedo a Letizia e lei dice uno sguardo che approva, poi con la voce aggiunge 'così ti festeggiamo'. Quando scendo dall'auto in via Calori squilla il telefono. E' mio fratello Nicola. Lo accolgo con '...cos'è il mio compleanno che mi hai chiamata?'. Mi viene da piangere, mi ricompongo un po'. Penso che forse ho sbagliato a portare 'ste due bottiglie, sarebbe bene discutere del libro velocemente e alle nove essere a casa con Rebecca e Nazario. Quando arrivo su ci sono già Maria, Francesca una nuova arrivata, Patrizia al suo secondo incontro, Rosanna, Sarah, Elke, Chiara, Katia, Nara, Gabriella, Lorena, Barbara, Alberto. Mauro che due minuti fa era in autostrada è già qui pure lui e regge un sospettoso involucro azzurro che va a poggiare accanto a mille altri sacchetti sul ripiano accanto alla finestra. Poi arrivano anche Letizia, Lorenzo e Luisa. Con delle piante e altri sacchetti. Chiara fa notare che non è mica un fioraio quel posto, ci si va per le letture. Giuseppe m'aveva detto che veniva ma forse non ce l'ha fatta e non ho il suo numero di telefono, accidenti! Mirca messaggia che non può, Mercede pure, per il bimbo che ha la febbre, Giusy ha la bronchite, Luigi è al paesello. Ma quanti siamo stasera? Tanti lo stesso! Che la festa cominci.
Temo Gabriella e invece stavolta si è divertita a leggere anche se non ha ancora finito. Ha adorato Camelia in tutta la sua cupezza e tenerezza, l'ha commossa la sua fanciullezza. Il suo carattere non patologico, aggressivo ma tollerabile. Lorena condivide ma non la identifica con una generazione. Camelia è uno spirito a sé, unico ed emarginato, che lascia presagire il finale tragico in maniera coerente. Lorenzo invece lo trova gratuito il finale, almeno la madre salva l'avrebbe voluta. Sarah trova la storia troppo costruita. Luisa invece ha pianto a pagina centootto perché è intollerabile che si possa morire ogni giorno vivendo. Di nuovo Gabriella a difendere Camelia, a difendere la vitalità che nonostante tutto sprigiona. No, no, Luisa pensa che lei sia proprio negativa e quando Elke chiede perché prendesse i vestiti dal bidone risponde che la depressione ti fa distruggere le cose belle accentuando le cose brutte. Prendeva dal cassonetto vestiti già brutti deturpandoli ancora. Sarah qui ravvede un qualche autocompiacimento nella bruttezza, alla depressione c'è chi reagisce in maniera diversa. Maria, pure lei, difende Camelia. Non è la morte del padre quanto la reazione della madre a quella morte ciò che disturba la vita della ragazza che pure non rinuncia subito a vivere, si prende cura della madre. Poi entra nella rabbia, rabbia verso il mondo che sfacciatamente va avanti lo stesso. Ma la rabbia è una reazione vitale, non un abbrutimento. Camelia o era pazza o era coraggiosa andando incontro al mondo vestita a quel modo. Forse era solo il suo modo per salvarsi, anche se lei ( Maria ) non si sarebbe intrippata più di tanto con il cinese e le sue chiavi. Ecco Lorenzo, a proposito di vestiti e vestirsi, chiede il perché del titolo. Katia dice che è una metafora. Sì, anche Letizia pensa lo sia. Una metafora sulla vita, molta cattiveria, poca bontà. Fibre sintetiche più che naturali. Fibre sintetiche come l'invidia. Quella che secondo Luisa Camelia ha per la rinascita della madre. Quella ancora che secondo Maria non fa capire alla madre il sacrificio della figlia che aveva persino smesso di parlare come lei e per lei. Acrilico il fatto che la rinascita della madre coincida con l'esclusione della figlia. Rosanna prova a dirci qualcosa di questo filo rosso che lega le due donne, dei buchi, del tentativo ossessivo di Camelia di chiudere quelli esistenti o crearne di nuovi. Di come la bellezza della madre sia mortificante per la figlia, di come poi non vi sia bontà nella bellezza. Elke interviene e prende appunti perché si è scoperta distratta sulla storia dei buchi o comunque non le aveva dato importanza. Dice che in questo gruppo alla fine tutti i libri smebrano interessanti e belli. Comunque buchi o non buchi Maria non trova che la scrittura sia costruita come è stato insinuato. Chiara pensa che forse la storia è potuta esserlo. Gabriella pure lei pensa ad una scrittura spontanea, che denota l'età dell'autrice. I giovani scrivono come pensano, come sentono. Chissà se dopo oggi sono ancora abbastanza giovane, mi sono distratta a pensare. Anche Lorenzo apprezza il tipo di scrittura non inquinata dalle regole e mai volgare persino nel descrivere un rapporto orale. Sono maliziosa a ravvisare un certo interesse di Alberto che non ha letto il libro sull'affermazione di Lorenzo? Sorride. Mauro crede però che il linguaggio innovativo sia un limite perché distrae dalla storia. E dalla tragedia, aggiunge Lorena. Patrizia porta un'eperienza diretta, di una sua giovane familiare che tagliava le cose per essere visibile e distinta. Dice che Camelia non può raggiungere la bellezza, la raggiunge solo imparando il cinese che poi cerca di tatuarsi sul corpo in ideogrammi. Si deturpa il corpo perché può avere solo ciò che è brutto e la madre le appartiene solo se è brutta, solo se torna a morire. Accidenti! questo sì che è un pugno nello stomaco, penso. E ora da dov'è che è spuntato il principe azzurro? chiede Elke mentre Nara si domanda se la mamma avesse visto la figlia col cinese. Mauro trova l'ingresso del principe inverosimile. A proprosito di ingresso, è arrivato Giuseppe! Incrocio il suo sorriso imbarazzato della prima volta. Penso che sto per piangere a vedere tutta questa gente stasera. Conosce Elke, ma ve', direbbe una bolognese! Finiamo la discussione. Ancora Patrizia a proposito di principi inverosimili dice che è proprio la serie di eventi a denunciare l'età e l'autenticità dell'autrice. Maria però trova che l'autrice resta efficace anche quando esagera perché dà l'idea dello stato d'animo della ragazza. Francesca pure lei, così giovane, pensa che l'efficacia ci sia tutta sebbene per lei i pugni allo stomaco siano stati uno dietro l'altro. Letizia implora che si cambi argomento per una prossima lettura. Anch'io. Al di là della potenza e dell'efficacia della scrittura, oltre anche la storia che può essere una storia, forse esagerata, forse che meritava un finale di riscatto, mi ha infastidito la cupezza necrofila che ha spadroneggiato in tutto il racconto, intollerabile per una Vita. Per fortuna s'incontra il cinese leggendo. Una lingua di chiavi che stavano quasi per spalancarle ( a Camelia ) le porte della vita, quella vera.
Mi alzo per andare a salutare Giuseppe e hanno già apparecchiato un sacco di roba sul tavolo dov'ero seduta poco fa. E' spuntata anche una torta al cioccolato con AUGURI VITA che non ha temuto un lungo viaggio Codogno - Bologna. Poi pizzette, dolci, la torta di zucchine di Rosanna, prosecchi, ne stappo uno e, accidenti alla mia astemia che mi rende anche imbranata! s'è versato fuori, lo fermo con la mano e tocco Barbara e Mauro, vicini a me, ché il vino versato porta fortuna. Sto per piangere. Alberto alza un brindisi, tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri cara maestra, grida più forte Chiara, tanti auguri a te. Beviamo. Aspettate. Ho dieci fratelli, dico, ma questo è il compleanno più affollato degli ultimi diciassette anni. Non fai in tempo a distrarti un attimo che ti organizzano una festa nel giorno in cui ne hai più bisogno. Ha avuto ragione Mariapia incontrandoci, la lettura ci rende belli. Siete bellissimi, tutti. Chiara, quest'anno ti promuovo itinerante.
l'unica foto dei miei 37 anni con fiori rossi degli Itineranti
Vita Marinelli

L'ospite d'ottobre di Vita Marinelli

È come ricevere una visita inaspettata. T’affretti a sgomberare la tavola dagli avanzi che la pigrizia ha lasciato lì, anche un po’ la stanchezza e il piacere di sonnecchiare in anticipo sulla notte. Non ha voluto preannunciarsi ma del resto l’ospite è così, che sia di casa, che sia del cuore, solo arriva.

La gente è stanca, parla al telefono, spudorata c’informa della propria vita e di cosa mangerà a cena, sono appena le otto del mattino.

Sale da dietro, non le piace, ma l’autobus si ferma sempre più oltre la fermata. Arriva al centro e sceglie il posto prima della fisarmonica del lungo serpentone.

Sale davanti, di solito non fa differenza, ma oggi l’autista è donna. Al centro c’è un posto libero, singolo, prima della fisarmonica del lungo serpentone.

Sta guardando fuori per restare fuori. Torna dentro e gli avanzi dei pensieri vengono scaraventati chissà dove, c’è un ospite inaspettato.

Sta sedendosi sulla sua discrezione quando gli avanzi del pensiero lo lasciano da solo sulla soglia dei ricordi, c’è un’ospite inaspettata.

Impacciato.

Timida.

È sempre triste.

È sempre bello.

È sempre bella.

È sempre triste.

Un bacio è restato indietro di un respiro tra loro. L’ospite è lì. Oltre il respiro e con in mezzo la fisarmonica del lungo serpentone a suonare una melodia silenziosa, malinconica di nostalgia.

Guarda fuori. Resta fuori, ti prego!

Non guarda fuori. Guardami, ti prego!

Ancora la gente parla, non ha deciso per la cena e litiga e spinge e s’affretta all’uscita che tanto tutti si scende.

L’ospite tra un po’ se ne andrà come foglia che cade continuamente e s’adagia su un letto di altre foglie, avanzi d’una estate finita. Scende, anche dal cuore, senza spingere, senza fretta che tanto non si scende mai tutti. Regala un sorriso.

Sorride.

Somiglia a un giorno d’ottobre.

Sorride.

Manca del tempo ad ottobre.

( Scritto su di un autobus di linea 13 un mattino di fine aprile 2010, ve lo regalo per il mio compleanno. )

domenica 9 ottobre 2011

Ti lascio una storia da raccontare di Katia Brentani e Silvia Aquilini



Un romanzo breve, diacronico, con protagoniste due donne appassionate, Carolina e Gemma. La storia è la più semplice e la più antica, d'amore, forte come la morte per la prima, tenace come la vita per la seconda. E' l'anno 2010 e Carolina riposa in una tomba della Certosa bolognese da quasi duecento anni. Il resaturo della sua ultima dimora è l'occasione per Gemma di conoscerla, l'occasione del cambiamento. Il personaggio maschile è un cameo che incide la storia d'amore più antica ed ha il fascino di un romaziere non ancora famoso che a Gemma arriverà col nome di Stendhal. La narrazione è disseminata di aforismi in principio di ogni capitolo, quello che più rappresenta la storia ha la firma di Gramellini e vuole che per fare un passo in avanti bisogna perdere solo un po' l'equilibrio.

sabato 24 settembre 2011

Donatella è un fiume

A Vita con immediato affetto, così recita la dedica sulla mia copia. Quell'immediato mi aveva disorientata qualche mese fa. Donatella era stata scelta in una triologia di autrici che in maniera diversa raccontavano del rapporto madre figlia. L'avevo avvicinata alla presentazione all'Ambasciatori qui a Bologna. Ero con Sarah e Nicoletta, qualche sedia più in là Maria e Rosanna. Non mi era piaciuta quella presentazione, non perché la conducesse un altro gruppo di lettura, l'invidia non la frequento spesso. Solo la conversazione si fermava sempre prima di concedersi intima e generosa, le nostre non vogliono essere così. Poi lei, vicina, da sola, è stata disarmante con l'affetto immediato, un numero di telefono e una data d'incontro, mai ridiscussa nelle comunicazioni seguite. Oggi, ventiquattro settembre. Mauro di recente mi ha regalato una schiettezza senza filtri. Non è sempre facile, però non posso non dire che nei giorni appena prima l'incontro ho potuto forse fraintendere delle comunicazioni della casa editrice che tradivano quell'immediato affetto. Non può essere un fiume in secca Donatella, mi son ripetuta. Ancora un frainteso, le cose non dette lasciano spesso lo spazio a che si possa farlo. Così non capisco un messaggio e Donatella pranza da sola al suo arrivo. Sono un fiume in secca. Le ho preso dei fiori, amo riceverne e regalarne, come i libri. Poi lei non lo sa ma ognuno porta qualcosa, è il nostro ringraziamento. Siamo un ruscello o anche un fiume che ha timore di rompere gli argini. La mia acqua porta speranza. La ritrovo all'inizio e alla fine, nel racconto della maternità dell'io narrante, dell'amore che era riuscito a dipanarsi in un bisogno prima, nel pudore poi. Resta secca Donatella. Ci sbatte in viso gli stereotipi dei buoni sentimenti, lei cerca la dualità, dice, la complessità. I buoni sentimenti sono un aspetto parziale della realtà ed è superfluo occuparsene. Integrare nella nostra esperienza aspetti meno accettabili aiuta a crescere. L'acqua di Maria mi da conforto, aggiunge speranza, l'ha trovata nell'inizio uguale alla fine. L'acqua di Lorena la toglie e vi porta disperazione e sensi di colpa. Donatella è lei un ruscello ora dove la figlia ricomincia la stessa storia perché la narrazione è tutto quello che può fare per la madre, l'unica cura che può somministrarle essendo ormai ostruito il canale della fisicità. La figlia non saprà restituire ciò che non ha ricevuto. Il racconto è la cura per lei stessa che ha tradito i valori rurali che l'hanno cresciuta, che pur avendo gli strumenti culturali, perché ha studiato, capisce l'assenza ma non la comprende. Resta la ferita e il senso di colpa, resta la sofferenza nel ricevere una felicità gratuita. Donatella è un ruscello che si ritrae. La mia acqua le porta la favola di Fedro, di un lupo e di un agnello. Torna ruscello e dice che no, forse non è casuale la scelta di quella favola. C'è il lupo, c'è il male, c'è il luogo di morte ma è una favola senza finale, il lupo sparisce e la madre torna con due agnellini dalla Colombara. Non lontano da qui si apprezza già una cascata. L'acqua di Gabriella è impetuosa, porta una figlia che non può imputare alla madre anaffettiva la sua incapacità di emanciparsi dai sensi di colpa e dalle sofferenze, anche quelle dei vitelli, ne esige il riscatto. Donatella è un fiume che sta ingrossando. Chiede in prestito il libro a cercare fiduciosa, lei, l'altro vitello che si salva. L'acqua di Rosanna è deviata, porta spruzzi su racconti funebri e rituali, su radici e identità. Donatella è l'acqua dopo la deviazione. Il racconto funebre è il rituale di separazione. Il racconto in tutte le siuazioni è l'elaborazione più terapeutica. La figlia diviene madre della madre attraverso il racconto. Restituisce la sua dimensione fetale, di conoscenza della voce materna, di suono. Ci svela questa deviazione che all'inizio il libro era stato concepito come racconto riferito solo alla madre poi l'acqua esigeva sempre più momenti di introspezione della figlia. Capita così che le stesse situazioni siano raccontate in maniera diversa. L'acqua di Alberto è una sferzata, curiosa di sapere se le vicende narrate legano Donatella al libro. Donatella sembra rinsecchirsi. Non sa distinguere il vissuto dall'inventato, dal sentito, dal riportato, dal rubato alle vite degli altri. Non è importante la provenienza dei materiali, importante è il processo. L'acqua di Gabriella ha rotto gli argini cercando la ragione della predisposizione ai lati oscuri. Donatella ora è un fiume di vecchi ricordi salvati, che non ripete a tutti, a noi li regala. Il suo è un racconto sofferto, il raffreddore l'aiuta, ma si deve aggrappare. A ventotto anni ha sofferto di attacchi di panico e depressione. E' seguito un percorso analitico e l'incapacità di fare qualsiasi cosa. L'impotenza di riuscire a toccare certi nodi, poiché troppo pericolosi. Scelte assodate ridiscusse. Da quell'esperienza lunga e dolorosa la necessità di voler vedere sempre oltre la facciata, smettendo di accontentarsi di alcune verità consolatorie, di credere di essere felice. Le dispiace possa sembrarci pessimista, si scusa nel dire che la gioia è fine a sé stessa, ma è stato il dolore, più di ogni cosa, a farla crescere. Con coraggio ci travolge dicendo che ora può rimetterci la vita ma sempre vorrà sapere cosa c'è in lei. Il corpo non si ribella a caso. Donatella è un fiume in piena, noi rigagnoli strabordati da quel fiume. Dove necessaria è ormai la modalità di cura, di bisogno, di amore. E se prendersi cura di un genitore, vederne le nudità, destabilizza un figlio, non deve sembrare riprovevole affidarsi ad una casa di cura. Lei lo ha chiesto a suo figlio. Il rigagnolo di Maria porta la stessa richiesta. Ma Letizia resta un'acqua sua, che soffre come di una esclusione su una richiesta così. L'acqua di Nicoletta è provocatoria, vuole la storia e questa richiesta in contraddizione tra di loro. Donatella è il fiume calmo di una madre che può chiedere perché può aver sofferto un'imposizione, oppure semplicemente per pudore. L'acqua ancora schietta di Gabriella aggiunge la possibilità che un figlio non ci sia a prendersi cura di un genitore. L'acqua di Giusy è un torrente che trova riscatto nella malattia. Donatella è un fiume che è quasi arrivato al mare, la malattia è ora occasione di incontro tra madre e figlia, l'ultima opportunità di relazione, una resa dei conti ormai forzatamente rimandata. La mia acqua è come il fiume di Donatella di vecchi ricordi salvati, non una resa dei conti ma il momento più intenso della mia vita nella relazione con mia madre, il suo coma, non solo le mani perpendicolari, ormai l'intero suo corpo. Donatella è un fiume che mi accoglie sincero. Le acque pensose anche di chi è restato accanto come Cinzia, Barbara, Elke, Sarah, come Rebecca e Nazario, Lorenzo, Manuela, Emilia, Paola, stanno ritraendosi portando da diverse parti appunti sulla scrittura, sulle frasi tronche, sui detti impliciti, sul tu spontaneo. E' un fiume Donatella mentre ora legge la gioia di chi lavora nella notte per restare nato. Poi finalmente, in auto, nel tragitto verso la stazione, si getta nel mare.

lunedì 19 settembre 2011

Mia Madre è un Fiume di Donatella di Pietrantonio

Sembra ci siamo salutati ieri, c'è già un'altra estate nel mezzo. Questa sera sceglieremo anche i nuovi autori, sto pensando mentre dalle due torri cammino verso via Lame prima di pensare a Giampiero. Già. Nelle serate di lettura, se attraverso il centro a piedi, mi capita di pensare a lui, forse perché il suo libro finii di leggerlo sugli scalini di San Petronio. Ad un tavolino del bar vicino alla sede ci sono già Chiara, Maria e Rosanna. Chiara non la vedevo da molto, lei sempre sorridente mi mette allegria. Mi chiede se ce la farà a superare l'apprendistato di lettrice pasticciona. Rosanna ha una borsa piena di libri, me ne presta uno, Gli effetti secondari dei sogni, sa che sono una sognatrice di professione. Con Maria abbiamo condiviso una colazione appena qualche giorno fa. Saliamo, c'è Alberto come sempre ad accoglierci. Poi trovo Gabriella, Nara, Lorena, Barbara, Sarah con Nicoletta ed una nuova ospite Elke, Luigi e infine Mercede di ritorno dalla sua maternità. I nomi che vengono proposti per proseguire dopo le letture estive sono tanti, ognuno è bravo ad avere un suggerimento. Gabriella lamenta il limite di autori solo italiani, Maria lo rivendica. Io non mi sento di tradire l'identità che ci contraddistingue come gruppo, poi, dopo l'intervista di Varesi, ne ho preso coscienza più forte e posso solo difenderla. Così la scelta cade su Stefano Benni, in onore di Gabriella che ha bisogno di fare carburante con letture allegre, dice. Gabriella si è avvalsa della facoltà di non finire Mia madre è un fiume, si è fermata a pagina 113. Non ha sostenuto la tragedia crescente che vede morire persino i vitelli e falciare il cane preferito, nessun sorriso della narrante con il figlio Giovanni. Lorena l'ha finito ma non vi ha trovato redenzione né speranza. Le è mancato una conclusione pacifica, l'ha infastidita la troppa educazione al senso di colpa. Maria non si è intristita, forse la prima lettura l'ha stancata, l'ha annoiata la campagna perché lei vivrebbe solo in via Pietralata, in mezzo alla gente. La seconda lettura le è parsa meno ridondante, ha spesso pensato a Rosanna e come lei si sarebbe goduta quel libro impregnato di origini, riti e ricette, poche quest'ultime per la verità. Alla prima lettura le erano sembrate troppe. Nara condivide con Maria. Poi si è anche rivista nel libro, l'ha toccata l'assenza di fisicità come alcune descrizioni di amore non detto, stupende perché vissute. A Sarah è piaciuto il libro, è solo dispiaciuta che questa figlia non si sia resa conto che la madre l'ha amata come poteva. Allora Gabriella incalza dicendo che il lavoro, se questa era la scusante della madre, non può escludere una ricchezza affettiva. Ma stiamo scherzando? è Rosanna a chiederlo, è Rosanna a recuperare brani di estrema affettività, anche di sensualità, fatti di rami di cieliegio, pane e zucchero, di una favola raccontata senza finale perché chi soffre di alzheimer un finale non ce l'ha. Per non parlare della figlia, di questo modo di lenire il dolore della madre attraverso il racconto, di come consapevole o inconsapevole abbia capito che la parola produce e salva più che il toccare fisicamente. La madre è stata un fiume infinito, ha ragione Sarah, le ha dato quello che le poteva dare. Va bene, è il racconto la cura, interviene Alberto, ma perché raccontarle solo cose negative? Rosanna sbotta in un non è vero categorico e torna sul ramo di ciliegio e sulla sensorialità, sulle mani perpendicolari capaci solo di fatiche, l'amore affidato ad altro. Si accende nuovamente Gabriella a controbattere che se ci facciamo delle turbe mentali è solo questione culturale, le madri africane portano in groppa i loro figli e questi vengono su con degli io grandi così, allarga davvero tanto le braccia. Accidenti, che serata! sto pensando quando interviene Nicoletta a dirci che a lei il libro non era piaciuto leggendolo, forse il suo stato d'animo non era giusto, ma questa sera si è accorta che la cupezza che aveva letto è straordinaria e addirittura bella. Prima era solo o troppo distratta dal suo dolore. Chiara è dolcissima, non ti preoccupare, le dice. Anche lei al primo incontro ha dovuto ricredersi e addirittura convincersi che avesse letto un altro libro. A Mercede ha fatto piacere leggere Mia madre è un fiume alla luce della sua recente esperienza di maternità. Non riesce a dire se è un libro speranzoso o disperato ma ciò che l'ha colpita è stato poi il ruolo di madre della narrante, l'immeritatezza di un figlio uscito dalla fabbrica degli angeli per i cattivi pensieri avuti sulla sua di madre. Luigi è arrivato tardi ma giusto in tempo per condividere un po' di Maria e un po' di Rosanna anche se ha trovato faticoso e pesante il modo di scrivere con il tu. Io di mani perpendicolari potrei dire, stasera però ne ho poca voglia. Di odori anche e questo riesco a dirlo. Di sogni mi conoscono tutti, meglio di no. Del rapporto col figlioletto Giovanni mi sono innamorata, vorrei portare i miei figli a fare lo stesso tragitto che facevo da piccola per andare a scuola. La campagna la conosco bene, i suoi lavori e i suoi sudori. Le mucche, se chiedete a Nazario, mi commuovono con i loro occhi grandi e acquosi, ho sofferto per il vitello che non ce l'ha fatta. Poi ho gioito per quello sfebbrato. C'è una pagina in questo libro che potrei aver scritto io, senza togliere nulla a Donatella anzi, come la narrante a sua madre, mi ha restituito un pezzo di vita.

martedì 26 luglio 2011

Itinerari di Lettura su Repubblica

Quanto è contagioso quel titolo

mercoledì 29 giugno 2011

Ci vediamo a settembre



Quanto è affascinante una serata con la pioggia? Soprattutto se la serata è di saluto, qualsiasi saluto. Questo è il saluto degli Itineranti a conclusione del terzo ciclo. Arrivo emozionata a L'Orsetto d'Abruzzo in via Pietralata. Con me il fagottino sorpresa che, anche se non è più una sorpresa, tutti aspettano inaspettato come la prima volta. Tutto di corsa, come sempre. Come quest' anno di letture appena trascorso. Il diarietto l'ho ritirato poche ore fa dalla tipografia, finito di impaginare ieri notte. Fortuna che Davorka è bravissima! Quest'anno la copertina è azzurra, cielo limpido. Perché adoro il cielo e poi in omaggio a Mariapia e al suo bellissimo libro. La serata è di quelle piacevolissime dove mangiamo e parliamo bene. Abbiamo solo foto sorridenti. Alberto e Luigi sono strepitosi, Mirca e Gabriele una sorpresa, Gabriella coraggiosa a partecipare dopo un unico incontro e ne sono felice, Lorena s'intende con Alberto, Katia sente la mancanza di Chiara, Maria fa le coccole a Letizia che s'è rotta un braccio, Barbara mi lancia occhiate compiaciute, Rosanna è un po' la padrona di casa orgogliosa, Lorenzo e Luisa si sbeffeggiano ma poi si fanno le fusa, Sarah sta così bene che sembra esserci sempre stata. Gli Itineranti mi hanno fatto un regalo, un diario e una penna. Provo a non farmi tradire dall'emozione nel riceverlo. Lo porterò con me in Sicilia, nel mio viaggio di scrittura. Ora tocca a me. Consegno i diarietti e proprio come la prima volta siamo tutti curiosi di scoprire che numero è toccato ad ognuno. Giuro, solo il Caso mi ha dato il 17. Leggo la conclusione del diarietto così provo ad arginare l'emozione. Lettura fa rima con avventura. Eppure la principale avventura del leggere è il pensiero, qualcosa quindi che non si può prenotare all'agenzia di viaggi. Come ci si avventura in un Libro questo rimane davvero un affare personale. La frase non è mia, com'è ovvio. L'ho trovata nel prontuario che Franco mi ha regalato in occasione della serata da Inverno Dispari quando era primavera da pochi giorni. Trovo che possiamo farla nostra alla fine di questa terza avventura. Poi tutte le migliori avventure vantano almeno una trilogia. Anche se sono ambiziosa e mi prefiguro una serie, una lunga serie. Durante la preparazione del diario spesso sono andata a rivedere i precedenti e mi accorgo che sono cambiati, è vero. Ma mi ritrovo dall'inizio alla fine. Anche se devo ammettere di scoprirmi a giocare sul filo dle pensiero. O a prendere in prestito i personaggi e i loro detti per tradurre un'emozione o un sentimento. E' facile quando chi legge gioca sullo stesso filo. Un bacio, un abbraccio, a settembre. Una pioggia scrosciante ci sorprende, facciamo finta di aspettare che smetta ma non vediamo l'ora di sparpagliarci in strada a danzare con la pioggia. Quando con Sarah arriviamo davanti alla ex Libreria Marinelli siamo completamente bagnate. Ridiamo. 

venerdì 17 giugno 2011

La Vita Accanto al premio Strega 2011

Mi sono commossa ieri. La prima è stata Sarah a inviarmi un sms che esordiva con Grande! Ed è stata lei a darmi la notizia. Poi a sera già inoltrata arriva un messaggio di Katia, Mariapia è tra i cinque finalisti! E poi un tam tam itinerante e non posso che scriverlo anche qui.
La Vita Accanto è tra i primi cinque finalisti del premio Strega 2011, è risultato il libro preferito dai giovani giurati delle scuole e si è aggiudicato il premio Autore dalla 'Dante Alighieri' la società facente parte della giuria del premio. 
Non possiamo che fare il tifo per questo libro bellissimo di cui potremmo dire persino l’anima perché Mariapia ci ha regalato anche quella quando è venuta a trovarci.

giovedì 9 giugno 2011

101esima lettera d'amore (di Vita) per L'amore non si dice di Massimo Vitali

Lettera sul perché della centounesima lettera

( Questa lettera vuole essere un grazie giocoso a Massimo Vitali per aver concluso il terzo ciclo di incontri del gruppo Itinerari di Lettura. Spero d'essere stata all'altezza di Edoardo che di lettere ne ha dovute scrivere ben cento più un'appendice ne L'amore non si dice. )

Cara  Teresa,

lo so, non puoi credere ai tuoi occhi stamattina nello scoprire ancora, dopo tanto tempo, una lettera per te. E non è una raccomandata. I patti sono patti infatti, anche se è passato tanto tempo. Sarebbe come se tu all’improvviso ora mi rispondessi e, potessi anche romperti una gamba, non mancheresti all’appuntamento delle cinque. No, Teresa, la coerenza prima di tutto….le cinque del pomeriggio?
Ti scrivo questa centounesima lettera per due motivi. A proposito: hai notato che va molto di moda cominciare ad elencare i motivi che poi non risultano mai essere del numero annunciato? È come se io ora ti dicessi solo uno dei due motivi per i quali ti scrivo. Detto il primo potresti pensare che il motivo non detto sia perché ora voglio parlarti d’amore. No, Teresa. Mi manchi. Ora dico il primo motivo sennò penserai che era in quello che volevo parlarti d’amore. Da quando non ti scrivo più ho conosciuto un nuovo barbiere. Non che con l’altro non mi trovassi bene ma dopo che avevo deciso di smettere di inviarti lettere ho pensato anche di allontanarmi da tutte le persone e le cose che mi riportavano a te. Poi il nuovo barbiere non mi spiega il taglio mentre taglia. Taglia e basta e ha i capelli come i miei. Non è mica un particolare da poco, Teresa? Così sono certo che tratta i miei capelli allo stesso modo che i suoi, perché forse si sbaglia anche pensando che siano i suoi. Per farti capire è come se all’appuntamento delle cinque ( del pomeriggio ) io mandassi il mio gemello omozigote. T’aspetterebbe pure lui. Insomma questo nuovo barbiere un giorno, chiacchierando, mi parla di un GDL ( gidielle, lo dice così ), che si trova bene in questo GDL, che ci va una volta al mese e che il giorno in cui me ne parla era quella volta al mese. Vieni con me, mi dice. Ed io, per non fare la figura del cretino che non sa cos’è un gidielle, vado con lui. Andiamo in questo posto che poi è una sala, una bella sala con tanti volti del passato appesi al muro, nelle cornici, non come trofei macabri. Mi sento gli occhi addosso, sono una dozzina, non gli occhi ma i propreitari degli occhi. Il barbiere mi presenta e questi non fanno in tempo a conoscere il mio nome che mi devo scansare dalle loro domande. La prima è stata se avevo letto qualcosa. Vedi, Teresa, in che guaio mi hai cacciato? Poi ti spiego. Se tu avessi risposto almeno una volta avrei letto una tua lettera e sarei stato preparato. Al mio imbarazzo negativo è susseguita un’altra domanda. Se avevo scritto qualcosa. Qui, Teresa, ho gongolato per la costanza delle lettere che ti ho inviato e ho sciorinato la mia digressione su come si può restare innamorati senza parlare d’amore. Credo d’amarti ancora. Dicevo: mi ascoltavano tutti attentamente, a tratti ridevano, poi tornavano a domandare, ho dovuto difendermi ma s’interessavano persino ai miei tombini e ai tramonti in tangenziale, poi anche alle banane e ai kiwi ( a proposito non mangio più banane perché mi terrorizza l’idea che possa sporgere dal cesto frutta e mi s’inneschi nuovamente il desiderio di condivisione del problema ).  Ma alla fine abbiamo bevuto e loro hanno pure mangiato. Io e il barbiere siamo andati via che mancava poco alla mezzanotte. Ho salutato questi del gidielle e finalmente uscendo ho preso il coraggio di chiedere al barbiere ( che poi si chiama Massimo ) perché quelle persone composte da una certa Maria, una certa Nara, una certa Letizia, una certa Barbara, una certa Katia, una certa Giuliana, un certo Alberto ed un certo Lorenzo, una certa Sarah, una certa Nicoletta, una certa Cinzia ed una certa Vita ( che poi sarebbe Vera anche se si chiama Alessandra ) si definivano gidielle. Tu pensi sia per brevità,Teresa?  Perché sono avari di parole e un solo nome fa per tutti? Accidenti, no! Ti assicuro che non sono avari quanto a parole. GDL sta per gruppo di lettura. Mi sono sentito un pesce fuor d’acqua e, con tutto l’amore che non dico ma che sento, ora ti sto scrivendo ( eccolo il primo motivo ) per dirti che la colpa è solo tua ma puoi sempre rimediare.
Edoardo   


lunedì 30 maggio 2011

Il Verso di Vita (dopo aver incontrato Luca Ciarabelli)

L’idea di accettare l’invito di un gruppo di lettura se la sarebbe ricordata come il vezzo più strambo mai concepito, neanche durante la stessa stesura del libro discusso. Per due motivi: uno perché questi, questi del gruppo, potevano essere dei pazzi davvero, due, se pure non fossero stati pazzi erano in ritardo e neanche uno straccio di telefono.
Por Dios! Metti in mostra quel sole nero se non vuoi aspettare sulla panchina fino a domani. Domani è un altro giorno e avremo da fare qualcos’altro!
La vocecita aveva ragione come sempre, Vita riconobbe Luca dal sole nero. Da quando un suo amico argentino gliel’aveva regalata quella piccola fatina consustanziale che ammorba chi la possiede lui non ne poteva più fare a meno di ascoltarla  ed era diventata un personaggio alla stregua di quelli veri tra i pesci d’oro.
Il ragazzo si sentì svuotato di tutta la vivacità intellettuale che aveva raggranellato alla biblioteca classense di Ravenna non appena le domande fioccarono come dardi infuocati, non riusciva ad immaginare come quei semplici lettori itineranti potessero aver concepito finanche di chiedergli se ce l’avesse con Freud, se fosse più affezionato al primo o al secondo libro, che poi era il primo, se la follia la conosceva, se la sua fosse una scrittura dissociativa, se Via col Vento fosse stato un trauma infantile, se il libro avesse subito dei tagli, se l’intenzione era di scrivere un libro di denuncia, e quale fosse il suo libro preferito, e quale ancora fosse il luogo preferito per scrivere, e se pensava d’aver raccontato una storia, e il perché d’un finale così nostalgico.
Por dios, esta es mi casa. Quanto tiempo che non sentivo queste voci che conosco, Luca! Li hanno messi in un gruppo di lettura porché andavano in giro a spargere pensieri presi dai libri credendo di seminare lettori e raccogliere itineranti. Non devi ammorbare nessuno, sono tutti ammorbati, Maria, Letizia, Lorena, Mirca, Alberto, Katia, Luigi, Barbara, Lorenzo, Sarah, Vita, devi solo  rispondere, a la mierda!
Luca s’immaginò un paio di forbici dalle lame affilatissime. Zac,le disse, zac zac a te e ai tuoi maledetti sermoni. Tuttavia dovette convenire di rispondere che no, non ce l’aveva con Freud e anzi costui, sebbene di altro secolo era ancora avanti di un secolo, che era più affezionato al secondo libro che poi è il primo perché ha avuto una storia travagliata dopo aver vinto un concorso lucano, che la follia la conosceva avendo lavorato come oss in strutture per malati, che purtroppo l’unica terapia che lui aveva visto alla malattia era stata la sedazione, che sì, Via col Vento l’aveva visto almeno quattro volte, che il libro era molto più lungo e molto più folle nella prima versione, che non voleva scrivere un libro di denuncia, solo l’esigenza di fotografare scrivendo delle immagini mentali, che il suo libro preferito era L’autunno del Patriarca, che sì, il Sudamerica è luogo dove scrive bene, che non voleva raccontare una storia, si era divertito a giocare con le parole lasciando al lettore la facoltà di riconoscerne una, che da romantico adorava i finali con i rimpianti, la sublimazione del romanticismo.


Hombre, chi fa il verso a Marquez riceve il Verso di Vita!

giovedì 28 aprile 2011

Il Paese dei Pescidoro di Luca Ciarabelli

Questa sera molti itineranti lettori sono sgusciati come pesciolini argentei fuori dall’alveo pluviale della lettura ma forse non avevano ben inteso che i pesci erano d’oro e guizzavano in una fontana. Insomma siamo pochi e almeno un paio d’assenti sono stati validamente reintegrati dalla presenza di due nuovi graditi arrivi, Gabriella e Maria che chiamerò Maria piccola per distinguerla dalla Maria, di sempre. Presenti oltre alle due nuove arrivate Alberto, cui faremo un monumento, Maria, Barbara, Lorena, Mirca, Nara e io.
Noi si prova ad iniziare a discutere del nuovo libro ma le nostre vocecitas sono sfacciate e parlano e ancora si entusiasmano per l’incontro avuto con Mariapia. Non riusciamo a prendere la parola e, quando alla fine le zittiamo, loro indispettite all’unisono sentenziano a la mierda, domani è un altro giorno, che ve pasa muchacho, e si vedrà. Bene, siamo ne Il Paese dei Pescidoro.
Maria l’ha letto inizialmente come compito. Poi oggi l’ha ripreso ed ha iniziato a sfogliarlo e si è sorpresa a doverlo rivalutare. Dice che sarebbe restata dispiaciuta se non avesse avuto questa possibilità. Lorena pensa che bisogna prenderlo per il genere che è, un po’ ciarliero, un po’ fantasioso, un po’ inebriato di canapa, l’ha apprezzato per l’ironia. Probabilmente, ribatte Maria, ma la ricerca e la curatezza di alcune frasi, di alcuni termini poco usati e quasi sconosciuti, quasi farebbe pensare che la leggerezza di cui si veste il libro alla prima lettura sia solo apparente. Niente è come appare di foschiana e leottina memoria! Gabriella non si capacita. Nessuno la convincerà che il libro l’avrebbe letto comunque fuori da un gruppo di lettura, lei legge di scrittrici orientali. Ritiene che sia ravvisabile una componente schizoide nel libro e che la pazzia non sia trattata sufficientemente all’altezza di quello che realmente è. L’ultima forma di libertà da un dolore che non puoi più reggere. L’ha infastidita poi la pittura di una pazzia teatrale, ridanciana. È irritata insomma dalla misconoscenza della sofferenza. Maria non ci sta, Cornelio non ha una sofferenza, è un ragazzo frizzante che solo poteva sembrare pazzo, per la sua diversità. Luca – l’autore – è fortunato ad averla dalla sua parte Maria, critica inflessibile e impietosa qual è. Non ci sta perché non pensa che il pazzoide descritto si presenti come una macchietta, poi non si tratta di una pazzia isolante, neanche toglie la forza di vivere in una situazione mortale. Gabriella non si convince, forse un po’ trova geniale il fatto che i personaggi siano normali nella rappresentazione. Non si convince neanche dell’ambientazione fascista. Quasi in coro: ma perché descrive un’anima libera! L’ambientazione è il giusto contraltare al personaggio. Mirca allora interviene pure lei e ritiene che l’autore abbia fatto un excursus molto pregnante di quel periodo storico che ha posto ben in evidenza, pur con la leggerezza, cosa sia potuta essere la propaganda. Quel martellamento continuo che non permetteva di pensare. Maria piccola, reclutata all’ultimo momento, non ha avuto il tempo di leggere ma da quanto diciamo pensa che si possa fare un parallelo col grigiore pirandelliano e con la concezione di fascismo di Camilleri. Nara ha letto il libro velocemente, non riusciva a trovare un filo conduttore ma è restata incantata nel leggere le descrizioni dei rapporti di Cornelio con le donne. Alberto, come sempre di poche parole, dice che la lettura gli è scivolata addosso. Gabriella è li che freme e chiede a Maria se ritiene che sia stata sua la capacità di rivalutazione della lettura o se era insita nello scritto e quindi dell’autore. Maria risponde in maniera precisa che merito di Luca è stato quello di usare una scrittura notevole, non uniforme, con una fantasia incredibile. È stato capace poi di presentare un bestiario umano a cui ci si può affezionare così non se l’è sentita di mollarlo alle prime pagine.
E io? Cornelio mi somiglia molto nei sogni e nei sogni premonitori. Mi somiglia in questa compagna Vocecita che un po’ fa rima e si accorda con Vita. La pazzia descritta leggera non l’ho letta come una deminutio di un dolore. Tutt’altro. E questa voce di denuncia credibile e poi incredibile e toccante che ha chiamato a raccolta colibrì del Sudamerica su una camicia sgargiante senza paura della diversità. Mi sono soffermata a pensare alla paura della diversità. Mi sono commossa ancora sull’amore di Cornelio per Angela trovato per caso che sempre sarebbe dovuto esistere, e quella immagine delicata di pudore in una lavanda intima. La follia sì, ciarliera. Ma spiazzante per quanto normale. E speranzosa. Peccato che la speranza si sia infranta sul finale in una nostalgia incomprensibile. Domani doveva essere un altro giorno.

sabato 16 aprile 2011

La Vita Accanto a Mariapia

Cara Mariapia,
è stato stra-or-di-na-ria-men-te bello questo pomeriggio. Sento arrivarmi una promessa dalla dedica sulla mia copia. Alcuni incontri non hanno bisogno di spiegarsi troppo, senza essersi cercati troppo. Basta un libro alla fine di una rampa di scale in stazione e la Vita è accanto. Se si fosse chiamato Memorie mancate avremmo corso il rischio di mancare l’incontro per un banale vuoto di memoria. Im-per-do-na-bi-le.
Vorrei rendicontarlo in maniera adeguata questo pomeriggio. Vorrei dire a chi non c’era che hai un bel passo veloce; con una voce, sentita solo al telefono prima, che declina perfettamente la tua figura; che hai scelto tu la copertina del libro contrariamente a quel che si dice degli editori, che ti hanno dato proprio l’azzurro come colore preponderante; che non hai dovuto cambiare quasi nulla allo scritto tranne le poesie ma per una tua scelta; che il titolo, sebbene non sia quello originario, è pur tuo. Vorrei dire che i nomi, a parte Rebecca, non sono stati scelti ma il caso, che è l’anagramma del caos, in una sorta di Teogonia dei nomi, li ha generati in armonia coi personaggi; che la zia Erminia si chiama così perché è l’antonomasia delle zie dacché era il nome della zia di una tua amica; che pensi che la poesia sia la scrittura del dolore e del silenzio, per questo l’hai scelta per i diari della mamma; che la bruttezza è solo un confine, si diventa brutti quando finisce un amore ad esempio; che la bellezza invece non ha confini, è la profondità dell’essere; ma che oggi la bellezza è un feticcio tale che il talento deve sgomitare. Vorrei dire che i personaggi non sono reali; che non ci hai messo nulla di autobiografico nella storia, tutto nei sentimenti; che con Rebecca hai in comune gli odori e questo sentire persino le tristezze degli altri che a volte, come fossi una spugna, ti si impregnano nell’anima, troppo forti; che il Dio che hai delineato è dal punto di vista del dolore; che sei credente e Dio c’è ed è potente; che non si può dire però che dia un senso alla vita, non può, fa solo promesse; che il male non è necessariamente l’ultima parola; che al male si può mettere fine; che la santità è altro, è la capacità di non farlo principiare il male, di non farlo propagare poi, come la signora De Lellis, è lei che ha la divinità perché è lei che riesce a interromperlo, il male. Vorrei dire che hai affidato al papà l’inno alla vita perché lui le vite le faceva nascere ma restava nella sua inettitudine perché assorbito dal suo amore per la moglie; che un lettore ha sentito rappresentate in questo personaggio molte sue inettitudini e che tu ti sei sentita in dovere, con lui lettore, di precisare che fosse solo un personaggio letterario; che non credi alla classificazione delle persone negative, grandi dittatori a parte; che Erminia rappresenta l’amore che investe da cui non si può prescindere, la passione che non sceglie di amare o di odiare qualcuno, che accade, sovrasta ed esige d’essere perseguita, e l’unico modo per sottrarsi è sparire; che non è vero che manca la rabbia in questo libro, è Lucilla che la agisce uccidendo il padre. Vorrei dire che degli alunni pronosticavano per il finale un cigno in riscatto del brutto anatroccolo, un suicidio o una morte naturale; che invece semplicemente dici che sono le relazioni che salvano; ci si salva insieme perché spesso c’è chi non ha neanche la voce per chiedere aiuto; che la scelta della musica come talento era per avere una voce che riempisse la casa; che Rebecca è colei che irretisce con la sua bellezza il brutto del mondo che le sta attorno; che Lucilla piace perché dice sempre la verità senza essere cattiva; che al pettegolezzo viene attribuito il fondamento del male e il bene è un giardino di bene-dizione; che i genitori di Rebecca non hanno nomi perché sono omissivi. Vorrei dire che Rebecca è bella perché riesce a fare il massimo che può fare: restare viva e capire, capire più che perdonare; che questa storia ti è venuta fuori un giorno che volevi scrivere ad un amico e invece hai scritto il primo capitolo.
Io volevo scrivere la storia di un bel pomeriggio, mi auguro d’aver scritto ad un’amica.
Buon compleanno.
                                                                                                                                                            

lunedì 4 aprile 2011

La Vita Accanto di Mariapia Veladiano

Sono emozionata perché il libro che discuteremo questa sera, a breve, potremo discuterlo anche con l’autrice, Mariapia Veladiano. E sì che ci abbiamo preso gusto ad incontrare gli autori. Ancora è viva la bellezza dell’ultimo incontro con Franco e Guido e la piacevolissima sorpresa di Giampiero. Non ultima ancora la presentazione dell’ultimo libro di poesie di Guido alla libreria Irnerio appena due giorni fa.
Siamo in dodici. Oltre me c’è Alberto, cui prima o poi gli si dovrà fare un monumento di pazienza e di simpatia e anche di tenerezza. Poi  è tornato il latitante Luigi, baldanzoso come sempre. E Maria e Rosanna, Katia e Chiara, anche lei pecorella smarrita dal lavoro! E Nara e Sarah, due itineranti nuovi nuovi cui abbiamo dato una bella imbeccata con la serata dedicataci da Guido e Franco. Mirca, Barbara e Lorenzo sempre presenti. O quasi.
Inizia Rosanna chiedendoci perché Lucilla parla così. Tutti abbiamo inteso che parla così, col trattino in mezzo, per sottolineare le parole. E l’efficacia nella lettura c’è tutta. Prosegue Rosanna facendo un po’ la sintesi del libro per venire a capo di alcuni punti angoscianti come ad esempio l’episodio nella sala di musica dove tutti abbiamo temuto il peggio. La sospensione dell’accaduto si rinviene nel ritmo del racconto. Rebecca indubbiamente è una bambina danneggiata nei suoi bisogni, danneggiata dalla tara, dalla vergogna, dalle bugie, dalla depressione materna, dai problemi coniugali che certamente i genitori avevano. Rebecca è una bambina con un olfatto acuto, il nostro senso più antico. Secondo Rosanna Rebecca ha riscattato troppo in fretta l’assenza e il silenzio della madre, sostiene che te-cni-ca-men-te non è possibile. Sono sul punto di dire qualcosa di mio personale ma forse lo farò dopo.
Maria ha ritrovato nel libro e in Rebecca una spiritualità profonda al contrario di Mirca che invece è restata sorpresa di aver scoperto tutte le persone di questo libro vuote. A parte l’impetuosità di Lucilla o la bellezza semplice di Maddalena. Maria non è d’accordo. I personaggi, tutti, di questo libro non sono vuoti. Sono solo disperati. Il più disperato forse è il papà, consapevole della sua inconsistenza, della sua incapacità. La mamma non è vuota nel suo silenzio, è solo che la protegge nel silenzio, preferisce non intossicarla coi suoi pensieri, coi suoi detti. Anche la zia Erminia non sembra vuota pur nella sua discutibilità. È piena del desiderio per il fratello, il desiderio non appagato, ed è lei  che fa scoprire a Rebecca e al mondo il dono della musica.
Interviene Katia a fare un parallelo tra le vite di Rebecca e di Lucilla. Questa non ha avuto una vita facile, al pari di Rebecca se vogliamo ma il crinale, come direbbe Guido, la discriminante sta nel fatto che Rebecca non ha sentito l’amore, Lucilla era così avvolta dall’amore che non vedeva grassezza, la sua, né bruttezza, quella che certo aveva Rebecca ma che le era rimarcata dalla presenza di un’assenza.
Ecco di nuovo Mirca. Trova che la bruttezza sia un punto labile per far partire una sofferenza. Ricorda che una sua insegnante una volta le ha detto che bellezza è armonia così…Non siamo d’accordo o quanto meno è una visione romantica ma surreale in un epoca di apparenza, dove il volto probabilmente è il primo biglietto da visita. Maria legge il pezzo dove Rebecca fa notare che ha tutto, ha due occhi, le sopracciglia, il numero giusto delle dita, e così via, ma tutto appena spostato più in là. Di-sar-mo-ni-ca.
Sarah già alla prima serata porta del suo ed io la adoro e ricorda con noi e con tenerezza della sua nonna. Aveva un occhio storto e questa cosa le ha condizionato la vita. Ritoccava a penna tutte le foto per quella aberrazione fisica che era poi sofferenza dell’anima.
Anche Alberto si lascia andare a una confidenza personale raccontando di un suo cuginetto che, deriso per la sua grassezza e soprattutto per la cattiveria dei compagni, è divenuto anoressico.
Torniamo al papà di Rebecca. Il senso di colpa che abbiamo tirato fuori da questo personaggio come causa di impotenza non è condiviso da Sarah. Secondo lei era solo incapace, solo fatto così. Eppure Katia legge un pezzo bellissimo dove a parlare è proprio il papà, di una tenerezza sconfinata, di offerta semplice del suo dolore straziante. Però poi aveva lasciato che sua moglie confondesse quel suo dolore col semplice rancore. Era davvero incapace.
Chiara è restata affascinata dagli elementi presenti in questo libro, dal vento e dall’acqua ad esempio. Nara si è chiesta dov’è finita la zia Erminia. A Barbara è piaciuto moltissimo.
Sì, è un bellissimo libro. Pieno di speranza anche se ho pianto più di Maddalena sul finale, finale che Maria ha trovato sbrigativo mentre io sono si-cu-ris-si-ma che sia proprio quello il suo finale. Bello e semplice. Se ci fosse stata Giusy son certa saremmo state entrambe innamorate del professor De Lellis. Ci fermiamo un po’ a dibattere sul significato della vita accanto. Quale può essere una vita accanto. Una vita d’angolo. Mi sovviene Rebecca della Bibbia. Non sono d’accordo con quanti del gruppo trovino che Rebecca sia irreale quando è incapace di risentirsi, anche con Lucilla e la sua assenza, o quando non prova rancore per suo padre perché già lo capisce o quando infine trova l’amore di sua madre. Mi ha commosso l’amore di una madre ritrovato in un diario. Quando mia madre non c’è stata più toccavo e aprivo le sue cose per risentire l’odore del suo amore. Quando mio padre non ci fu più ero ar-rab-bia-tis-si-ma con lui, tecnicamente pensavo che non sarebbe più accaduto di sentire la sua mancanza. Quando sento l’odore del caffè con la sambuca mi manca terribilmente.