Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 16 novembre 2015

L’ultimo arrivato, Marco Balzano

L’ultimo arrivato è il racconto di una migrazione bambina, dal nostro sud al nostro nord. Erano solo gli anni cinquanta del secolo scorso. Il protagonista è un piccolo migrante, Ninetto, detto pelleossa. Aveva appena nove anni, una madre silenziosa e un padre che preferisce saperlo lontano, con almeno un cenno di futuro. Ma quella promessa di futuro non è per tutti. La sua vita passa dalla fabbrica, al carcere, ad una finestra su una strada di Milano.
A parlarne ci sono Maria, Patrizia R., Giuseppina, Sarah, Mario, Patrizia B., Marella, Marco, Elke, Margherita, Carla, Rosanna Giovanni ed io.
Per Maria Ninetto era un bambino capace, ben delineato già a pagina 18. Aveva dovuto tirare fuori il coraggio subito. Aveva una base buona, forte, poteva crescere bene. Invece rivela egoismo all’ennesima potenza e un carattere possessivo ben definito, come lo si può leggere a pag. 158. È raccontato tutto del suo carattere, spiega, non ci dobbiamo immaginare niente. Maria l’ha odiato per come si è comportato con la bambina (l’aveva presa e portata a vedere l’alveare dove lui era stato, arrivando dalla Sicilia, a nove anni). L’aveva spaventata.  Aveva perso completamente la testa. Lei, leggendo, no. E sente lo spavento della bambina. Non accetta il finale positivo e si chiede perché l’ultimo arrivato. Sicuramente non l’ultimo arrivato nella baracca.
Secondo Elke ha fatto tutto inconsapevolmente. E il finale, che non piace a Maria, è probabile sia motivato dal fatto che ci sarà un seguito. Il sogno di quello che farà con la nipote.
Per Marco una tristezza infinita, questo libro. È scritto bene, indubbiamente, ma è triste. E il fatto è che si tratta di realtà che resistono tuttora. Lui ci ha visto più una sorta di istintualità di uno che non ha cultura, non ha niente, una sorta di volersela godere senza ragionare. Una persona che gli fa una gran tenerezza, perché nessuno l’ha amato.
Rosanna ha visto un bambino mandato via di casa, costretto. Attraverso la mano di paura della bambina è entrato in contatto con la sua paura da piccolo. Lui ce l’ha fatta, ma solo dopo che ha incontrato Maddalena. Poi, c’è il maestro che lo educa al bello. Per Ninetto il Paradiso ha la poesia.
Giuseppina ha trovato dei morti dentro in questi meridionali che vivevano nelle baracche. Se non puoi fare il bambino, non hai più paura, muori. Secondo lei, Ninetto fa vivere la paura alla bambina in una situazione in cui un adulto ti tiene la mano. È vero, provi fastidio alla fine, perché l’impoverimento emotivo è grande. Quell’impoverimento che lui ha bisogno di condividere con la nipotina, ma non è una consapevolezza intellettuale. Ci arriva così. La protezione è ricorrente, per lui uomo fatto e finito. Com’era accaduto quando credeva che la figlia stesse subendo violenza. Mai avrebbe potuto pensare all’amore.
Marella non l’ha visto come romanzo storico. Le ha fatto una gran pena quest’uomo, ma anche rabbia. È uno che si è lasciato vivere. Non ha ricevuto un’educazione e quindi il suo agire è spesso andato per istinto ed inconsapevolezza. Solo l’azione finale la fa con consapevolezza, prende l’iniziativa. Non le è piaciuto l’inserimento della omosessualità (Paolo), anche se io credo sia stata messa per ricambiare la confidenza appena ricevuta. Trova, invece, molto bella la frase sui figli vicini. Infine, secondo Marella i riferimenti continui al coltello sono pensieri di suicidio.
Patrizia B. sperava in una redenzione finale, ma Ninetto è vittima di se stesso. Ha fatto malissimo con la bambina.
Per Patrizia R. è un libro fantastico, con un linguaggio bellissimo, a parte qualche caduta di stile tale da non renderlo solo una macchietta. Sgorgare, dice, riferito al cuore è bellissimo. L’ha colpita la figura del maestro.
Carla ha trovato punti belli, intensi, pieni di sentimento. A Milano dice di aver visto personaggi così, desolanti. Ninetto è figlio ancora di un’Italia disastrata. Per lei non c’è alcun dubbio. È un romanzo storico.
A Mario stasera piace ascoltarci. Il libro lo ha infastidito dal primo momento all’ultimo. Forse non era nel momento giusto, dice. Ninetto è un personaggio terribile. L’avrebbe ucciso lui che è uomo. Vorrebbe cose divertenti in questo periodo, Mario, e questo libro non lo è. Ci ha ammirato molto.
È tenera Maria che si è appena impegnata a scrivere a Mario le frasi più belle di questo libro, di modo che un po’ possa salvarlo. Ma Mario ha pienamente ragione, è un libro triste. Ninetto è un uomo che non si può permettere di esprimere un desiderio, nella stella cadente che non ha trovato. Sono d’accordo, poi, coi miei Itineranti, vive molto di istinto. Non poteva avere consapevolezza del suo mandato di padre, perché lui stesso aveva subìto la mancanza. E, come ha detto Marco, nessuno l’aveva amato. Neppure i lettori, purtroppo. E forse ci stiamo accanendo su una vita che aveva esigui strumenti: la poesia e il mito del maestro. Poi, solo trent’anni di fabbrica e la pesante eredità di non essere stato bambino. Un tunnel buio definisce gli anni in fabbrica, Ninetto. Al pari del carcere. Brutti. Gli è davvero mancato essere stato bambino. Perché dove si è stati piccireddi non è mai completamente brutto.
Giovanni, al suo primo incontro, è restato ad ascoltarci.