Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

giovedì 28 aprile 2011

Il Paese dei Pescidoro di Luca Ciarabelli

Questa sera molti itineranti lettori sono sgusciati come pesciolini argentei fuori dall’alveo pluviale della lettura ma forse non avevano ben inteso che i pesci erano d’oro e guizzavano in una fontana. Insomma siamo pochi e almeno un paio d’assenti sono stati validamente reintegrati dalla presenza di due nuovi graditi arrivi, Gabriella e Maria che chiamerò Maria piccola per distinguerla dalla Maria, di sempre. Presenti oltre alle due nuove arrivate Alberto, cui faremo un monumento, Maria, Barbara, Lorena, Mirca, Nara e io.
Noi si prova ad iniziare a discutere del nuovo libro ma le nostre vocecitas sono sfacciate e parlano e ancora si entusiasmano per l’incontro avuto con Mariapia. Non riusciamo a prendere la parola e, quando alla fine le zittiamo, loro indispettite all’unisono sentenziano a la mierda, domani è un altro giorno, che ve pasa muchacho, e si vedrà. Bene, siamo ne Il Paese dei Pescidoro.
Maria l’ha letto inizialmente come compito. Poi oggi l’ha ripreso ed ha iniziato a sfogliarlo e si è sorpresa a doverlo rivalutare. Dice che sarebbe restata dispiaciuta se non avesse avuto questa possibilità. Lorena pensa che bisogna prenderlo per il genere che è, un po’ ciarliero, un po’ fantasioso, un po’ inebriato di canapa, l’ha apprezzato per l’ironia. Probabilmente, ribatte Maria, ma la ricerca e la curatezza di alcune frasi, di alcuni termini poco usati e quasi sconosciuti, quasi farebbe pensare che la leggerezza di cui si veste il libro alla prima lettura sia solo apparente. Niente è come appare di foschiana e leottina memoria! Gabriella non si capacita. Nessuno la convincerà che il libro l’avrebbe letto comunque fuori da un gruppo di lettura, lei legge di scrittrici orientali. Ritiene che sia ravvisabile una componente schizoide nel libro e che la pazzia non sia trattata sufficientemente all’altezza di quello che realmente è. L’ultima forma di libertà da un dolore che non puoi più reggere. L’ha infastidita poi la pittura di una pazzia teatrale, ridanciana. È irritata insomma dalla misconoscenza della sofferenza. Maria non ci sta, Cornelio non ha una sofferenza, è un ragazzo frizzante che solo poteva sembrare pazzo, per la sua diversità. Luca – l’autore – è fortunato ad averla dalla sua parte Maria, critica inflessibile e impietosa qual è. Non ci sta perché non pensa che il pazzoide descritto si presenti come una macchietta, poi non si tratta di una pazzia isolante, neanche toglie la forza di vivere in una situazione mortale. Gabriella non si convince, forse un po’ trova geniale il fatto che i personaggi siano normali nella rappresentazione. Non si convince neanche dell’ambientazione fascista. Quasi in coro: ma perché descrive un’anima libera! L’ambientazione è il giusto contraltare al personaggio. Mirca allora interviene pure lei e ritiene che l’autore abbia fatto un excursus molto pregnante di quel periodo storico che ha posto ben in evidenza, pur con la leggerezza, cosa sia potuta essere la propaganda. Quel martellamento continuo che non permetteva di pensare. Maria piccola, reclutata all’ultimo momento, non ha avuto il tempo di leggere ma da quanto diciamo pensa che si possa fare un parallelo col grigiore pirandelliano e con la concezione di fascismo di Camilleri. Nara ha letto il libro velocemente, non riusciva a trovare un filo conduttore ma è restata incantata nel leggere le descrizioni dei rapporti di Cornelio con le donne. Alberto, come sempre di poche parole, dice che la lettura gli è scivolata addosso. Gabriella è li che freme e chiede a Maria se ritiene che sia stata sua la capacità di rivalutazione della lettura o se era insita nello scritto e quindi dell’autore. Maria risponde in maniera precisa che merito di Luca è stato quello di usare una scrittura notevole, non uniforme, con una fantasia incredibile. È stato capace poi di presentare un bestiario umano a cui ci si può affezionare così non se l’è sentita di mollarlo alle prime pagine.
E io? Cornelio mi somiglia molto nei sogni e nei sogni premonitori. Mi somiglia in questa compagna Vocecita che un po’ fa rima e si accorda con Vita. La pazzia descritta leggera non l’ho letta come una deminutio di un dolore. Tutt’altro. E questa voce di denuncia credibile e poi incredibile e toccante che ha chiamato a raccolta colibrì del Sudamerica su una camicia sgargiante senza paura della diversità. Mi sono soffermata a pensare alla paura della diversità. Mi sono commossa ancora sull’amore di Cornelio per Angela trovato per caso che sempre sarebbe dovuto esistere, e quella immagine delicata di pudore in una lavanda intima. La follia sì, ciarliera. Ma spiazzante per quanto normale. E speranzosa. Peccato che la speranza si sia infranta sul finale in una nostalgia incomprensibile. Domani doveva essere un altro giorno.

sabato 16 aprile 2011

La Vita Accanto a Mariapia

Cara Mariapia,
è stato stra-or-di-na-ria-men-te bello questo pomeriggio. Sento arrivarmi una promessa dalla dedica sulla mia copia. Alcuni incontri non hanno bisogno di spiegarsi troppo, senza essersi cercati troppo. Basta un libro alla fine di una rampa di scale in stazione e la Vita è accanto. Se si fosse chiamato Memorie mancate avremmo corso il rischio di mancare l’incontro per un banale vuoto di memoria. Im-per-do-na-bi-le.
Vorrei rendicontarlo in maniera adeguata questo pomeriggio. Vorrei dire a chi non c’era che hai un bel passo veloce; con una voce, sentita solo al telefono prima, che declina perfettamente la tua figura; che hai scelto tu la copertina del libro contrariamente a quel che si dice degli editori, che ti hanno dato proprio l’azzurro come colore preponderante; che non hai dovuto cambiare quasi nulla allo scritto tranne le poesie ma per una tua scelta; che il titolo, sebbene non sia quello originario, è pur tuo. Vorrei dire che i nomi, a parte Rebecca, non sono stati scelti ma il caso, che è l’anagramma del caos, in una sorta di Teogonia dei nomi, li ha generati in armonia coi personaggi; che la zia Erminia si chiama così perché è l’antonomasia delle zie dacché era il nome della zia di una tua amica; che pensi che la poesia sia la scrittura del dolore e del silenzio, per questo l’hai scelta per i diari della mamma; che la bruttezza è solo un confine, si diventa brutti quando finisce un amore ad esempio; che la bellezza invece non ha confini, è la profondità dell’essere; ma che oggi la bellezza è un feticcio tale che il talento deve sgomitare. Vorrei dire che i personaggi non sono reali; che non ci hai messo nulla di autobiografico nella storia, tutto nei sentimenti; che con Rebecca hai in comune gli odori e questo sentire persino le tristezze degli altri che a volte, come fossi una spugna, ti si impregnano nell’anima, troppo forti; che il Dio che hai delineato è dal punto di vista del dolore; che sei credente e Dio c’è ed è potente; che non si può dire però che dia un senso alla vita, non può, fa solo promesse; che il male non è necessariamente l’ultima parola; che al male si può mettere fine; che la santità è altro, è la capacità di non farlo principiare il male, di non farlo propagare poi, come la signora De Lellis, è lei che ha la divinità perché è lei che riesce a interromperlo, il male. Vorrei dire che hai affidato al papà l’inno alla vita perché lui le vite le faceva nascere ma restava nella sua inettitudine perché assorbito dal suo amore per la moglie; che un lettore ha sentito rappresentate in questo personaggio molte sue inettitudini e che tu ti sei sentita in dovere, con lui lettore, di precisare che fosse solo un personaggio letterario; che non credi alla classificazione delle persone negative, grandi dittatori a parte; che Erminia rappresenta l’amore che investe da cui non si può prescindere, la passione che non sceglie di amare o di odiare qualcuno, che accade, sovrasta ed esige d’essere perseguita, e l’unico modo per sottrarsi è sparire; che non è vero che manca la rabbia in questo libro, è Lucilla che la agisce uccidendo il padre. Vorrei dire che degli alunni pronosticavano per il finale un cigno in riscatto del brutto anatroccolo, un suicidio o una morte naturale; che invece semplicemente dici che sono le relazioni che salvano; ci si salva insieme perché spesso c’è chi non ha neanche la voce per chiedere aiuto; che la scelta della musica come talento era per avere una voce che riempisse la casa; che Rebecca è colei che irretisce con la sua bellezza il brutto del mondo che le sta attorno; che Lucilla piace perché dice sempre la verità senza essere cattiva; che al pettegolezzo viene attribuito il fondamento del male e il bene è un giardino di bene-dizione; che i genitori di Rebecca non hanno nomi perché sono omissivi. Vorrei dire che Rebecca è bella perché riesce a fare il massimo che può fare: restare viva e capire, capire più che perdonare; che questa storia ti è venuta fuori un giorno che volevi scrivere ad un amico e invece hai scritto il primo capitolo.
Io volevo scrivere la storia di un bel pomeriggio, mi auguro d’aver scritto ad un’amica.
Buon compleanno.
                                                                                                                                                            

lunedì 4 aprile 2011

La Vita Accanto di Mariapia Veladiano

Sono emozionata perché il libro che discuteremo questa sera, a breve, potremo discuterlo anche con l’autrice, Mariapia Veladiano. E sì che ci abbiamo preso gusto ad incontrare gli autori. Ancora è viva la bellezza dell’ultimo incontro con Franco e Guido e la piacevolissima sorpresa di Giampiero. Non ultima ancora la presentazione dell’ultimo libro di poesie di Guido alla libreria Irnerio appena due giorni fa.
Siamo in dodici. Oltre me c’è Alberto, cui prima o poi gli si dovrà fare un monumento di pazienza e di simpatia e anche di tenerezza. Poi  è tornato il latitante Luigi, baldanzoso come sempre. E Maria e Rosanna, Katia e Chiara, anche lei pecorella smarrita dal lavoro! E Nara e Sarah, due itineranti nuovi nuovi cui abbiamo dato una bella imbeccata con la serata dedicataci da Guido e Franco. Mirca, Barbara e Lorenzo sempre presenti. O quasi.
Inizia Rosanna chiedendoci perché Lucilla parla così. Tutti abbiamo inteso che parla così, col trattino in mezzo, per sottolineare le parole. E l’efficacia nella lettura c’è tutta. Prosegue Rosanna facendo un po’ la sintesi del libro per venire a capo di alcuni punti angoscianti come ad esempio l’episodio nella sala di musica dove tutti abbiamo temuto il peggio. La sospensione dell’accaduto si rinviene nel ritmo del racconto. Rebecca indubbiamente è una bambina danneggiata nei suoi bisogni, danneggiata dalla tara, dalla vergogna, dalle bugie, dalla depressione materna, dai problemi coniugali che certamente i genitori avevano. Rebecca è una bambina con un olfatto acuto, il nostro senso più antico. Secondo Rosanna Rebecca ha riscattato troppo in fretta l’assenza e il silenzio della madre, sostiene che te-cni-ca-men-te non è possibile. Sono sul punto di dire qualcosa di mio personale ma forse lo farò dopo.
Maria ha ritrovato nel libro e in Rebecca una spiritualità profonda al contrario di Mirca che invece è restata sorpresa di aver scoperto tutte le persone di questo libro vuote. A parte l’impetuosità di Lucilla o la bellezza semplice di Maddalena. Maria non è d’accordo. I personaggi, tutti, di questo libro non sono vuoti. Sono solo disperati. Il più disperato forse è il papà, consapevole della sua inconsistenza, della sua incapacità. La mamma non è vuota nel suo silenzio, è solo che la protegge nel silenzio, preferisce non intossicarla coi suoi pensieri, coi suoi detti. Anche la zia Erminia non sembra vuota pur nella sua discutibilità. È piena del desiderio per il fratello, il desiderio non appagato, ed è lei  che fa scoprire a Rebecca e al mondo il dono della musica.
Interviene Katia a fare un parallelo tra le vite di Rebecca e di Lucilla. Questa non ha avuto una vita facile, al pari di Rebecca se vogliamo ma il crinale, come direbbe Guido, la discriminante sta nel fatto che Rebecca non ha sentito l’amore, Lucilla era così avvolta dall’amore che non vedeva grassezza, la sua, né bruttezza, quella che certo aveva Rebecca ma che le era rimarcata dalla presenza di un’assenza.
Ecco di nuovo Mirca. Trova che la bruttezza sia un punto labile per far partire una sofferenza. Ricorda che una sua insegnante una volta le ha detto che bellezza è armonia così…Non siamo d’accordo o quanto meno è una visione romantica ma surreale in un epoca di apparenza, dove il volto probabilmente è il primo biglietto da visita. Maria legge il pezzo dove Rebecca fa notare che ha tutto, ha due occhi, le sopracciglia, il numero giusto delle dita, e così via, ma tutto appena spostato più in là. Di-sar-mo-ni-ca.
Sarah già alla prima serata porta del suo ed io la adoro e ricorda con noi e con tenerezza della sua nonna. Aveva un occhio storto e questa cosa le ha condizionato la vita. Ritoccava a penna tutte le foto per quella aberrazione fisica che era poi sofferenza dell’anima.
Anche Alberto si lascia andare a una confidenza personale raccontando di un suo cuginetto che, deriso per la sua grassezza e soprattutto per la cattiveria dei compagni, è divenuto anoressico.
Torniamo al papà di Rebecca. Il senso di colpa che abbiamo tirato fuori da questo personaggio come causa di impotenza non è condiviso da Sarah. Secondo lei era solo incapace, solo fatto così. Eppure Katia legge un pezzo bellissimo dove a parlare è proprio il papà, di una tenerezza sconfinata, di offerta semplice del suo dolore straziante. Però poi aveva lasciato che sua moglie confondesse quel suo dolore col semplice rancore. Era davvero incapace.
Chiara è restata affascinata dagli elementi presenti in questo libro, dal vento e dall’acqua ad esempio. Nara si è chiesta dov’è finita la zia Erminia. A Barbara è piaciuto moltissimo.
Sì, è un bellissimo libro. Pieno di speranza anche se ho pianto più di Maddalena sul finale, finale che Maria ha trovato sbrigativo mentre io sono si-cu-ris-si-ma che sia proprio quello il suo finale. Bello e semplice. Se ci fosse stata Giusy son certa saremmo state entrambe innamorate del professor De Lellis. Ci fermiamo un po’ a dibattere sul significato della vita accanto. Quale può essere una vita accanto. Una vita d’angolo. Mi sovviene Rebecca della Bibbia. Non sono d’accordo con quanti del gruppo trovino che Rebecca sia irreale quando è incapace di risentirsi, anche con Lucilla e la sua assenza, o quando non prova rancore per suo padre perché già lo capisce o quando infine trova l’amore di sua madre. Mi ha commosso l’amore di una madre ritrovato in un diario. Quando mia madre non c’è stata più toccavo e aprivo le sue cose per risentire l’odore del suo amore. Quando mio padre non ci fu più ero ar-rab-bia-tis-si-ma con lui, tecnicamente pensavo che non sarebbe più accaduto di sentire la sua mancanza. Quando sento l’odore del caffè con la sambuca mi manca terribilmente.