Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 30 novembre 2009

Emmaus di Alessandro Baricco

Ho ancora addosso l’euforia del passaggio di Gianrico e infatti, quando arriva Rosanna in libreria, subito le faccio vedere le foto. Un po’ le dispiace, a Rosanna, di non esserci stata sabato, mannaggia! Ci raggiunge Luigi, sereno, bello, e assieme, loro due, mi precedono alla sede. Io li raggiungo. Ci sono già tutti quelli che ci sono sempre, tranne Lorenzo che arriva poco dopo. Maria, Rosanna, Letizia, Luisa, Katia, Chiara, Luigi, Alberto e io. E poi Lorenzo.
Emmaus. Luigi si era perso la spiegazione del titolo, non la capiva perché ora lui è così bravo come lettore che dal titolo parte, tesse la storia nella sua immaginazione, ma questo titolo gli è risultato difficile. Troppo filosofico. Troppo teologico. Troppo il compiacimento – dell’autore. Emmaus uguale non sapere. Camminarsi a fianco e non conoscersi. Terribile, eppure accade. Katia non trova verosimile questo accadere, soprattutto di una madre, una madre sa. E pensa che la mamma de Il Santo si preoccupi d’altro nella vocazione del figlio. In realtà è che chiede a suoi amici solo perché vuole sapere, conoscere, perché non sa, vuole farsi aiutare da chi lo viveva di più. Il libro sembra sia ambientato sul finire degli anni ’70 quando le differenze sociali erano molto nette, senza contaminazioni, dove in certi ambienti il dolore neanche, sembrava, ci entrasse. A Katia è piaciuta questa descrizione. Io e Maria la troviamo esasperata. Letizia anche, oltre che di denuncia ad una Chiesa a tratti oscura. A Luisa è piaciuto il libro, a Chiara pure. Soprattutto l’io narrante e Andre son piaciuti a Luisa. E giustifica questi quattro ragazzi con le paure dei genitori che, per proteggerli, non permettono loro di vedere davvero le cose come sono. Comincia una discussione su Luca, su Bobby, su Il Santo, su Andrea, sull’io narrante. Luigi pensa che Bobby poteva essere un suo amico, Il Santo non gli è piaciuto. Neanche a me, fin da subito, era troppo irreale. Anche a Maria è piaciuto Bobby, crede sia il più autentico di tutti, rischiando di sbagliare, come farà. Il Santo d’un moralismo bieco.  L’io narrante è difeso solo da Luisa e un po’ da Katia. Alberto crede che qualche passo in più poteva farlo, come Bobby, perché l’importante è fare il primo. Oddio! Come Bobby meglio di no visto che intraprende una strada poco stupefacente. Come Il Santo neanche visto che diventa – o era già? – il peggiore di tutti. E come Luca,  finisce suicida. Andre, bella sì, regina, ma già morta. L’io narrante assiste alla vita, un po’ come Hervé Joncour. Quindi forse è importante come lo fai il primo passo. Vivendo. Senza noia. Non in geometrie chiuse, come ha detto Rosanna. Che poi queste geometrie, è un attimo, incontrano cunei emotivi dando vita alla tragedia. L’incontro/scontro non ha necessariamente il nome di Andre. Certo che no, dice Lorenzo, Andre è lo strumento, i ragazzi usano Andre per sciogliere le loro emozioni. Già. Chissà come sarebbero finiti questi quattro senza la tragedia, chiede Rosanna. Chissà. La linea di demarcazione non è però così netta, o sempre così netta. È certo che una situazione cronica porta delle conseguenze più eclatanti, più definitive. Meglio i picchi emotivi, sostiene Rosanna. Così il malessere di Luca era già in atto, e da un po’, non voglio pensare che si sia ucciso solo perché suo padre non sopporterebbe la sua paternità, strana. Suo padre non avrebbe sopportato la sua morte, come avviene, ed era questo cui doveva pensare, dice Letizia. Mah! Il libro sembra contenere un equivoco di fondo, interviene Lorenzo. Il papà di Luca sembra depresso, Il Santo sembra santo, Andre sembra morta. L’autore ci fa credere così proprio come spesso nella vita ci lasciamo indurre a credere. Ma niente è come sembra, direbbe Battiato. È non conoscersi, aggiungo io. È non scrutare oltre il ciò che sembra, appunto. Quante volte facciamo delle cose che agli occhi degli altri sembrano stranezze? E invece solo esattezze del nostro animo, della nostra anima.  Al povero papà di Luca gli viene affibbiato un pensiero di morte solo perché nel silenzio e nella contemplazione dall’alto trova pace. Sto pensando alle mie stranezze, d’estate fuori con le stelle, d’inverno dentro con il fuoco, ore ed ore. Allora qualcuno potrebbe presumere per me pensieri definitivi come scomparire oltre l’universo o darmi fuoco! No, è solo contemplare in assonanza con la mia anima. Il papà di Luca non era depresso. E Luca non può essersi ucciso solo per non dispiacergli di una possibile paternità, strana. Il suo male c’era, anche prima. Il papà di Luca è tenero, comprende l’assenza dell’io narrante al funerale, lo abbraccia, gli parla, racconta del suo amore, di quando faceva l’amore.  È una persona normale.  Che strano. Era stato il sesso forse a traviarlo, la demonizzazione del sesso, ma di sesso così bello, di amore, l’io narrante non vuole sentire parlare. Che strani che siamo. Come se i nostri genitori fossero asessuati. Ma tutti questi figli, noi figli siamo nati e non saranno stati asessuati allora, i nostri genitori. Gli occhi vuoti della Vergine nelle iconografie, perfezione dell’arte, non sono gli occhi vuoti della Chiesa, imperfetta forse, quando dimentica che il sesso è la comunicazione dell’amore. Quando lo demonizza ed è impuro, non commettere atti impuri, dice. E allora a volte si veste di tuniche perché siano puri. Letizia ci vede una denuncia sottovoce della pedofilia tra i banchi o nelle sagrestie. Mi sta rattristando questo diario, sto pensando troppo. Passiamo all’estetica. Lorenzo chiede se è riconoscibile, Emmaus, come libro di Baricco. Io penso di sì. Ci sono dei ritorni proprio suoi. La bellezza estetica non è certo quella di seta dove è stata ricercata esattamente, ma se ne riconosce lo stesso autore. Rosanna trova che il libro abbia il tenore di una predica togliendo molto alla storia, all'avventura. Già. Solo quando si stacca dalla teologia rivela delle intuizioni profonde. Maria legge.
Ci disarma, infatti, l’inclinazione a pensare che la nostra vita sia, innanzitutto, un frammento conclusivo della vita dei nostri genitori, solo affidato alla nostra cura. Come se ci avessero incaricato, in un momento di stanchezza di tenere un attimo quell’epilogo per loro prezioso – ci si aspettava da noi che lo restituissimo, prima o poi, intatto. L’avrebbero poi ricollocato a posto, formando la rotondità di una vita compiuta, la loro. Ma ai nostri padri stanchi, che si erano fidati di noi, noi restituiamo il taglio di cocci affilati, oggetti scappati di mano. Nel sordo strisciare di un simile fallimento, non troviamo il tempo di riflettere, né la luce di una ribellione. Solo l’immobilità sorda della colpa. Così tornerà nostra, la nostra vita, quando sarà ormai troppo tardi.

La Vita Sinottica

...chi ha iniziato a morire non smette mai di farlo...

( Emmaus di Alessandro Baricco )

sabato 28 novembre 2009

Una Cometa Perfetta, Provvisoria. Gianrico Carofiglio.

Una Cometa Perfetta, Provvisoria.
28 novembre 2009
La cometa
Vita:
Caro Gianrico,
tutti mi stanno dando della pazza per il tuo possibile passaggio – sembri una cometa! – ma me lo confermi almeno un po’?
Gianrico:
Qual'è l’indirizzo? Farei una capatina verso le 6.
Ho tirato a lucido la libreria nonostante tutto il gruppo di lettura fosse diffidente e mi esortasse a non farmi illusioni. Vuoi davvero che Carofiglio passi da te? Sono certa che Gianrico passerà da me, poteva non dirmi nulla della visita a Bologna, noi non lo sapevamo e non lo avremmo neanche saputo probabilmente, e invece è stato lui a suggerire il passaggio sabato pomeriggio. Eppoi: sapete cosa vi dico, uomini di poca fede? Lasciatemi pure da sola così se passa è tutto per me. Continuo a sistemare libri, spolverare, infilo il cestino in bagno, ripulisco la scrivania dai miei mille fogli sparsi, tolgo persino le ragnatele, soffrendo perché io i ragni li lascerei sempre lì dove si son fatti il loro regno per il semplice fatto che chissà quanto ci hanno messo a farlo…insomma, mancano dieci minuti alle sei di pomeriggio. E alla fine arrivano un po’ tutti, persino Angelo che ultimamente era stato un po’ latitante. Passano le sei, sono nervosa ma fiduciosa, gli altri invece dubbiosi e sempre più diffidenti. Mi siedo al mio posto e nell’angolo vicino al bagno scopro un ragno che m’è sfuggito e che di nuovo, pazientemente – che bello! – ricomincerà a far la tela. Mentre giro il capo, distogliendomi dal ragnetto, guardo fuori dalla vetrina e c’è un uomo, alto, che cerca con lo sguardo qualcosa, guarda l’insegna…mi fiondo verso la porta, sono le 6 e dieci circa, gridando ‘eccolo!’. La cometa è passata. Gli apro e lo invito ad entrare ma tanta è l’emozione che lo fermo lì, sulla porta, e la prima domanda che mi viene è ‘sei venuto a piedi?’ pensando solo un attimo prima o nell’attimo dopo se dovevo o avrei dovuto dargli del lei.  Ma io a Gianrico gli scrivo caro, va bene il tu. Si, è venuto a piedi, si scusa del ritardo. Che uomo! Si scusa che non ha neanche sfruttato il quarto d’ora accademico. Gli porgo la mano e mi presento, sono Vita. E poi tutti gli stringono la mano e si presentano ed è ancora sulla porta e attende mentre io sono ancora folgorata dalla cometa. Si guarda intorno e chiede la natura della libreria. Sono un po’ schizofrenica, gli spiego, da un lato c’è la passione dall’altro studi, libri brutti. E lui: perché brutti? Danno da mangiare. Sono libri di diritto. Poi finalmente rinvengo e lo invito ad entrare davvero, si accomoda sullo sgabello ed è talmente alto che non si deve neanche sollevare per sedercisi, anzi addirittura ci si siede scavalcandolo come nell’esercizio della cavallina, le mani avevano proprio quella postura. Io nell’esercizio della cavallina ero brava, ma è perché sono agile e c’era rincorsa, sullo sgabello così non potrei mai sedermici! Chiede ancora della libreria, se la scelta è dettata dalla vicinanza col tribunale e al mio no chiede dunque se gli avvocati ci vengono. Sono io che vado da loro, rispondo. Aggiunge: come Rambo. Un Gianrico con la citazione di Rambo non ce lo aspettavamo e sorridiamo e iniziamo a chiedergli a chiedergli a chiedergli. Maria ha lo sguardo solo per lui, non lo molla un attimo, persa nell’accento barese, proprio lei, la più diffidente! Ci parla dei suoi prossimi lavori, il più vicino il quattordici gennaio, ancora un legal – attuale! - senza titolo perché quello iniziale, che aveva a che fare con un bufalo, era una frase che poi è stata tagliata e che ora non avrebbe più senso. Un altro lavoro sarà una raccolta di racconti e poi un saggio sulla manutenzione della parola. Ci parla di questo saggio con molto orgoglio, e anche con molta competenza. I racconti, dice, non gli piacciono tanto e il primo che cercò di pubblicare non lo vide neanche tra i primi cento ad un concorso. Lo ascoltiamo davvero e lui sembra star bene in questa veste informale di propaganda dei suoi lavori.  Ma poi non voglio pensare sia venuto per propaganda. Mi piace di più pensare sia venuto in amicizia, magari anche solo per dare un volto a dei nomi. Allora gli chiedo se l’ho disturbato troppo, se bisogna aumentare o diminuire la dose e lui, carino, risponde che va bene così, mantenendosi su un livello medio. Risponde a tutti coloro che gli scrivono, glielo chiede Letizia,  e questo è bello. Apriamo i dolcetti e prende una meringa. Apprezza la cagnina di romagna, chiede se siamo tutti bolognesi e non ce n’è uno. Finisce la meringa e cerca con lo sguardo un cestino per metterci le briciole residuate. Senti, Gianrico, lasciale pur cadere, ho pulito tutto il giorno e sono felice di poterlo rifare. Beviamo un sorso di vino, brinda alla nostra salute. Guarda l’orologio ma manca ancora un po’, gli chiedo se posso fare delle foto e acconsente a patto che non se ne pubblichino di brutte. Non accadrà perché è impossibile, è proprio un bell’uomo, con delle belle mani, nervose. Ha anche un bel calzino, a righe larghe grigie e nere.  Gli facciamo alcune, poche domande, sui libri letti e ci rassicura sul fatto che lo stupratore non è il tenente. Ci chiede come si svolge il gruppo e come scegliamo gli autori, perché solo italiani. E viventi, aggiunge Letizia, e lui abbassa lo sguardo, probabilmente avrebbe voluto fare un gesto maschile ma resta contenuto, resta con le mani una nell’altra. Purtroppo le sette s’avvicinano e per quell’ora ha un impegno in piazza Maggiore così iniziamo a porgergli i nostri libri. Tutti. Angelo, Letizia, Ivonne con Tony, Salvatore, Luigi e Daniela, Lorenzo, Maria, Alberto e io. Io la dedica la voglio su né qui né altrove, un libro che mi è piaciuto molto e per il quale, dopo aver condiviso con Gianrico alcune riflessioni, ebbi in risposta un semplice, bellissimo, ti ho letto con piacere. La dedica è diversa dalle altre, lui lo dice, e io me la tiro un po’. Grazie, Gianrico, davvero.

lunedì 23 novembre 2009

Seta di Alessandro Baricco

Sto rimuginando su una frase quando Luigi mi raggiunge in libreria. Ho piacere di vederlo, di ascoltarlo anche. Stiamo diventando così vicini che possiamo parlare anche di altro oltre che dei libri letti. Arriva Lorenzo sorridente e rasserenante, come sempre. Soddisfatti ammiriamo ancora la vetrina piena di penne alla bolognese, poi Luigi anticipa il nostro arrivo avviandosi in bicicletta, pensando. Io e Lorenzo lo raggiungiamo a piedi, chiacchierando.
Alberto senza voce, Katia e Chiara, Maria, Luisa, Letizia, Rosanna. Irriducibili, presenti.
Seta l'ho letto due volte, come Maria. La prima volta, tranne che per due momenti, mi era scivolato lieve come seta appunto. Avevo pensato che era stata maestria dell'autore riuscire a lasciare questa sensazione in granitica coerenza col titolo. Persino la lettera contenuta non mi aveva entusiasmato, io che adoro le lettere, se ne possono scrivere davvero di più belle, avevo pensato. E i due momenti che mi erano rimasti erano uno iniziale di massima, delicata seduzione e quello finale che riproduceva quasi un pensiero esposto a Letizia alcuni giorni prima in una mail ovvero che si può essere sereni avendo disegnato correttamente alcuni confini nei quali trovano spazio, a seconda, tristezza, nostalgia, ricordi, felicità. E,  a seconda, vi si abbinano contemplazione della superficie dell'acqua, giornate di vento, silenzio, attese. Tutto qui. Poi l'ho riletto. E ho rimuginato. E quando Luigi è arrivato era sulla nuova lettura che rimuginavo. Torniamo alla lettera però che forse agli uomini è piaciuta. E che peccato che Alberto non abbia davvero un fil di voce per parlarne! Lorenzo, che come ci ricorda Luisa di Giappone se ne intende avendo avuto una fidanzata di laggiù, sostiene che è una lettera che contiene una fantasia ben descritta, che farebbe piacere ricevere ma che sicuramente non è la cosa più importante del libro. Già, dice Maria, non c'entra nulla col libro, sembra solo un compiacimento dell'autore che stride in maniera evidente con l'essenzialità del libro. E con la descrizione di due bocche che riescono a rubare un bacio mai dato solo appoggiandosi in momenti diversi nello stesso punto di una tazzina, aggiungo io. Appunto, continua Lorenzo, la lettera è l'unico momento di intimità senza la quale sarebbe restato un libro delicato. Virginale la parola giusta. No, no, riprende Maria, il sesso è forzato e non emoziona, anche Luisa è d'accordo. Eppoi, sempre Maria, c'è questa scrittura estetizzante, dannunziana quasi, questa raffinatezza che è arte ma che scivola tranne che per alcune frasi come gli occhi fissi sulle labbra come fossero le ultime righe di una lettera d'addio. Ed è irritante che possa aver liquidato la presentazione di Helen in quattro parole e che abbia decantato la serenità di Hervé che invece è una noia mortale. Ma Baricco scrive benissimo, si precipita a dire Katia, e gli si perdona tutto. Non è mica vero! Adesso, per cominciare, secondo Rosanna non gli si perdona il fatto che parla sempre per interposta persona e non si capisce mai chi parla davvero. Continua a dribblare nel racconto, con queste triangolazioni continue, con queste storie che si interrompono continuamente, con queste mille possibilità , affidate al lettore, che ogni personaggio può avere. Ad esempio: questa Madame Blanche chi era? Lorenzo si illumina: Madame Blanche è il filo d'arianna del racconto! Ecco il perchè dei fiori blu sulla tomba di Helen. E vuoi vedere che la dolce, paziente, Helen non è altro che una belle de jour del reame di Madame Blanche? E che il tempo dell'assenza di Hervé viene di fatto ben impiegato magari col gentiluomo inglese? Del resto quell'avvicinamento del capo che Hervè aveva notato era stato compiuto con estrema esattezza. Esattezza. Certo, dice Letizia, è per questo che lui trema davanti a questa immagine, non certo per l'alcool. Ed è per questo che Hervé sottolinea che facevano tutti schifo, e non solo lui che durante i suoi viaggi si era lasciato distrarre da quegli occhi non orientali, che aveva accettato in dono da quell'uomo potente sesso per una notte, che non era riuscito ad amare sua moglie con lentezza. E che le ultime promesse le aveva sempre fatte al buio. Stiamo venendo a capo della storia quando Luigi ci insinua il dubbio che il primo biglietto non sia stato scritto dalla ragazzina cogli occhi non orientali. No, Luigi, ti prego. Questo lasciamolo così, certo com'è. L'ha scritto proprio la ragazzina. È sulla lettera e sulla figura di Hara Kei, il mafioso giapponese, che Baricco poteva scrivere qualche pagina in più! Luigi insiste: ma non erano solo affari? perché l'uomo potente cambia? Ma no, era un affronto, suggerisce Letizia. E allora perché non ammazza il rivale subito? Anzi: perché non lo ammazza? Perchè, gli risponde ancora Letizia, nessun uomo di potere agisce spinto dall'emozione e in più era un rivale che gli si presentava una volta l'anno. E di Berbeck che mi dite? Chiede Luigi. Già, cosa gli diciamo di quest'uomo e della scelta, a un certo punto della sua vita, di smettere di parlare? Noi nulla, perché  fu una delle cose che non disse mai ma Baldabiou ci incanta con la motivazione del mutismo del suo collega personaggio. Forse è che la vita, alle volte, ti gira in un modo che non c'è proprio più niente da dire. Baldabiou è il personaggio che ci piace. È semplice. Che non fa discorsi seri perché non vi era molto tagliato. È coerente. Si basta, riesce anche a giocare una partita a stecca da solo inventandosi un dritto e un monco. Che ascolta, devoto di sant'Agnese, e non ricorda mai i perché delle cose. Lineare. Ci voleva tanto a fare anche gli altri personaggi così? Baricco sarà pure bravo a creare il mistero, come dice Katia, ma alla fine ha ragione Luigi: la chiave di questo libro è l'immaginazione. Potremmo riscriverlo noi! Si, si, magari con Helen che in assenza del caro maritino è alle terme di Saturnia col Biglia! Chiara è fantastica. E che l'aggettivo strano così ricorrente dobbiamo legarlo alla fantasia erotica della lettera come in un vecchio film di Verdone....torniamo seri.
Ecco su cosa stavo rimuginando stasera da ieri sera. Su una frase molto spesso abusata che è quella secondo la quale ognuno ha ciò che merita. Non sono mai stata d'accordo. E qui, in seta, il personaggio Hervé si scopre desiderato, si scopre amato, si scopre ricco, si scopre anche sereno nonostante quell'ahimé sulla tomba della moglie. Lui si scopre. Quest'uomo così presuntuoso da considerare la felicità un eccesso e così noioso da consumare il tempo in una serie di abitudini che lo difendevano dall'infelicità davvero aveva meritato quello che aveva avuto?


lunedì 9 novembre 2009

Stanza 411 di Simona Vinci

Io e luigi arriviamo assieme. Ci siam trovati sulla porta della libreria come se ci fossimo dati appuntamento e abbiamo fatto il tragitto fino a via Lame 116 parlando già del libro, delle possibili letture da fare ancora e del suo viaggio entusiasmante appena fatto a Berlino per il ventesimo della caduta del muro.
In sala c’è già Alberto, ci sono Lorenzo e Luisa, Katia e Chiara, Maria. Letizia arriverà e Rosanna pure.
È il primo incontro che facciamo di lunedì ed è bello perché è inizio settimana, perché Alberto è rilassato che non ci sono partite , perché è…bello.
Tutti,  per quel poco o per quel tanto che mi conoscono, mi hanno pensata nella lettura del libro perché è una lettera. Una storia raccontata in una lettera. L’escamotage in effetti mi è piaciuto molto e ne ho ricavato due certezze: che anche il nemico legge gli scritti e che le lettere, se pure irritanti, sono solo parole. È davvero così? Chiede Rosanna. Forse no. La storia è una storia d’amore. Banale, si penserà, scontata. Affatto. Potente ed eterna. Non vediamo volgarità nel racconto, nessuno è restato disturbato. Probabilmente perché non riguarda bambini, dice Maria, è un incontro adulto, d’amore autentico. Già, le fa eco Alberto, raccontare di sesso tra adulti è normale e se anche si fa sesso senza amore è perché dopo l’amore ci potrà essere. Letizia fa notare e si complimenta con Alberto per il suo bel pensiero femminile e dice che lei si è rivista nella preparazione, nella cura, che una donna ci mette nell’incontrare un uomo. Maria no! O quanto meno solo preparazione emotiva la sua. A Luigi il libro non è piaciuto, come l’altro del resto. Trova l’autrice brava nella descrizione della città, della stanza, ci fa immergere in quegli spazi e in quelle situazioni, ma nessuna emozione. Eppoi una lettera può essere scritta molto meglio! Forse molte immagini e poca emozione? Chiede Chiara alla quale il racconto ha preso molto, l’ha proprio affascinata. Anche Luisa le ha sentite le emozioni e a Luigi che non crede all’amore che si comanda risponde che no, non si comanda ma da adulti si è meno istintivi sebbene, come dice Letizia, l’amore capiti ed è una propensione. Già. Esistono persone che si chiudono, che osteggiano l’amore con la razionalità, e che pure si innamorano. Lei glielo aveva detto che non voleva una storia seria, lui le aveva detto che non voleva sbagliare ancora. Un grande amore. Gli inizi raccontano già tutto ed hanno in germe la fine, ci ricorda Maria e redarguisce Luigi che continua a ribadire il ‘nulla’ del libro chiedendogli se per caso ha paura dei sentimenti. Non risponde o forse è un no. Sarà che, come dice Letizia, è un libro femminile e Luigi non è stato preso? No, no, è stata proprio razzista cogli uomini sottolinea lui. E anche Lorenzo interviene col suo mancato coinvolgimento emotivo da parte del libro o, ammette, non lo ha capito, non ha capito ad esempio perché la storia sia finita, ha davvero una logica tutta femminile, incomprensibile. E subito Maria gli chiede se per caso il libro lo ha irritato. Perché è vero che è scritto da una donna e ci presenta un uomo ma un particolare uomo, non l’uomo. E lei nella scrittrice non ci si è ritrovata solo perché donna, le è piaciuta questa narrazione d’un amore adulto, punto. Che se restavano due entità, aggiunge Letizia, probabilmente facevano una bella storia. Ci stiamo appassionando. Luisa sapeva già che il libro non sarebbe piaciuto a Lorenzo, anche lei concorda sul carattere femminile. L’ha colpita quell’usami e il fatto che quasi mai l’uomo sappia perché è stato lasciato. Non denigriamo gli uomini ora, dice Luigi. Già, non fatelo, aggiunge Alberto, perché loro spesso capiscono ma aspettano che sia la donna a prendere decisioni. Come, come? Per Letizia è solo vigliaccheria. Ma è una donna contraddittoria, continua Lorenzo, vuole essere libera senza perderlo. Era l’uomo sbagliato allora o sarebbe stato sbagliato qualsiasi uomo? Maria non ha dubbi: qualsiasi uomo. Lei, ma anche la lei del libro, non è per le fusioni. Lorenzo capisce allora la motivazione della fine, legge un passo e la ritrova. Innamorandoci rinasciamo perché qualcuno – l’innamorato – ci riconsegna noi stessi ma subito la fusione uccide la nuova creatura. Classico casino delle donne! Cioè? chiede Rosanna. Semplicemente la donna è ferma, persevera anche quando una storia è sbagliata, ci crede ed è capace di cambiare le cose, giustifica Lorenzo. Evviva le donne! Esulta allora Maria, se soffro è perché io ho deciso di soffrire. E chiede dispiaciuta, rivolgendosi agli uomini, se davvero è un libro che è scivolato senza lasciar nulla, se davvero non vi si sono ritrovati. In coro – in tre, tutti e tre – rispondono no. E alla domanda di Rosanna se è il lui che non è piaciuto Lorenzo da una bella risposta, che ogni donna gradirebbe. Dice che non può ritrovarsi in un uomo che non si dedica alla donna ma che pure vuole. È perché spesso si pensa che gli altri debbano amarci come noi amiamo, dice Letizia. Ma l’amore ha modalità diverse. Già. Ora è proprio il turno di Rosanna. L’autrice ha scritto un libro così perché voleva parlare dell’Amore e ci ha messo tutto quello che sapeva. Così può capitare, leggendo, di cercare l’evento ma l’evento non c’è. C’è solo una circolarità statica con queste metafore del Pantheon, della donna del Giacometti, del mappamondo. Forse il libro scivola perché davvero le storie ci scivolano addosso e non ci cambiano. Alcune persone poi non vogliono neanche cambiare. E poi a chi scrive questa donna? Scrive a un altro che non c’è? la patologia dell’Amore. Amore claustrofobico che, rappresentato, sarebbe certamente un monologo di quelli combattuti tra la possibilità di lasciarsi andare o tirarsi indietro. Amore chiuso, in una stanza, passa la cameriera e non c’è più, è finito, nessuna traccia. Lei, Rosanna, non abiterebbe mai in una stanza d’albergo, Maria sì. Katia, è stata abbastanza taciturna, non le è piaciuta questa storia, la lei sembra pontificare la sua situazione ma gli amori, l’Amore, son fatti anche d’altro, è fatto di noi, di ognuno di noi. Certo che si, le diciamo all’unisono. L’Amore è fatto di tutto. E di sicuro non si può dire.  Ma perché l’Amore, trattato con sufficienza da alcuni, di poca attualità secondo altri, ci sta prendendo così? E perché a tratti i nostri visi cambiano? E stiamo finendo per non capirci? Ognuno forse a seconda del suo Amore vorrebbe dire ma non si può dire, l’abbiamo detto. E si può perdonare? Per alcuni sì, per altri no, dipende. Si può vivere accanto a chi non si ama? Si, molti lo fanno. È più facile? Forse sì, forse no, dipende. È più difficile? Forse sì, forse no, dipende. Si può lasciare andare un Amore? Con la morte nel cuore sì. Ma anche con un’asettica razionalità. E si possono gli altri innamorare di quelli che noi scartiamo? Si, le complementarietà non sono assolute. Si può sbagliare? Sì. Vivere è sbagliare.  Mangiamo il dolce che ha portato Rosanna va', che è meglio.