Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

martedì 27 novembre 2012

Bologna a modo nostro

"Vita, è per te! 
Cercami e mi troverai. Ma troverai tante altre suggestioni belle sulla tua Bologna!"

Sulla mia Bologna. Già.

Non è la solita guida su Bologna. E' lo sguardo di diciotto donne su una città ricevuta o scelta.
E' l'intreccio di storie personali e storia cittadina. 
Il lettore, o il turista, che sceglie questa guida sentimentale vi troverà quattro posti in croce dove chi li ha raccontati sta bene. 
Luoghi di silenzio o incontro. Dipende.

venerdì 23 novembre 2012

aperitivo con Luisa Grosso

Domenica 25 novembre alle ore 12 la libreria Coop Zanichelli di Piazza Galvani offre un aperitivo agli amici di Miriam e la geometria. Un'occasione per tornare a salutare Luisa.

giovedì 22 novembre 2012

L'eredità dei corpi, poi facciamo festa.

Ci troviamo giovedì 13 dicembre con L'eredità dei corpi di Marco Porru. Poi facciamo festa per salutarci al nuovo anno. Facciamo un giro di mail, o di post qui, per sapere cosa portiamo?

lunedì 19 novembre 2012

Incontro con Amneris di Cesare e Nient'altro che amare


Amneris ci ha trovati lei, noi avevamo trovato a'zannuta.

Di Nient'altro che amare ha scritto tutto, anche la quarta di copertina. Ma la copertina non le piace. Neanche a noi, a dire il vero. Potrebbe sembrare un Harmony. Si è impuntata sul titolo, quello suggerito è meglio non ricordarlo. Puntava sull'erotismo, l'editore, ma non è un libro così.


Vita: E' una storia cruda. La storia di un luogo. Eppure, Maria, la protagonista, non se ne va da quel posto, è in quel posto che si sente protetta. Quanto è importante la Calabria?

E' una dichiarazione d'amore per la Calabria questo libro. Una dichiarazione d'amore nella lingua del crotonese che viene, o veniva, conosciuta solo per cose negative. Creare un personaggio crotonese faceva bella quella terra. Perché, si sa, attaccare il marchio fa parte di una cultura.

Maria: La storia è tutta inventata? Davvero tutta? Perché io ho incontrato almeno due Maria (del libro) nella mia vita. E mi colpisce e mi sconvolge la capacità di inventarla, una Maria. I tuoi uomini poi sono molto particolari, almeno tre: Hans, Arturo e Ciccio.

Mi piace raccontare. Trovo debole partire da cose conosciute. Mi piace inventare di sana pianta, mi gratifica di più. A'zannuta nasce così. I romanzi scritti poi sono nati da racconti che non mi erano piaciuti, ripresi in mano. Ma è stata un'amica, che curava una rubrica letteraria, a chiedermi racconti ispirati a piece teatrali. Così potrei dire che mi sono ispirata a Filomena Marturano per questo libro. Poi, quando a'zannuta non aveva più nulla da dirmi, ho smesso di scrivere il romanzo. 
Per quanto riguarda gli uomini, io sono innamorata di Hans.

Maria: Da dove la critica al prete che non battezza Santina?

Non c'è una critica alla Chiesa. Volevo ricordare i bambini col labbro leporino, in Brasile, che non venivano battezzati perché considerati obbrobrio della natura.

Vita: C'è una ambivalenza di Maria, a'zannuta.

E' qui la ragione del titolo. Maria è una donna emarginata che non ha alternative per continuare a vivere. Impara ad amare con Hans, ma sa già amare tutti i suoi figli. Sì. E' una donna che non rinnega niente, non rifiuta niente.

Maria: Avrebbe voluto cambiare?

Decide di cambiare, per i figli. Inizia a dire di no.

Sarah: Con una vita così è difficile cambiare, bisogna sopravvivere...

Già. La frase che ha colpito e che è stata riportata nel sito Mondo Scrittura è Non cercate di portarglieli via i figli a una coniglia perché morde.

Lorenzo: Da napoletano la sento l'ispirazione a Filomena Marturano. E' bello Ciccio. Perché non ti sei fermata a lui? Perché arrivare ad Arturo? E perché Mariuzzo non ci prova?

Non mi sono fermata a Ciccio perché Arturo aveva ancora qualcosa da dire. E' Arturo che spiega l'amore. Mariuzzo non ci prova perché ha paura di Mela. Poi, perché è generoso, accoglie Hans, e rispetta Maria.

Luisa: Avrei voluto un ritorno di Hans. Perché i figli sono tutti maschi?

Hans forse tornerà altrove, come Rosario. I figli sono tutti maschi per un'amica.

Marco: Non mi è piaciuto nessuno degli uomini del libro. Tutti sono il coniglio della situazione, anche Arturo. E trovo triste che si sposino da vecchi. Solo i figli, ancora ragazzi o bambini, sono i veri uomini.

Sono contenta che il libro abbia aperto una discussione così. Vorrei far parte di questo gruppo di lettura.

Ti accogliamo, sei la benvenuta!








sabato 17 novembre 2012

I primi tornarono a nuoto

I morti che tornano, con la stessa età e le sembianze del giorno in cui hanno lasciato la vita. Questa è la storia che si racconta ne I primi tornarono a nuoto di Giacomo Papi. Una storia surreale dove ritornano tutti, da ogni epoca. Non sono minacciosi all'inizio i rinati, solo smarriti e voraci. E sopratutto vogliono vivere. Ma in breve tempo il loro numero supera quello dei vivi, la gioia iniziale diventa desiderio di prevalere, nascere un crimine. 
Il finale è semplicemente reale e bello. La fine da cui ogni storia può finalmente iniziare. La vita.

"Era rimasto solo il presente che è eterno, ma muore."

giovedì 15 novembre 2012

Incontro con l'autore, Amneris di Cesare

Lunedì 19 novembre alle 20.00 in via Lame 116 a Bologna incontro con Amneris di Cesare per discutere del suo libro Nient'altro che amare

È la madre a darle quel soprannome, a' zannuta. Una madre che non l'ha mai amata per via di quei denti sporgenti che le danno un'espressione che vagamente ricorda quella di una coniglia. Non l'ha mai difesa da un padre violento e ubriacone che, come tutti in paese, l'ha sempre considerata una ciòta, una stupida, una che non serve ad altro che a divertire gli uomini, grazie al corpo maledettamente sensuale che si ritrova. Ma Maria non sarà mai come lei. Amerà i suoi figli, tutti, indistintamente e nonostante li abbia avuti, spesso, dopo aver subito violenza. Perché come l'animale a cui assomiglia, Maria è prolifica, forte e mansueta. Ma non provate a portarglieli via, quei figli. Perché come i conigli, Maria sa mordere. La vita come l'amore. Perché Maria è una che ama, una che non sa fare nient'altro che amare.

lunedì 5 novembre 2012

La valle delle donne lupo, Laura Pariani

Un libro di figure e di luoghi, La valle delle donne lupo. Di certe figure marginali come la montagna, ad esempio, che più che un luogo geografico è un'esperienza. Assolutamente marginale al resto del mondo.
Le donne lupo sono balenghe delle valli piemontesi, tutte falciate dalla stessa sentenza di emarginazione, servite alla comunità per mettere in scena sempre lo stesso canovaccio. Fenisia, presèmpio, vive in una casa con affaccio su una distesa di tombe. Ché non c'è niente di strano o di che vergognarsi, gli uomini della sua famiglia al cimitero ci lavoravano. Quello del sotteramorti è un mestiere onesto, per non dire indispensabile.
Ad una ricercatrice racconta la sua storia, Fenisia. A noi pure, quasi in piemontese. Ad ascoltarla ci sono Maria, Lucia, Patrizia B., Lorenzo, Marco, Sarah, Giuseppe, Elke, Luisa, Rosanna, Paola ed io.
Paola non aveva letto mai un romanzo con dialetto del nord. Le ha fatto effetto Camilleri spostato geograficamente. L'ha trovato comprensibile e con una coloritura particolare, avendo utilizzato poi cose riconoscibili (le figure) e una scenografia gotica (i luoghi). Il paese piccolo è dappertutto, se non ci sono comunicazioni. E dal paese piccolo o scappi, o diventi lupa, aggiungo io. Anche se si può andare via dal paese piccolo e restare uguali nell'anima, sopraggiunge Maria.
A Maria ha colpito la costruzione sintattica dialettale del racconto. L'ha colpita la semplicità con cui Fenisia racconta dell'incontro sessuale, senza mezzi termini, senza eufemismi. Sarah fa notare che le persone anziane spesso fanno così, di raccontare come se dicessero di una ricetta da cucina. Già, sembra naturale, la asseconda Maria. Naturale come l'accoppiamento di una lupa, penso.
Anche a Giuseppe è piaciuto leggere questo libro, con parole che intuiva anche se non capiva. Non l'ha trovato distante, il racconto, da dove è vissuto lui nella bassa veronese. E Grisa, sostiene, non era matta.
Già. Non lo era, lo pensiamo tutti. E siamo stati arrabbiati con Fenisia che non andava a trovarla.
Patrizia B. si è sentita nella casa della Fenisia. Avrebbe voluto sentire le voci di tutte le donne raccontate, le loro sofferenze. L'ha disgustata il curato che esigeva regali.
Rosanna pensa vi sia troppa roba nel racconto. Non reputa verosimile né comprende la colpa di tanta disgrazia. Poi, perché staccarsi da un branco per scegliere un altro branco? Perché tutti sognano di smettere di lottare, di diventare più uguali, risponde Sarah.
Lucia ha trovato invece difficoltà col dialetto. Lorenzo pure. E Luisa lo leggerà. Elke lo ha letto, ma il dialetto l'ha ostacolata. Marco non ne è stato preso. Sebbene sia sua una buona soluzione al messaggio del libro. Che l'uomo sbrana più di un branco di lupi. Che la società è peggiore del branco.
C'è un uso attrattivo delle parole in questo libro. Presèmpio il Falciatore, la morte. Non s'era mai sentito di una morte maschile. Neppure che la vita le lacrime le dilapida.


domenica 4 novembre 2012

Je comprànd le fransè ma ne pà pu parlè.

Certo che gli italiani son proprio da piazzola! Esclama Rebecca dopo la prima mezza giornata parigina e l'ennesimo pardòn se inavvertitamente t'hanno sfiorato un piede o je prer se ti sei scusato perché hai sfiorato il piede a qualcuno. Parigi è davvero agreable, oltre che complimentosa. Di buon mattino l'impiegato alla metro sorride e ce lo avrebbe offerto lui il caffè, invece che mandarmici come l'impiegata T-per di Bologna, e buon soggiorno a du sors tre joli. Rispondo che no, siamo mamma e figlia, ma grazie. Poi, svelata definitivamente la nostra italianietà proprio per aver articolato più compiutamente in idioma indigeno, senza preavviso, come un tuono a Montmartre, mi chiede del calcio. Penso al mio amico Damiano, devo far bella figura, ma accidenti! Je comprànd le fransè ma ne pà pu parlè. Sorride di nuovo e chiede almeno che squadra. Ossignore! E come glielo spiego ora che ho chiuso col Lecce dopo le combine dei mesi scorsi? Bologna, mi sento uscire di bocca, all'unisono con Rebecca. Ulalà! Sorride di nuovo, ma ora pare beffardo. E dice qualcosa che termina con Intèr. Ora penso al mio amico Salvo e c'è poco da fare bella figura. Oui, je sé, l'Intèr ci ha affondati al penultimo posto. Bon jurné! Andiamo a vedere la torre che è meglio. Rebecca sobbalza appena la vede. Mi scoppia il cuore a vedere lei. In tre giorni abbiamo fatto più di quattrocento foto, duecento forse solo della torre, da tutte le angolazioni. Ai suoi piedi hanno allestito l'Art de la Tolérance, orsi colorati da tutto il mondo. Cerco, senza un apparente motivo, quello del Gambia. Ma so che è per il mio nuovo amico Sarjo. La fila di gente che si snocciola per qualche chilometro ci distoglie dal salire. Saliremo sull'Arco di Trionfo, le dico consolatoria, vedrai c'è meno fila. Infatti è così e Parigi è comunque sotto di noi e Rebecca si gode la sua torre da un'altra, alta, angolazione. Il cielo è grigio, ma riusciamo a vedere ogni cosa da lassù, a dominare ogni cosa. Due generalesse a Parigi. Champs Elysèes sono pieni di gente, arriviamo fino a Place de La Concorde, nel mentre una crep sucrè ci ridà energia. L'ha chiesta Rebecca col suo francese stavolta, che parla bene a onor del vero, ma è timìd, mi dice il gestore. Già, chissà da chi avrà preso. Peccato, il Museo d'Orsay è chiuso, ci rifaremo col Louvre. Camminiamo fino a sera. Prima di riprendere la metro chiedo a Rebecca se riesce ancora a camminare, che a volte lo so che sono odiosa, non mi fermo mai. Risponde che deve valerne proprio la pena. Bene, allora! Riattraversiamo la Senna e percorriamo tutta Rue de l'Universitè, che sembra non finire mai e io spero di ricordare bene. Ma sì, la mappa è dalla mia parte, ricorda come me pure lei. E' buio quando la strada sta per finire, meglio, penso. Svoltiamo l'angolo e lei è lì, illuminata per la notte, e se aspettiamo qualche minuto, alle ore precise, vedrai la sintìll. La chiamano così i Francesi la torre scintillante a segnare le ore notturne. 
Un giorno di sole a Parigi merita una passeggiata sul lungo Senna tra gli artisti de l'Ile de la Cité. Merita pure Notre Dame, ché le vetrate diventano sole di ogni colore all'interno. Davanti al Palazzo di giustizia scopro una fila interminabile di Iveco blu della Gendarmerì fransés. Da bravi cugini, penso. Peccato infilarsi in un museo con una così bella giornata, ma il Louvre lo merita. Visita d'obbligo al sorriso più misterioso dell'arte. Poi un tuffo nelle antichità egizie e greche. Senza nulla dire, Rebecca è rapita dalla Nike di Samotracia. A volte ci assomigliamo più di quanto possa sembrare. Quando usciamo è buio e stavolta sarà Place de La Concorde ad accoglierci illuminata. 
A Montmartre arriviamo in due fermate. Sorridiamo io e Rebecca facendo il verso alla voce automatica sulla metro che ripete due volte i nomi delle proscién arrét, ma la seconda stancamente, quasi che i passeggeri fossero tutti svogliati. Il Sacro Cuore è candido nel grigio del cielo. C'è la messa d'Ognissanti, ma non si riesce a metter piede, aspetteremo la fine. Una passeggiata a Place du Tertre e lì, pur di farti un ritratto, t'inventano bellezza sàn precedànt. Fa bene all'autostima, almeno. Eccolo il tuono dell'inizio. Stiamo ammirando uno scià nuàr quando esplode. Poi la grandine, bellissima, e i negozianti sono contenti. Dopo, si regala ancora bel tempo, utile per l'ultimo angolo di Parigi, il Marais. Ulalà! Non mi aspettavo di trovare Bologna a Parigi. I portici di Place des Vosges sono deliziosi, casa Hugo la troviamo chiusa, almeno mangiamo al Café Hugo. Ci siamo sentite come in un quadro di Monet, tavolini tondi uno accanto all'altro. Lampadari rossi e luci basse. Cameriera d'una gentilezza francese, ma era di Salerno. Siamo alla fine. Nella metro una giapponese ci chiede indicazioni per Gare du Nord. Più facile accompagnarla che spiegarglielo. Ma al tornello lei non ha il biglietto, così tiriamo fuori uno dal nostro carné e glielo diamo. E' deliziosa Rebecca quando dice che ora i giapponesi e gli inglesi diranno che gli italiani sono gentili pure loro. Non vi ho detto, on fét, che sotto la torre una coppia di inglesi aveva solo il telefono per fare le foto. Mi avevano chiesto di fargliene una. Giel'ho fatta, ma vista la qualità, ho fatto loro qualche foto con la mia macchina fotografica dicendo che gliele avrei mandate per mail. Mi hanno scritto il loro indirizzo e-mail sulla guida, ed è un buon ricordo per me. Lo scioffér per l'aeroporto chiede se può dire d'avere due belle cugine in Italia. Sé siùr, francesi e italiani sono cugini. A la proscién fuà.
Foto riflessa, all'ingresso dell'Arco di Trionfo.