Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 13 dicembre 2010

Saluto pre augurale

La canzone senza pause di Louise ci ha resi così stanchi che prima delle feste volevamo solo essere un po' ciarlieri, un po' leggeri, pieni di pause. Complici le festività incombenti ci ritroviamo a mangiare una pizza per un saluto pre augurale. Rosanna, Barbara, Letizia, Luisa, Lorenzo, Alberto, Luigi e io. Peccato per chi non ha potuto esserci! Proprio bello aver ritrovato Alberto e Luigi. Che hanno già fatto i buoni propositi per il nuovo anno. Qulache dubbio sulla paternità siciliana o emiliana della parmigiana. Poi una discussione sull'uomo brizzolato e le preferenze femminili. A proposito: non ricordiamo se Giampiero sia brizzolato...nella barba sì. Gianrico sì. Un amore estivo di Alberto. L'esame di stato e lo svolgimento aneddotico. Le nostre prossime letture. I nostri prossimi ospiti. E l'arrivo del nuovo anno carico di entusiasmo.

mercoledì 24 novembre 2010

La Vita Silenziosa

Si può morire per la spada ma anche per il silenzio degli uomini, e io ho deciso di non muovermi dal fianco degli amici.

( Louise di Eliana Bouchard )

martedì 23 novembre 2010

Louise di Eliana Bouchard

Louise, canzone senza pause, la pausa se l’è guadagnata sin dalle prime pagine dai più. Questa sera siamo pochi, Giusy, Mirca, Lorenzo, Letizia, Katia, Chiara e io. Di questi pochi solo in tre abbiamo letto e solo a me alla fine il libro sembra sia potuto piacere. Perché a Katia ha annoiato e Chiara pensa che per alleggerirlo un tantinello Louise poteva andare alle terme. Che nostalgia le terme di Saturnia e quel simpaticone di Graziano Biglia! Gli altri, chi più chi meno, si sono fermati a pagina sessanta o giù di lì. Lorenzo lo ha trovato lontano dai suoi schemi in questa fase della sua vita. Giusy solitamente legge il genere storico ma questo era davvero…senza pause! Forse perché non ha letto le tavole allegate, come invece ha fatto Chiara. E Letizia dalle tavole impara della coltivazione della patata a Francoforte e delle finestre che in Spagna non c’erano. Attenzione infatti! Siamo nel XVI secolo. E comunque s’impara sempre qualcosa leggendo. Mirca invece nella sua breve lettura ha trovato, da non credente, qualcosa che le ha fatto provare invidia per chi invece lo fa ed è riuscita a commuoversi per quella preghiera che consiste nell’insistere all’infinito, in maniera ostinata e petulante, ché se anche Lui non t’ascolta subito infine ci si mette e risponde.
Allora. Adveniat regnum tuum, dice Chiara verso di me. Anch’io ho fatto fatica a superare l’assenza di pause di questa canzone barocca. Cantata tra lune matrone, solitudini sconosciute e insperate, lontananze che dilatano le assenze, cambiamenti speranzosi e sperati, possibilità di nuovi amori, nuovi figli, nuovi luoghi, nostalgie struggenti, cose che vibrano di memoria più degli esseri viventi, odore del passato e giorni senza presente, lettere, legami familiari, attese strazianti, entusiasmi che uccidono, buoni insegnamenti, fiori, mani, cieli, parole, disperazione e contemplazione, abbandono e fiducia, responsabilità, pazienza, dignità, vecchiaia, vendette, strategie, potere e prestigio, eresie, diplomazie, ambascerie e mediazioni, un amore materno prigioniero della carta, un Dio geloso e antico che non tollera di essere diviso con nessuno e un lungo ottobre passato a setacciare la vita.
È stata Rosanna, pur assente questa sera, a farmi trovare il filo conduttore della canzone senza pause. Qualche giorno fa s’è lasciata andare ad un parallelismo col Notturno Bus di Giampiero. Ed io, da questo parallelismo, mi sono lasciata guidare pensando a cosa, più di ogni cosa, del Notturno Bus, m’era restato. Ed era stato qualcosa che non era un personaggio. Era stato l’odore. In Louise, libro, ho trovato la tolleranza. Louise, personaggio, è una donna che riesce, con le innumerevoli e lungimiranti assenze di pause appunto, ad intessere le più stabili delle relazioni che determinarono per lungo tempo un assetto politico europeo cordiale tra cattolici e protestanti. Eccola la tolleranza. Quella che vuole che ogni idea, di ognuno, abbia la propria forza. E che rifiuta che un dio resti impegnato nella gran parte del suo tempo a stilare la lista dei dannati e quella degli eletti.
Ho cercato di convincere gli Itineranti presenti stasera che Louise meritava d’essere letto alla fine. Perché questa povera disgraziata, che diventa una gran donna, muore. Non tanto di vecchiaia come si potrebbe pensare data la sua veneranda età. Louise c’insegna che si muore per il silenzio. Ché se la gente sapesse quanto bene possano fare le parole, e la lettura delle parole, forse non ne sarebbe così avara.

martedì 19 ottobre 2010

La Vita da Poeta

Uccidere un poeta è un omicidio multiplo. Si spegne la sua voce che è la voce di tanti che parlano attarverso le sue parole.

( Sole e Ombra di Cinzia Tani ) 

lunedì 18 ottobre 2010

Sole e Ombra di Cinzia Tani

Il libro di questa sera sarà molto discusso, stando ai numerosi sms che mi sono arrivati durante la lettura. E discusso in maniera contraddittoria, ma con vera tenacia dalle fazioni lettrici. Ognuno a difendere le proprie ragioni di bellezza o bruttezza, ad allargare, se ve ne fosse bisogno, il divario di vedute di alcuni Itineranti…a caso: Maria e Katia per esempio. È che ha ragione Giusy: siamo un gruppo di lettori molto coscienti, molto auto – coscienti. Gli autocoscienti anonimi! Giusy stasera è strepitosa. Andiamo per ordine però, non ho ancora preso le presenze e ce n’è una nuova, Alessandra, che vuole sbirciare come si svolgono gli incontri. Mi sa che ha beccato la serata più irruenta! A parte Giusy e Alessandra dunque sono presenti Luisa, Letizia, Lorenzo, Mirca, Katia, Chiara, Maria, Rosanna e io.
Sole e Ombra, secondo classificato al campiello 2008, per molti di noi avrebbe meritato il primo premio. Mirca non si capacita di come la giuria abbia potuto decretare la vittoria di Rossovermiglio. Lorenzo ha tutt’altro parere. Lui Cinzia Tani l’ha conosciuta e l’ha ritrovata nel libro, meticolosa e precisa ma studiata e fuori dal campo. Perché non ha fatto la guerra, dice Giusy. E ridiamo tutti. Katia è d’accordo con Lorenzo. L’autrice è troppo accademica, resta una brava ricercatrice ma non è il suo lavoro quello di scrittrice. Maria è contraria a Katia. Lei del libro è restata incantata. Ha solo dovuto saltare alcune parti storiche per la smania di ritrovare i personaggi. Personaggi, tutti, assolutamente passionali e sempre in antitesi tra di loro. Manuela e Mercedes, Nina e Beatrice, Loris e Michele. Maria pensa che Sole e Ombra sia un libro d’amore per la Spagna e per i suoi figli. Giusy un libro d’amore per l’ideologia. Mirca semplicemente per la vita e io sono d’accordo, visto che Nina, il personaggio principale, tra mille brutture era riuscita a non parteggiare per nessuno, neanche quando schierarsi poteva significare renderle più facile la vita. Rosanna ritiene che l’autrice abbia costruito bene i personaggi, sin da quando questi erano bambini. Già, dice letizia, peccato però che la magia dei personaggi sia interrotta dalle narrazioni storiche. Katia incalza col suo disappunto e sostiene che sono personaggi ripetuti. Allora è doppiamente brava l’autrice, ribatte Maria. Chiara, peccato, non è riuscita ad affezionarsi a nessun personaggio, fuorché Rafael che tutti abbiamo adorato. Io e Giusy però ci siamo innamorate di Michele e siamo seriamente intenzionate a cercarlo o a cercare un suo nipote senza andare neanche troppo lontano, nel ferrarese. Ora stiamo facendo un po’ gli sciocchi ma dalla lettura di questo libro sono venute fuori tematiche interessanti come quella della colpa, dell’amicizia, dell’ipocrisia borghese, dell’ideologia, e dell’eroicità. Ancora poi dell’amore. In sottofondo un realismo magico che schiera vincitori e vinti come nella corrida posti al sole e posti all’ombra. E qui Luisa recrimina a Lorenzo d’aver preso posti al sole allo spettacolo della corrida cui hanno assistito circa un anno fa.
Realismo magico, dicevamo. Il fatto che da quando era Rafael a consegnare la posta arrivavano solo belle notizie. O che eroe possa essere chiunque. E occhi, vuoti, inespressivi, in un turchese di difficile riproduzione, fossero invece casseforti stipate di tesori preziosi. Poi lo scontato presente che per Michele era l’unico tempo. La povertà male accettata e la voglia di farsi rapire da un’altra famiglia. Come la voglia di scegliersi la morte. L’amicizia e l’invidia, ancora sole e ombra. La moralità ripresa quasi nel nome di una Nina Morales. E le masturbazioni intellettuali che fanno dell’amore un’idea letteraria e fantastica lontana anni luce dalle esperienze umane. Prendere un’altra identità per un senso di colpa o per narcisismo eroico. E che dire della bellezza che commuove? E del fatto che possederla, la bellezza di Julian, possa essere un’emozione insopportabile? Le emozioni che sono colori. O una musica a ritmo solo di chi l’ha dentro. E la guerra che è una tragedia e non è giusto riderci sopra. Infine la solitudine, ne esiste anche del tipo aristocratico. Il Caso. E l’amore che arriva da solo, anche ad ottenere quel rosso, che non era allora solo dolore, tecnicamente di difficile riproduzione, più del turchese dove basta guardarsi negli occhi.
Ma non dirò mai che se non ritorni affatto i tuoi amici ti ricorderanno. E che se non hai più sogni puoi rassegnarti alla vita che ti è stata destinata. Mi manca il coraggio.

martedì 14 settembre 2010

La Vita Piccola

...e io ho solo voglia di fare l'amore. Ho sempre optato per le piccole cose.

( Rossovermiglio di Benedetta Cibrario )

lunedì 13 settembre 2010

Rossovermiglio di Benedetta Cibrario

Per niente al mondo si potrà rimandare l’incontro di stasera, il primo dopo la pausa estiva. Così quando Alberto mi chiama per dirmi che ha problemi con le chiavi della saletta gli dico di lasciarmi pensare un po’. Qualche scambio di sms e poi penso che è già tardi e chi parteciperà sarà già partito così meglio trovarsi comunque davanti alla sede e da lì si decide. Un bar che ignaro ospiti la nostra discussione su Rossovermiglio lo troveremo di sicuro mentre facciamo finta di attardarci un po’ di più su un aperitivo. Non è poi la città degli aperitivi lunghi Bologna? E allora! Allora ci sta venendo incontro Giusy, mentre in via Lame ad aspettare ci sono già Katia, Chiara, Alberto, Barbara, Letizia, Maria, Rosanna e io, che ci offre il suo ufficio. Intercettiamo Mirca che sta volando in bicicletta al 116 con un coro unanime e…’che volgarità urlare per strada!’ ci avrebbe redarguito la Granmammà, e scoppiamo in una sonora risata. L’ufficio di Giusy è accogliente come lei, sedie sfuggenti e tulipani finti a parte. Abbiamo già deciso il percorso da fare per il prossimo ciclo quando finalmente ci raggiunge Luisa dopo essersi persa nella ragnatela bolognese. Su suggerimento di Rosanna decidiamo di leggere premi letterari anche se Maria è scettica coi vincitori. Rossovermiglio è il vincitore del premio Campiello 2008, potremmo leggere i quattro finalisti di quel premio, dice Letizia. Già. Sorrido mentalmente pensando che Gianrico ne è stato finalista per il 2009. E Giampiero? Ce l’avrà un premio?
Partiamo con la discussione. E’ Rosanna ad iniziare in maniera freudiana e non le poteva essere più appropriato. Una piacevole lettura nel letto, si lascia dire. Una storia non eccezionale, passionale a tratti con finale incomprensibile. Letizia la trova una storia collocata male nel tempo e nei tempi, come nelle fiabe le fate si risvegliano fuori dal tempo. Katia fa notare come la storia sia quella della trasformazione di un paese ma è d’accordo con Letizia: la bella addormentata ha dormito troppo. Non solo ha dormito per Barbara, ha vissuto senza passioni che è come non vivere. Anche Mirca concorda con Katia, sul fatto che la trasformazione storica non è stata interiorizzata dai personaggi, all’evoluzione generale non è corrisposta l’evoluzione dei sentimenti. Per Giusy la protagonista si presenta come un’eroina che non è, perfettamente il frutto dell’aristocrazia. Per Maria il personaggio è sfuggente, come le sedie di Giusy, è consapevole della propria fragilità così non può permettersi di lasciarsi andare. A Chiara e Alberto il libro è semplicemente piaciuto. Anche a Luisa cui ha colpito come la protagonista sia spettatrice e della sua vita e di quello che le accade intorno. La critica quasi corale al personaggio è la patina borghese, l’emancipazione presunta, le emozioni contenute, l’assenza di ribellione, la presunzione e l’orgoglio di ciò che si poteva permettere come nella donazione assurda, quasi, al figlio illegittimo del marito. Mentre dal suo di figlio illegittimo quasi vorrebbe riprendersi la confessione sfuggitale come spiccioli dalle tasche.
Il caso, la pazienza e le lacrime. La Vita avrebbe potuto condurre altrove la nostra contessa e invece il caso, uccidendo il fratello, le aveva regalato la Bandita sulle colline del Chianti. Alla Bandita, con la pazienza, aveva imparato a fare il vino. Con la stessa pazienza aveva aspettato il suo amore. Non aveva versato lacrime quando se n’era andato quell’amore, trotterellando, né aveva pianto quando il fratello, morendo in maniera così irriguardosa e testarda, l’aveva resa libera dalla ricchezza del marito. Bella l’immagine di quelle lacrime mai versate che sono come fiumi sotterranei che scavano cunicoli e s’infiltrano sin nelle viscere dell’anima. Ma in superficie è facile trovare una terra arida.
Le fate sono svelte nelle loro faccende e un secolo fa in fretta a passare. E se si è dormito in tutto questo tempo e non si è sognato può essere perché la vita stessa è stata un sogno lunghissimo. Ritrovare sul finale un amore che non si conosceva può essere svegliarsi dal sogno. La mia diletta. Arrogarsi il diritto d’un amore, di farlo vivere o morire, può essere grande come l’amore stesso. Sia che lo si chiami onnipotenza, col nome di Francesco, sia che lo si chiami semplicemente denaro, col nome di Trott.

mercoledì 23 giugno 2010

La Vita Stupida o Imperfetta

...non vorrai ricominciare ( a fumare ), vero?

No...solo una ogni tanto...per ricordarmi che non siamo perfetti, che facciamo cose stupide nella vita.

( Nel Nome del Padre di Gianni Biondillo )

Nel Nome del Padre di Gianni Biondillo

Siamo giunti alla fine. Il nostro ultimo incontro prima della pausa estiva, prima della serata di saluto. Solo in sei stasera, intimi come non mai, anche per l’argomento che andremo ad affrontare. Siamo io, Alberto ( che vincerà un premio per la presenza ), Luigi, Maria, Mirca e Barbara. Letizia si aggiunge sul finale. Peccato per Rosanna che pensava l’incontro fosse domani e auguri a Mercede che si appresta a partorire. Gli altri li aspetto sempre.
Nel nome del padre, si finisce.
Quand’ero piccola nel nome del padre si cominciava un giorno, si iniziava a mangiare, si terminava poi quel giorno. Nel nome di mio padre non si poteva sgarrare. Tutto, sempre, era nel nome del padre, appunto. Capiterà stasera di parlare anche delle famiglie d’altri tempi, delle donne che figliavano senza assistenza medica né tantomeno psicologica, delle loro depressioni a cui non sapevano neanche dar nome, così è per questo che mi sovviene nel nome di mio padre.
Luca, il papà di questo libro, è debole sia agli occhi di Luigi che a quelli di Alberto che lo riscatta a uomo forte solo quando sta per diventare padre per la seconda volta. È interessante guardare la paternità dagli stessi occhi maschili e da quelli femminili. Noi donne, quelle presenti, ci avventuriamo nel disagio ad esempio che può provare un uomo assistendo al parto, nel senso d’inferiorità che può avvolgerlo dinanzi a una fatica così dolorosa, nella gelosia che può intervenire all’arrivo di un bimbo al quale pure ha contribuito. Siamo tenerissime che ci lasceremmo abbracciare nelle parole di Maria quando soffriamo per esserci svuotate delle nostre creature, può capirlo questo un uomo? Eppure non è il sangue che ci fa figli o che ci fa madri o padri. Il mondo si aspetta che una madre sia tale subito, appena partorito, il padre può prendersi il suo tempo e, nel caso, ha più giustificazioni che la madre sembra non avere. Ma, come suggerisce Mirca, questo padre, questo Luca, sembra quasi un personaggio femminile e la sua sofferenza è stata così forte che un Luigi sorridente e voglioso di fare si tira indietro dalla pur più remota possibilità che si avveri su di lui. Così quasi ha deciso che meglio sarebbe non avere figli, ancora meglio non condividere un progetto familiare. Per un attimo ci fa sorridere la sua drasticità poi però proviamo a convincerlo che una cosa che potrebbe fare ad esempio, semplicemente, sarebbe non assistere al parto, nel caso. Risparmiarsi lo strazio della sua donna. Alberto invece non ha dubbi. Lui i suoi figli li vedrà venire al mondo. Dice che suo padre con lui l’ha fatto. Solo con lui però, con suo fratello s’è tirato indietro. Barbara nemmeno ha dubbi: l’uomo se c’era quando l’ha fatto il figlio ci dev’essere anche quando nasce. Non fa una piega. Forse. Già, perché non tutte le donne magari vogliono o vorrebbero mostrarsi così nude nella sofferenza. Così poco aggraziate, senza dignità, nella loro intimità povera di qualsiasi carica erotica e sensuale come può essere stato nell’atto d’amore che le ha portate fin lì. Mi verrebbe da dire ancora il pudore. Mi verrebbe da dire che resta solo una loro scelta avere o non avere il compagno di fianco, e che se lo vogliono questi non deve esimersi visto che, per dirla con Maria, lui ha già avuto il culo ( che fatica scriverlo, Maria, non potevi usare fortuna? ) di non farlo il figlio, quanto meno si lasci stritolare un braccio! 
Nel libro inciampiamo in un personaggio bellissimo che è Michele. È un padre già esperto, bello nel suo essere padre. Anche nel suo essere amico. Mirca ce lo ricorda leggendo forse la frase più bella di questo libro dove avere un figlio è come andare a scuola, quando nasce un figlio è il primo giorno di scuola di padre e tutto quello che c’è da imparare è il figlio ad insegnarlo. Luigi, che già ci aveva fatto sorridere con la sua presa di posizione del non avere figli e del fatto che Luca è debole non perché lo sia davvero ma perché è lo scrittore che lo ha descritto così, ci fa sorridere ancora quando ingenuamente ci svela che a lui è sembrato inquietante l’essere allievo di suo figlio.
L’avvocato donna non piace a nessuno, è superficiale in termini di sentimenti, non rischia, si attiene, come pure è giusto che sia, solo alle sentenze. Ed ha stuzzicato Luigi in termini giuridici, dandogli spunto per la sua tesi di laurea. E per la professione, nel caso. Ancora. Mirca si lascia andare con confidenza alla storia di due suoi amici e Maria riscatta Sandro che, mentre per tutti ha giocato sino in fondo ad un gioco sporco, per lei è riuscito a riscattarsi agli occhi dell’amico regalando, ad un prezzo discutibile appunto, la presenza della bimba nel giorno di Natale. Complice un fioretto che se pure ti farà tornare indietro ad una debolezza è solo per ricordarsi che non si è perfetti, che facciamo cose stupide nella vita.

lunedì 7 giugno 2010

La Vita più Veloce

E poi tutto il resto, la vita che ti rincorre e ti incasina.

( Per Cosa si Uccide di Gianni Biondillo )

Per cosa si Uccide di Gianni Biondillo

Ecco. Questa sera, per la tredicesima volta in questo ciclo, siamo pronti a reiterare la malefatta del piacere di stare assieme dopo aver letto un libro, tutti lo stesso, in questa società al declino, in questa città dove, come a Milano, se nevica non c’è nulla di poetico; dove i bolognesi, come i milanesi, sono strani, hanno nostalgia delle cose che distruggono, però sempre con un po’ di sangue rosso nelle vene, con la capacità di far scorrere qualcosa, dal basso, di cui chi ‘sta in alto’ magari neppure si accorge.
Colpevoli ancora una volta Alberto, Maria, Rosanna, Chiara, Katia, Luisa, Mirca, Luigi ed io. Per cosa si uccide. E noi, contrabbandieri professionisti ormai, dediti come siamo con bramosia al traffico di libri, proficuo di idee e di opinioni, vena diamantina delle emozioni nate dalla parola scritta,  noi, per cosa uccideremmo nel caso? Per i soldi? Per il sesso? Per il potere? Per odio? O per amore? Già. L’Amore. Quello che si nega di godere in maniera pura. Allora, rei confessi di un probabile crimine, siamo quasi tutti d’accordo, iniziando da Rosanna, nel dire che uccideremmo intransigenti ad abusi commessi sui bambini o a violenze sulle donne. Come l’ispettore Ferraro che, pur conscio che in una società civile la legge è sopra ognuno di noi, sopra le nostre bestialità, non riesce a trattenere un pensiero omicida pensando alla sua bambina, Giulia, all’idea assurda che qualcuno potesse rubargliela, stuprarla, ucciderla. Che bello che è Ferraro! È piaciuto a tutti nonostante, come dice Mirca, sia un po’ sopra le righe o rimandi a delle macchiette stile Totò e Peppino, o Stanlio e Olio, aggiunge Luigi. Badate bene che non si tratta di un libro divertente, ci redarguisce Maria, pur con tutta l’ironia che vi si ritrova. Anzi. L’’ironia lo rende scorrevole ma non certo facile. Eppure i personaggi sono tutti ben definiti, rammenta Luisa, tutti caratterizzati così ad arte che il giallo, il genere del libro, passa in secondo piano. Così accade che Alberto, a cui pure il genere non entusiasma, si mostri soddisfatto della lettura; o che Maria si sia accorta con noi che non gliene importa nulla di dipanare il giallo appunto tanto è agganciata dai personaggi; lo stesso vale per Katia, e per Chiara che probabilmente, fuori dal gruppo, avrebbe scartato un titolo così; Mirca fa appello alla maturità di leggere che si acquisisce in un gruppo e Maria chiude dicendo che lei, che pure non ha mai avuto il complesso di dover finire un libro, spesso lo finisce per poterne parlare ( notturno bus docet! )…con noi.
Insomma leggendo per cosa si uccide impariamo che si può uccidere per tante cose, molte già menzionate. Morire per tante cose. Che anche la cosa più ordinaria di questo mondo, il cerchio della vita, morire appunto, può avvenire in maniera straordinaria e spiazzante. Spiazzante come Lanza, personaggio tassonomico, non di questa terra, eccezionale, che mi è assomigliato tantissimo nell’educazione d’altri tempi dove la prima regola è non dare fastidio, scomparire mai apparire, accettare le critiche, avere la certezza d’essere nel torto, imparare dagli altri sempre, modesto e umile per abitudine. Ma se diceva A era A. Punto.
Si può uccidere, sì. La civiltà non ci ha ancora riscattati da questa bestialità. Tuttavia non sembra un libro di condanna. Soprattutto laddove la mano si arma per amore. Che aberrazione! La stessa che può far piangere, disperare, ubriacare, se a morire è un amico che non sembra un amico perché di lui non sai neppure il cognome. Ma, quand’è così, non si sta a guardare la bocca del cavallo, e se è Donato o Armandino poco importa. È un amico regalato. 
Impariamo che si uccide anche qualcosa d’altro che non sia un nostro simile. In maniera diversa. Si uccidono i sogni per esempio. Perché la vita ti rincorre e ti incasina. Impariamo che il disprezzo può uccidere come il più feroce degli assassini. Tuttavia a volte può anche salvare, far tornare a vivere. Quel disprezzo che solo per esserselo immaginato annichilisce la diffrazione codarda del lasciarsi vivere.
vita/lanza

giovedì 27 maggio 2010

Giampiero Rigosi, incontro d'autore


Caro Giampiero,

dopo che Luigi t’ha chiesto se poteva darti del tu chiamandoti Giancarlo, io qui azzardo il caro perché ho deciso di scrivere il diario della serata che ci hai regalato sottoforma di lettera. E una lettera che si rispetti deve iniziare per caro. Pensa. Mi è venuto stamane in autobus. Già. Oltre che leggere, spesso scrivo in autobus, se trovo posto. Spessissimo ho scritto proprio lettere che poi durante la giornata diventavano mail, trascritte velocemente e furtivamente. A volte anche i resoconti delle serate di lettura. Anche un brevissimo racconto. Ed è particolare come effettivamente su un bus si sfiorino tante vite e una Vita resti a parte di quel crogiuolo di saliscendi, quella transumanza
 giornaliera di assonnati, svogliati, pensionati, che da una periferia all’altra attraversa la città. E neanche la guarda.
Ho scelto la lettera perché è ancora un bel modo di comunicare. Con alcune persone lo faccio se voglio davvero far dono di me. Con Letizia l’ho fatto. Coi miei fratelli. Con un Amore. Con  Maria a volte. Maria, la ricordi, sì? Arrabbiata perché hai scritto una sceneggiatura e non un romanzo. Però ad un certo momento ti guardava affascinata e temo che l’arrabbiatura sia rientrata. Probabilmente l’hai conquistata quando in maniera semplice hai detto che di scrivere senti il bisogno, che fare lo scrittore era per te un sogno irrealizzabile e semplicemente ti sei dovuto arrendere alla Fortuna che te l’ha concesso per mestiere, che di fare lo sceneggiatore potresti certamente fare a meno. O forse l’hai conquistata dicendo che hai fatto tanti lavori manuali proprio per lasciarti la mente libera. Ma sai che anche Erri, Erri De Luca, dice una cosa simile riguardo al suo essere scrittore? Che non pensava che l’avanzo della giornata lavorativa potesse trasformarsi in un modo di vivere? Lo sapevi? Come vedi anch’io a domande non scherzo. Per questo mi ha catturato l’interesse che hai per le domande, sul fatto che scrivi storie perché te ne fai tante e che se anche non trovi le risposte non è poi così importante. Ma sai che mi hai dato un’idea? Sembra tanto filosofeggiare e del resto tu filosofo sei, hai detto. Perché? quanto tempo ci hai messo a laurearti? Qui la domanda corretta da brava apprendista bolognese dovrebbe essere: quanto tempo ci hai messo a laurearti pure? Voi usate il pure, come altro, come tiro, come tante cose che usate solo voi. E che mi piacciono. Non solo a Katia, bolognese doc che ha amato Notturno bus riconoscendo la sua Bologna. E perché sua poi? se l’è mica comprata Bologna lei? Guarda, rischiavi anche di offenderla quando hai detto che tutte le periferie si somigliano e che o Bologna o Roma, come poi è stato per girare il film tratto dal tuo libro, non faceva molta differenza. Stavi scherzando, vero? Diciamo solo e semplicemente che Roma è una città cinematografica, ribadiscilo per bene, e che Bologna è una città….è una città. Insomma: non toccare Bologna a Katia. Neanche a Letizia per la verità. E neanche a Maria. Né a tutti gli altri, ché nessuno è bolognese ma tutti hanno scelto di esserlo. E neanche a me, se devo dirla tutta.
Sai qual è stata la bellezza della serata? Che tu stessi bene con noi. Che si vedeva che stavi bene. Sembrava che non volessi andartene e noi t’avremmo trattenuto, davvero. Il fatto di dirci delle cose così personali poi, di rievocare ad esempio davanti a persone sconosciute un momento intimo come può essere quello della paternità; o della precarietà finanziaria eppure avere la scelleratezza e lo sprezzo di un lavoro che i tuoi comprendevano e comprenderebbero ancora; di riferirti con tenerezza a quel tuo amico Lucio che poi è il nostro Paolo e chiederti davvero, lì, in mezzo a noi, perché nessuno lo considera se pure è bravo; ancora il ricordo quasi nostalgico della cartina ragnatela; eppoi come nasce Susy, sorridi della fusione che t’ha portato a questo personaggio ma sembri Francesco preso da pietà, dici di no come lui e vuoi farcelo credere ma non sei credibile, quanto meno idealmente, dopo che ti sei lasciato dire che stai bene e scrivi bene quando tutto quello che scrivi è intorno a te, anche Susy intorno a te verrebbe da dire; e ancora che sei pessimista e uno quasi lo direbbe con pudore con tutte le congiunture favorevoli; e che sei pigro denigrandoti apertamente quando uno direbbe che sgobba da mattina a sera; e che la vanità t’appartiene, a Giampiero scrittore sì; poi ti fai serio e ti preoccupa la vena necrofila della società e vuoi denunciarla e poco t’importa se sei impopolare; ti compiaci di saper osservare le donne e forse ti piacciono anche data la camicia bianca, larga, leggera, te l’ha prestata Paolo? Se avessi avuto una figlia si chiamerebbe Alice. Sai che mi son chiesta in quanti che ti conoscono lo sanno?
Vedi, Giampiero, potrei rendicontare tutto della serata perché sono veloce e dettagliata negli appunti e mi è piaciuta la citazione di Nabokov dove Dio è nei dettagli. Mi sento sollevata, non mi sentirò più d’aver fatto subire le mie lungaggini a chi mi legge. Neanche con te, ora. E mi chiedo come ho fatto a perdermi una citazione del genere! Sì, potrei ripetere che d’estate ti ritrovi con altri colleghi e leggete quello che state scrivendo, che è stata Simona Vinci ad illuminarti sulla lunghezza ieratica del primordiale ora dell’incontro, che Tolstoj è il tuo scrittore preferito, che sei finito a collaborare con Faenza perché lui t’ha contattato per farci un film su Notturno Bus, che per il cinema americano è bibbia osannare dall’alfa all’omega un personaggio, anche apocalittico, che l’idea di un racconto ritmato ti è valsa la pubblicazione nella collana Ritmi poi Stile Libero, che ti piacciono i cambi di visuale nella letteratura come nel cinema, che internet è stato un sollievo alla tua pigrizia, che facevi un laboratorio di scrittura autogestita con Lucarelli e Fois, che Loriano Machiavelli è convinto che i soldi arrivano quando se ne ha bisogno, che tu eri convinto di passarci due anni con i sedici milioni di lire della tua liquidazione e dell’anticipo della casa editrice, che Palmieri non è morboso o se è morboso è un dongiovanni lirico, che la tua compagna pensa che Leila sia mascolina pur essendo bellissima, che hai scritto delle canzoni, che ti piace scrivere a mano, che rileggi molto, che al momento hai due pile di libri sul tuo tavolo di lavoro ma non c’è il Conte di Montecristo, che un tuo amico scarso lettore si cimentava sul Principe di Machiavelli e ti fece togliere tutti gli aggettivi dal tuo romanzo ma che pensi che le persone care manchino di obiettività, che spesso prendi in giro l’ispirazione e la pigrizia facendo finta di prendere appunti, che c’è uno che scrive per te mentre dormi, che non avevi notato la ricorrenza del nome Giada nei personaggi delle due bambine, che i racconti sono istantanee e il romanzo può accogliere tutti i generi, che il regista non vuole attenzione al dettaglio e tu invece per far mangiare un piatto di spaghetti alla povera Clara hai superato anche Kubrick in Odissea 2001 nello spazio, che nel tuo prossimo lavoro ci sarà un affollamento di personaggi di cui conosci già i nomi che vanno da Mirca, a Letizia, a Lorenzo, ad Alberto, a Katia, a Chiara, a Rosanna, a Maria, a Barbara, a Luigi, a Natalia, a Gianluca, a Cristiana, a Simone, a Vita.
Insomma, Giampiero, vuoi davvero che ti dica tutto ciò? Facciamo che lo sai già e arrivo alla fine di questa lettera bislacca e così come ho iniziato chiudo con un azzardo. La serata che ci hai regalato ha superato quella con Gianrico. L’ho detto! I paragoni non si fanno, lo so, gli amori spesso finiscono quando se ne fanno, ma come faccio a farti capire la bellezza della serata? Dopo che nel precedente diario sei inciampato nella mia causa di beatificazione di Gianrico Carofiglio?
Grazie davvero, Giampiero, a presto.



mercoledì 26 maggio 2010

La Vita Giocata

...quando aveva trent'anni pensava di poter aggiustare un pezzo di mondo, sentiva nelle vene il coraggio di giocarsi la vita. Adesso che è vecchio, gli è cresciuta dentro una paura terribile di crepare.

( Notturno Bus di Giampiero Rigosi )

lunedì 10 maggio 2010

Notturno Bus di Giampiero Rigosi

Una buona scusa per uscire in orario dall’ufficio finalmente, l’incontro di lettura. Eppoi ho ancora le ultime trenta pagine da leggere, le avrei lette nella pausa pranzo ma mi ha intercettato la nuova collega. Per fortuna il viaggio in autobus è lungo, quale migliore luogo per leggere il notturno bus dove poi l’ho letto praticamente tutto? Se solo non sobbalzasse così tanto, l’autobus! E soprattutto la mente non avesse voglia di perdersi oltre il finestrino e la città che scorre. Ci son sempre i gradini di San Petronio. Matera mi muore lì. Francesco e Leila decollano da lì. Mi resta anche qualche minuto per guardare attorno la piazza. Bologna è davvero bella ed io a volte riesco ad amarla quasi fosse mia. La sua ragnatela è micidiale.
M’incammino per raggiungere gli altri e in via Lame incontro Maria che scende dalla bici e prosegue con me a piedi. Abbiamo delle cose da dirci, anche delle tristezze da raccontarci.
Saremo pochi stasera: Mirca stava andando a consegnare un fascicolo dell’ultimo minuto in via Murri; Letizia ha Nembo convalescente; Angelo l’idraulico, non convalescente ma in casa; Luigi l’esame, con studi convalescenti forse; Gianluca dice che poi mi spiega; Milvia semplicemente non ce la faceva; Cristiana – sarebbe stata la sua prima volta – una bega di lavoro; Mercede e Ivonne non pervenute. Siamo comunque in nove ( ancora la perfezione più perfetta! ): Alberto, Maria, Rosanna, Katia, Chiara, Luisa, Lorenzo, Barbara - che bello! - ed io. Sul finale si aggiunge Natalia, il suo primo incontro, vediamo di non metterla in fuga.
Mi fa piacere la domanda iniziale di Lorenzo che ci chiede come sta il gruppo. Credo che il gruppo stia bene, quest’anno poi abbiamo letto tanto e molto di più rispetto all’anno scorso e, anche se ci sono stati dei passaggi curiosi, lo zoccolo è rimasto ed è assiduo ed è attento, ed ha ancora voglia di leggere assieme. Alberto pensa che avremmo potuto ampliarlo di più come gruppo. Lorenzo che si debba evolvere. Io credo che come gruppo abbiamo raggiunto davvero un buon livello di intimità e quindi anche di ottima comunicazione, sarà forse per questo che chi entra ora quasi si spaventa. Maria è d’accordo e anzi lei quasi s’imbarazza quando c’è qualcuno di nuovo. Quanto ad evolversi probabilmente il genere di letture che affronteremo nel prossimo ciclo ( il terzo! Evvai! ) potrebbe far la differenza. Si potrebbe per esempio azzardare di leggere dei classici, Pirandello e Deledda per fare dei nomi, o potremmo scegliere autori per argomento e spaziare oltre gli italiani e viventi. Appunto, italiani e viventi. Veniamo a Rigosi, ora.
Lorenzo non ha letto tutto ma gli è piaciuta molto la descrizione di Bologna, questa cartolina anni ’90 di posti che sta imparando a conoscere. Si è sentito coinvolto nel ricordo di un concerto mancato, quello di Petrucciani, dove sarebbe dovuto andare anche lui. La velocità della storia e le descrizioni particolareggiate con ritmo incalzante danno intensità al libro, dice. Già, aggiunge Katia, sebbene il finale risulti quasi scontato. E Chiara concorda. Ad Alberto il giallo non ha fatto impazzire, le scene son ben narrate, questo è indubbio, ma la trama non gli è parsa così chiara tant’è pensava che i due ce l’avessero fatta. Infatti il punto è, dice Rosanna, capire se Rigosi nasce come scrittore o sceneggiatore. Glielo chiederemo. Katia ci delucida sulla storia narrata e sembra, da intervista letta, che l’ispirazione sia venuta proprio da un episodio vero di una ragazza su un autobus. Maria ha fatto fatica a leggere, anzi voleva interrompere ma il desiderio di poter dire è stato più forte. Notturno bus è una sceneggiatura, dice veementemente, e non può meritare l’appellativo di romanzo giallo. Quelli di Carofiglio sono romanzi (santo subito Gianrico! ). Questo è un libro a quadri dove lei ha fatto una fatica pazzesca per non perdersi e ha dovuto segnare tutti i nomi man mano che individuava  un personaggio. Detto ciò, ridotto a zero il valore di libro, la sceneggiatura resta alta, aggiunge pacata. Con personaggi strepitosi. Rosanna ritiene che sia troppo ridondante di particolari questo notturno bus e chi scrive, qui Rigosi ma chiunque, non può non mettersi nei panni di chi legge, non pensare alla reazione del lettore. A lei affascinano gli scrittori che riescono a scrivere quasi avessero vissuto davvero le storie e cita ancora Carofiglio e il suo Guerrieri ( posso indire la causa di beatificazione per Gianrico scrittore? ). O anche Erri ( per lui niente causa di beatificazione. Erri è. ). Lui non le inventa le storie, ci dice Maria, avendo letto una sua intervista. Sembra che sia solo relatore di cose che vicine o lontane riempiono la sua vita. Eppoi mi pare d’aver capito che la sua vita sia stata così piena che può permettersi davvero d’avere materiale in abbondanza senza dover sforzare la fantasia. Torniamo a Rigosi che lo so che a breve chiameremo Giampiero. Ci perdiamo un po’ in questo mondo che davvero si snocciola sugli autobus, alle storie che, proprio come nel libro, si sfiorano senza saperlo, si vivono accanto, si disturbano, incappano le une nelle altre, e allora ci può stare che alla fine il Ragno con la sua ragnatela le divori, le accomuni in unico destino o, se non siete fatalisti, semplicemente in un unico progetto. Prendiamo il geometra Sacchetti: quante volte vi siete chiesti leggendo cosa c’entrasse nella storia? I più maliziosi, son certa, avranno pensato che metterci del sesso in un libro alza l’attenzione. Invece è solo che il nostro geometra, distraendosi per urgenze di sesso, finalmente ha fermato la corsa dei delinquenti.
Siamo tutti d’accordo che Rigosi col suo notturno bus ha fatto anche una fotografia spietata, non solo malinconica della Bologna anni ’90, di alcuni costumi, della corruzione, dell’ipocrisia, della disperazione. I personaggi sono inventati, può darsi, ma sono riconoscibili. Le situazioni anche. Oltre che i luoghi per noi. Così ci restiamo male quando Luisa insinua il dubbio che il film tratto dal libro sia ambientato a Roma. Ma come? E la ragnatela? Alberto cerca una recensione del libro e del film on line. Scopriamo che si ragiona in euro e non in lire nel film e che quindi i nostri anni ’90 sono riveduti nel nuovo millennio. Il resto però è uguale. Verrebbe da dire: schifosamente uguale.
Mentre discutevamo stasera mi sono sorpresa a rintracciare il filo conduttore della storia, come un sottofondo quasi impercettibile. Mi aveva colpito il personaggio di Francesco, l’autista di questo autobus ( il 20 o il 37 probabilmente ), che nella sua disperazione aveva trovato spazio per la pietà verso il travestito che resta sdentato in una frenata, quando di spazio per la pietà non doveva essercene più fuor che per se stesso. Ma soprattutto di Francesco mi ha colpito la sua capacità di sentire l’odore, di riuscire ad impregnarsi le narici di un passaggio così veloce come era stato quello di Leila. L’odore. L’olfatto sembra che sia la parte più antica del cervello, quello che insomma i nostri antenati hanno sviluppato e che forse ancora ci degrada o ci eleva ad animali. Per loro lo chiamiamo fiuto. Così mi sono sorpresa di riconoscere e sentire i vari odori che via via vengono descritti, non solo quello di Leila. L’odore della parmigiana, del tabacco, delle gomme sull’asfalto, della polvere da sparo, del sangue, del sudore, della pelle bruciata, di una dissenteria improvvisa, dei soldi e del sesso. Gli odori che le varie situazioni sprigionano insomma. Forse è l’odore l’anima di questo libro, quello che riesce a reintegrarlo come romanzo. Visto che manca di anima, come dice Maria. Matera però mi pare l’abbia l’anima. Mi è piaciuto come personaggio, mi piace chi sa gustarsi della buona musica e trovare sempre il tempo per farlo anche quando non è il tempo perché magari stai per ammazzare qualcuno. Roccaforte pure ce l’ha l’anima. Riesce a sognare e non è da poco in un uomo. Lascia pure poi che siano incubi! Io Rigosi me lo sono immaginato come Roccaforte. Avrei potuto immaginarlo anche come Matera ma visto che lo dobbiamo incontrare preferisco non renderlo assassino. Prepariamoci ad accoglierlo piuttosto, il 27.

giovedì 15 aprile 2010

Passione Sinistra di Chiara Gamberale

Prima di venir via dal lavoro mi sono raccomandata con Gianluca di venire a sentire e… che sorpresa! Quando arrivo lui c’è già, è stato coraggioso ad entrare pur non trovandomi, non ancora arrivata. Oltre a lui ci sono due persone nuove: Mirca, che l’ho corteggiata tutte le volte che son passata in studio dove lavora, e Milvia, una collega di Lorenzo. Siamo in dodici. Oltre ai tre nuovi arrivati, Letizia, Lorenzo, Alberto, Maria, Rosanna, Mercede, Luisa ed io. Luigi si aggiunge a metà incontro.
A Rosanna non è piaciuto questo libro. Non ha capito qual è il messaggio. E non capisce perché lei, Nina, con un compagno che è l’ideale di tutti i compagni, Bernardo, se ne esce di quarto e lo tradisce. La passione sinistra dunque, oltre che di ideologia politica, non può che essere interpretata come passione pericolosa. Eppoi questa cosa di tradire con uno di destra! Alberto e Luisa sono d’accordo nel dire che era proprio la contrapposizione politica ad intrigarla, uscire fuori dagli schemi. Letizia parla per esperienza personale dacché il suo ex marito votava MS e dice che la incuriosiva il fatto di non averne mai conosciuti, di destra, e immaginava ci potesse essere un confronto. Rosanna chiede se è riuscita a convertirlo. Affatto. Ha dovuto separarsene. Mentre Lorenzo pensa che Nina nel tradimento soddisfa un bisogno di vanità semplice, infantile, Maria lo redarguisce con del moralista se esclude che ad una persona, ad una donna, possa arrivare un soprassalto d’erotismo, anche nel mentre d’una bella storia d’amore, e semplicemente soddisfarlo. Magari Nina aveva solo voglia di conferme. E certo! Fa eco Rosanna. Quello continuava a chiamarla topolino anche quando gli chiedeva se era bella! È che noi uomini a volte davvero non ci arriviamo, si giustifica Lorenzo. E assieme a lui giustifica anche la categoria. Maria torna a Nina, alla donna, alle donne che probabilmente ascoltano di più il proprio corpo, che riflettono sul rischio delle sicurezze presunte, diffidano dei mari calmi, cedono al mistero del desiderio. Forse è per questo che il tradimento di lei sembra meno squallido di quello dell’avvocato Faleni col quale tradisce. Anche questo cede al mistero del desiderio, certo, anche lui ascolta il suo corpo, eccome se lo ascolta, ripetutamente anche, ma le sicurezze non sono a rischio e l’integrità apparente quasi mai viene scalfita. In nome di una immagine familiare, di un credo politico, di una classe perbenista borghese che non riesce a consumare un rapporto sul letto nuovo che dividerà con la moglie, salvo che sia ancora avvolto dal cellophan e allora si può derogare. E sempre con la fede al dito, anche quando ( e soprattutto verrebbe da dire ) con quella al dito fa a Nina qualunque cosa. Come bastasse solo ricordare d’essere sposati. A lei soprattutto. Alla non moglie.
Ci fa sorridere Luigi che arriva che un po’ di cose le abbiamo già dette e trova carino dover dire senza sapere delle nostre impressioni. Magari, sostiene, dirà cose già dette e questo vorrà dire che il suo livello è paragonabile a quello di Maria, per esempio. Magari, sostiene ancora, hanno sottolineato stesse identiche frasi. No. A Luigi il libro è piaciuto, son piaciute le note politiche in fondo alle pagine, gli è piaciuta la collocazione temporale della storia. A Maria le note sono sembrate staccate, hanno infastidito e il libro è semplicemente un corto costruito, non fluido, che ha persino la supponenza di criticare Delillo e Lessing! Be’, pensandoci, dice Luigi, il finale è davvero superficiale. Per tutta lettura ha sperato di trovarci un approfondimento politico, qualcosa di sinistra davvero che non è arrivato. Emblema della sinistra italiana! Che riesce a trovar poco che sia di sinistra.
Mi fa piacere che al suo primo incontro Mirca intervenga e ci dia la sua impressione sulla scrittura. Sul fatto che ci son quelli che scrivono che riescono a far uscire da dentro quel che sentono e quelli la cui sola maestria è di saper costruire delle frasi, dei racconti. E dunque per individuare un messaggio, quello che Rosanna non ha trovato, non c’è un solo modo di leggere perché non c’è un solo modo di scrivere. Vero. Anche Gianrico rispose più o meno così ad una mia domanda alla presentazione de le perfezioni provvisorie.
Gianluca, interrogato, ha gradito le postille politiche perché danno un’idea cinematografica. Ma la cronologia, che salta avanti e indietro, non l’ha entusiasmato e il genere ( rapporti uomo – donna ) lo stimola poco.
Insomma siamo tutti d’accordo nel non riuscire a trovare un momento bello in questo libro, che, come dice Lorenzo, lo leggi e lo rimuovi e che, sostiene ancora, avrei potuto scriverne io uno migliore. Che caro Lorenzo! Forse un momento bello è l’incontro tra Nina e Bernardo, suggerisce Luigi. Già.
A me questo libro non è piaciuto per niente, neanche i quadretti come può essere stato per Mercede. Trovo sia un libro povero, un surrogato del precedente, con ripetizioni di intere frasi e personaggi riciclati con problematiche velate e neanche troppo del tipo già sperimentato. L’unica frase che ho segnato è quella che m’ha fatto pensare alla mia amica Letizia. E alla bellezza di alcuni rapporti quelli dove, anche dopo anni, l’unico parere di cui t’interessi veramente è della persona che ti sta a fianco. Non necessariamente un compagno, potrebbe essere anche un amico. Perché a volte anche le amicizie si stancano e si annoiano, proprio come l’Amore.

giovedì 4 marzo 2010

La Zona Cieca di Chiara Gamberale

Stasera non nevica ma siamo pochini lo stesso, per un motivo o per un altro qualcuno non è potuto esserci. In compenso c'è Mercede col suo bel pancione. Mi fa un effetto vederla così e pensarla compagna di scuola al liceo! Siamo in otto, l'infinito. Tranne Alberto che resta al posto suo, gli altri, Mercede appunto, Maria, Letizia, Rosanna, Luisa, Lorenzo ed io, ci mettiamo in circolo, raccolti, presagio gradito alle confidenze, all'intimità sempre più intima.
È un libro che abbiamo letto e si è fatto leggere con curiosità la zona cieca. L’escamotage di Lidia, quello di scrivere al suo compagno sotto altra identità, sciamanica, a parte alcune zone cieche appunto riguardo al personaggio maschile Lorenzo, alla sporcizia intorno a lui, alla disperazione della e nella droga, ha mantenuto l’attenzione nella lettura. È un escamotage interessante. È indubbio secondo Maria che non si tratti di una storia normale e banale dove una lei cerca di attaccare a sé un lui. Piuttosto è la storia di un percorso che una donna riesce a fare, della capacità di un uomo di guarirla senza volerla guarire. Senza saperlo addirittura, come spesso capita perché poi questo agli uomini lo si deve riconoscere. A Maria questa donna non scandalizza, tutt’altro. Capace com’è di accettare l’uomo, Lorenzo, senza condizioni. Quest’uomo che riusciva a scrivere e dare attenzione, che sapeva essere perfetto nei momenti in cui doveva. E quello bastava. Una sveglia rotta che continui a tenere sul comodino e non riesci a buttare perché te l’ha regalata una persona cara. Lorenzo, il nostro, è critico col suo omonimo. Non riesce a comprendere le sue fortune e, pur condividendo il percorso di lei, di Lidia, trova che sia una donna malata, fragile. La scrittura poi non gli è piaciuta al contrario di Maria che l’ha trovata di comprensione immediata e che ha reso ancora più credibile il personaggio femminile con questo linguaggio di tutti i giorni, tipico di chi non mente a se stessi. Ci avventuriamo ora sulla storia. Possiamo definirla d’amore? Dipende da come lo si vede l’Amore, dice Letizia. Probabilmente era un bisogno che aveva lei, anche un bisogno che aveva lui. Mercede non è d’accordo. Pensa che nell’Amore non può esserci inerzia, come sembra dal personaggio maschile, un minimo di volontarietà deve sussistere. Inoltre non comprende come faccia Lidia a superare lo squallore del tradimento, di quel tipo di tradimento, sfrontato, tangibile agli occhi. Aspettate. L’Amore non è assoluto, interviene Rosanna. Lorenzo, quello del libro, vedeva delle cose in Lidia che lei stessa non vedeva e Lidia delle altre in lui che lui non sapeva. Non poteva sapere ad esempio la sua bella faccia quando mangiava qualcosa che non gli piaceva. Sembra un rapporto terapeutico il loro. Dove possono essere loro stessi, loro stessi che non conoscono. Già. Esplorano senza paura la zona cieca.
La discussione si allarga all’assenza di razionalità di una storia così, alla noia che sopraggiunge, alla ricerca poi della razionalizzazione di un sentimento irrazionale per definizione, ai tanti lorenzo e alle tantissime lidia, alle nostre esperienze - siamo belli in questo momento, ci stiamo svelando - all’errore d’investire la propria vita su quella degli altri, all’opportunità di nuovi rapporti, alla plausibilità di definire Amore un amore senza progetto e alle abitudini che lo fanno morire l’Amore, alla sciatteria che spesso consegue quando il pudore se ne va. E poi dopo? Se se ne va il pudore resta ancora l’Amore? Ma se se ne va, il pudore, non è l’estrema confidenza a subentrare e ad annoiarlo l’Amore? Non è l’estraneità che determina eccitazione? la non conoscenza che stimola la fantasia – è questa forse la vera motivazione dei tradimenti, Riccardo sembrava avere come un’ ansia di conoscere il mio corpo senza che gli dovesse sfuggire niente -  i personaggi presunti o inventati che rendono tollerabile il fatto che noi esistiamo davvero? Poi, solo alla fine, ci rendiamo conto che le storie, le storie d’amore, ci somigliano più di quanto somigliamo a noi stessi.

giovedì 11 febbraio 2010

Il Giorno prima della Felicità di Erri de Luca

Nevica. Però il gruppo è così impaziente che dubito si farà scoraggiare da un po’ di neve. Eppoi questa sera ci sono dei ritorni, Giusy e Barbara. Una da Roma, l’altra da un innamoramento. Rosanna non c’è perché occupa la scuola con suo figlio; Mercede ha avuto una settimana faticosa col suo futuro figlio; Angelo manca; gli altri ci siamo tutti: Alberto, Maria, Letizia, Luisa, Katia, Chiara, Luigi, Lorenzo ed io. Annuncio la partecipazione futura di Mirca e Riccardo, questa sera impossibilitati dal lavoro.
Siamo in undici e oggi è undici, il nono incontro di questo ciclo. Bello.
Siamo quasi tutti concordi sul fatto che il giorno prima della felicità si è fatto leggere più volentieri rispetto a il peso della farfalla. Maria si appresta a dire che lei ha letto volentieri anche l’altro. Infatti ha detto quasi, mi aiuta Letizia. Volevo dire che la lettura è stata più scorrevole indubbiamente per il fatto che qui non ci sono animali ma persone e nomi, che la storia passata e vera entra nel racconto rendendolo credibile. Gli americani, gli emigranti, la guerra, il duello per amore, ‘o panariello calato dalla finestra. Nu mumèee.  A Luisa infatti è parso di tornare nella sua città e Alberto ha riconosciuto suo nonno nel personaggio La Capa. Don Gaetano è piaciuto a tutti fuorché a Lorenzo che non ha letto. Dice che ha lavorato: ritorna accompagnato da un genitore, Lorenzo, non è una giustificazione ammissibile ( ti voglio bene, Lorenzo )! Alberto dice che avrebbe avuto piacere di avere a fianco una persona come don Gaetano. Già, soprattutto per farsi sostituire nelle chiamate della vedova. Siamo seri. E parliamo di questo ragazzino autistico a suo modo, schivo e indifferente perché troppo impegnato a crescere, dice Maria, e preso com’era da questo percorso di formazione della personalità non si è fermato ad Anna. Anna era lo strumento per imparare la vita. Mentre lei pensava di usare lui, per piangere finalmente, lui usava lei, per imparare a vivere semplicemente. Ognuno strumento dell’altro. Che non volesse essere amore? Sto pensando ora scrivendo. No. La figura di Anna sembra quasi imbruttisca la storia invece che ammantarla con la sua bellezza. Eppoi.  Mi stupisce questo ragazzo, quasi uomo, vissuto senza affetti, e che per contrappasso dovrebbe attaccarsi ad ogni parvenza d’affetto, e invece tutto lo lascia indifferente, la vedova e quella cosa della felicità con Anna. Sembra più importante il giorno prima che non quello della felicità. Condivido. Se non è stata una felicità improvvisa a sopraggiungere di solito non ricordiamo la felicità ma l’attesa della stessa. Il giorno prima. E per avere un giorno prima, dice Letizia, devi avere un obiettivo, un desiderio che realizzandosi generi la felicità. Vero, dice Luisa, che ricorda il giorno prima del matrimonio. Lorenzo si appresta a fare una comunicazione di servizio ovvero che l’addio al nubilato Luisa l’ha fatto molti giorni prima e non il giorno prima della felicità. Abbiamo capito. Ci chiediamo perché sia importante questo giorno prima della felicità. Forse perché la felicità, qualsiasi felicità, è troppo fugace, fatta com’è di momenti. Forse perché a volte è così desiderata che la esaurisce il desiderio stesso prima che sopraggiunga. Forse perché è una condizione difficile da riconoscere quando c’è. Carofiglio anzi Gianrico ( come quando uno si vanta di conoscere una celebrità e la chiama col suo nome ) in né qui né altrove fa scaturire la tristezza dei tre quarantenni proprio dalla loro incapacità di riconoscere o d’aver riconosciuto la felicità. La felicità è un regalo. Che meraviglia! Un regalo di cui non riconosciamo il valore subito o forse mai più, così ci resta solo il giorno prima. Tanti giorni prima per tutti i personaggi, interviene Luigi. Ogni personaggio ne ha uno suo che Maria, Giusy e Luisa partono nel cercare quale sia il vero giorno prima. Erri ( il vocativo è sempre stato il mio caso preferito ), se vieni, dovrai svelarci ‘sto giorno prima perché ci siamo un po’ persi. Ancora: Luigi pensa che il libro sia composto da due parti che lo dividono più o meno a metà. Gli è piaciuta più la prima. A Maria ha irritato la conversazione tra i due ragazzi ( però abbiamo trovato la frase da suggerire a Luigi per san Valentino alla sua fidanzata, mio fianco, palpebre di chiglia di navi ) e Letizia ritiene che le due parti, nel caso, non siano paragonabili.
Ognuno di noi aveva un brano o una frase preferita del libro, ognuno di noi ha letto quel brano o quella frase. Così è venuto fuori il pezzo di palazzo e il figlio della città, siamo dove viviamo, caro padre non ho preso da te; la libertà che non può trovarti nascosto; i libri che lasciano un vuoto incolmabile e che diventano ricci se c’è un incendio; la seconda voce di don Gaetano quando parla dell’Argentina; che bastano sei persone tutte in una volta e allora si vince, ci pensate? che gli uomini hanno bisogno di momenti speciali per mostrare il valore e invece le donne sono valorose nella normalità; la guerra che tira fuori ogni fetenzia; la notte che rende civile la città; un bambino senza carezze che non sente neanche le mazzate; il tempo che si mette addosso un odore per farsi riconoscere, mio padre è il caffè con la sambuca; le stelle addosso senza potersele scrollare; eppoi il giorno di convalescenza della felicità, quant’è dolce la malinconia che ci culla dopo che le cose sono accadute? E ogni giorno che nasce vergine di poesia; e la vita speciale che va difesa anche se deve passare del sangue; il napoletano che fa vedere le storie, l’italiano le scrive solo perchè è pigro e fa a meno dei casi.
Ancora: un giorno di maggio finito nel mazzo di dicembre e se ieri hai vinto a scopa hai finito di imparare.  

La Vita Fuori Stagione

Fuori era un giorno lucente, uno di maggio finito nel mazzo di dicembre.

( Il Giorno Prima della Felicità di Erri De Luca )

giovedì 28 gennaio 2010

Le Perfezioni Provvisorie, Gianrico Carofiglio

Sono passati alcuni anni dall’ultimo incarico diverso dell’avvocato Guerrieri e lo ritroviamo ne le perfezioni provvisorie, cambiato e non solo per un fatto anagrafico. È rimasto ironico, certo, coi suoi libri e la sua musica e i suoi film, e coi suoi secondi pensieri, che in realtà sono primi, davvero deliziosi e godibili. Ma è un uomo malinconico, che esplora la sua solitudine curioso e senza paura, e allontana la tristezza pensando ai bambini dell’Africa. Davvero amabile. Non è cambiato invece quando riesce, nella svogliatezza forse del sistema giudiziario, a mettersi sulle tracce di una giovane donna scomparsa nel nulla da un treno che non ha mai preso. Teatro della storia ancora Bari e la campagna pugliese in quel tratto dove ulivi e trulli sono un capolavoro dell’uomo e della natura. Una Bari attuale, a colori solo scuri per certi versi, eppure bella, notturna e silenziosa e carica di memoria e di ricordi. Due donne a contorno. Una giovane, bella e sfrontata; l’altra adulta, limpida e che invece cerca le parole. Facciamo senza le parole.

Le Perfezioni Provvisorie, Gianrico Carofiglio

Bologna, 28 gennaio 2010
Si guarda attorno, sembra emozionato, poi riprende Guccini qualche anno fa a Bari e dice accidenti, siete un bel casino! In effetti c’è molta gente. E non ha un presentatore, evidentemente è un uomo che non ha bisogno di presentazioni! Al suo pubblico fa una preghiera, quella di comprare il libro per mettere a tacere tutte le critiche cattive che lo vogliono più provvisorio che perfetto. È un Gianrico davvero ironico quello che si presenta stasera. Ci rassicura sul fatto che i libri non li scriva sua madre e che spera di non vendere solo perché fotogenico, come qualcuno ha detto. Tra le tante recensioni ne ha trovata una tecnica ( tecnica! ) che lo vede ispirato al progressismo buonista. Me lo spiegate cos’è il progressismo buonista? Chiede al pubblico. Forse non ha letto il libro il recensore per non farsi dei pregiudizi.
Prima di iniziare la lettura di un brano ci mette in guardia sul fatto che non tollererà che si diano dei nomi sbagliati alle cose, perché, citando Rosa Luxemburg, dare il significato giusto alle parole è già un atto rivoluzionario. Una ex prostituta non è una escort, è una ex prostituta. Altra premessa doverosa quella della coincidenza con la cronaca recente che l’ha alquanto infastidito e gli ha suggerito l’inserimento di una avvertenza iniziale al lettore, quella dei riferimenti a fatti e personaggi puramente casuale. Apre il libro e si sistema sulla poltrona comoda ‘sta poltrona! mentre con le gambe accavallate sfoggia un calzino a righe con tutte le sfumature d’azzurro, se non arrivano domande spontanee mi toccherà interrogare la prima fila.
Il capitolo che legge è quello del viaggio dei tre neo laureati – tra cui il giovane Guerrieri – che vanno a Roma per il concorso di magistratura. Legge anche bene ma il microfono è invidioso – forse è di destra – e lo zittisce a tratti e lui, così non va, sta facendo scherzi. Pronta arriva una ragazza a sostituirlo. Termina la lettura e la prima domanda quasi scontata è se il personaggio è autobiografico. All’inizio lui non era me ed io non ero lui ma ora ho deciso – bello questo decisoche io sono lui così cerco di imitarlo.
Come mai tante critiche negative? Non solo negative, è divertente citare quelle negative, tutto qui.
Arriva una domanda tecnica, riprendendo l’arte del dubbio, e il magistrato, che avrebbe ceduto i suoi genitori agli antropofagi pur di fare lo scrittore, semplicemente dice i processi si fanno raccontando delle storie.
Nel brano che ha letto uno dei tre neo laureati in viaggio si chiama Sergio Carofiglio, quello che più di tutti voleva fare il magistrato e che invece non ce la fa. La mia domanda. L’aver chiamato questo personaggio col suo nome è un vezzo, un compiacimento? Se sì, è delizioso. Ancora: anch’io ho recensito Gianrico, gli chiedo se gli è piaciuta la mia recensione che, a mia volta, è stata criticata per aver distorto l’attenzione dalla storia al personaggio. Ecco. La dicitura iniziale della casualità dei fatti e dei personaggi può essere superflua? È Guerrieri la storia. Non la droga o la scomparsa o la prostituzione. Gianrico sorride e con una bella vanità dice che se il Sergio Carofiglio è un vezzo delizioso, allora sì è un vezzo. Ha letto la mia recensione e, sì, la storia si è sviluppata attorno alle conversazioni notturne che dunque sono la vera storia.
Perché il suo personaggio è un avvocato? Si è presentato da solo senza averlo scelto. Ma riflettendo sulle ragioni:  ho capito che volevo guardare da un’altra prospettiva un mondo che già conoscevo benissimo. Il vero viaggio di scoperta è avere nuovi occhi.
Ma il Sacco, mr Sacco, esiste davvero? Esiste, è socievole e non se la prende mai.
L’avvocato Guerrieri si trova bene a Bari? Credo di sì. Bari è cambiata molto, anche a me piace. E per me ora, scrivendone, è diventato un luogo romanzesco, una esperienza interessante, una relazione sentimentale  da cui posso ripartire tutte le volte che voglio.
Ha avuto un colpo di fortuna Guerrieri ad incontrare Nadia? Dipende da chi la incontra, se è qualcuno che abita a Palazzo Grazioli…
Domanda al senatore ( Vi prego, no, penso ), come risponde alla definizione riportata da Curzio Maltese di evento dadaista sulla questione Puglia? Ognuno la spara più grossa.
Bene. Gianrico si prepara a leggere un altro brano. Umoristico. Ci prega comunque di ridere anche se non lo dovessimo trovare umoristico perché non è carino pensare di far ridere e non far ridere nessuno. Così siamo d’accordo che ad un suo cenno d’intesa dovremo ridere. Ma il brano che legge è troppo divertente in effetti, davvero comico, e di cenni non ce n’è bisogno. Il pubblico ride di gusto all’accento barese e ad alcune frasi tipiche.
Sembra soddisfatto Gianrico. Siamo alla fine. Un ultima domanda. È fortuna avere la stessa casa editrice di Camilleri?  È fortunata la casa editrice ad avere me. Bravo, Gianrico! Autostima e considerazione. Ma non è proprio l’ultima domanda. Una signora s’inserisce e chiede come si faccia a mangiare cinquanta ricci a testa. Si vede che non è pugliese, la signora, o che non è meridionale, cinquanta ricci si mangiano. E a quando il prossimo Guerrieri? Bisogna attendere un pochino, quasi scusandosi.
Sorridente autografa libri, si fa fotografare, sulla poltrona comoda in bilico sulle gambe accavallate, o anche no, nella perfezione provvisoria di quel momento.

venerdì 8 gennaio 2010

La Vita Presente

Il presente è la sola conoscenza che serve. L'uomo non ci sa stare nel presente.

( Il Peso della Farfalla di Erri De Luca )

giovedì 7 gennaio 2010

Il Peso della Farfalla di Erri de Luca

Sono arrivata tardi all’incontro e Lorenzo con me perché aspettavo un cliente in libreria che poi, come spesso capita quando si aspetta qualcuno, non è venuto. Attendendomi il gruppo già tutto presente, compreso Angelo, ha pensato che, data la mia recente influenza, non ci sarei stata. Eccomi qua a prendermi anche le sgridate di Maria perché mi curo poco. Forse se non mi curo è un desiderio nascosto di morte, dico scherzando ovviamente. E già Angelo, se questo sarà il tenore della serata, fa per alzarsi non nascondendo l’istintività della mano a un possibile gesto scaramantico che, Gianrico docet, resta soffocato.
È inizio anno. E per ogni inizio anno una breve digressione astrologica è quasi obbligatoria e ricomprende alla fine un po’ tutti, credenti e scettici dell’argomento. Sembra che scorpioni e leoni avranno un bel 2010 e di scorpioni nel gruppo ne abbiamo, quattro mi pare, come dei leoni, tre. Angelo, scorpione, sostiene che è vent’anni che il suo segno avrà un buon anno. Poi abbiamo un paio di bilance, tra cui io, che saranno in saturno. E Katia, altra bilancia, difende la questione dicendo che ce lo siamo appena lasciati alle spalle il nostro anno buono. Ma vuoi vedere che il 2009 era davvero il mio anno e, come dice De Luca, io non ci sia saputa stare nel presente e me lo son perso? È vero, dice Angelo, è stato fatto uno studio a proposito e chi riconosce il presente ne beneficia in ogni situazione. Maria si ritiene fortunatissima in questo senso, lei vive di presente. Anche Gianrico in né qui né altrove faceva notare che spesso quando passa la storia – lì lo sbarco degli Albanesi nei primi anni ’90 – non siamo né qui né altrove appunto. E spesso siamo perennemente infelici proprio perché quando passa la felicità ci trova anch’essa né qui né altrove.
Che bello spunto per iniziare a parlare de il peso della farfalla, l’oroscopo e Gianrico, sempre, ci hanno fornito un assist perfetto alla discussione. Già perché secondo Angelo – tornato in gran forma – il cacciatore, come molti, sembra imprigionato tra i ricordi del passato e la proiezione del futuro. Questa breve storia tra il re dei camosci e il re dei camosci è piaciuta al gruppo. A parte le perplessità iniziali di Angelo ancora, e Alberto e Maria che l’hanno letto due volte, e Letizia e Luisa che hanno un po’ sofferto il dover perdere la bellezza del libro per l’incomprensibilità di alcune frasi. Ma perché noi donne, sempre Angelo, vogliamo capire tutto, dobbiamo entrare per forza nella bellezza, trovarla, e invece loro, uomini, lasciano che la bellezza sia quella che è restata. Come siamo diversi!  In effetti De Luca è quasi laconico, misterioso. Frasi brevi. Pennellate di poesia, forse troppa poesia per un racconto in prosa. E qui quasi ognuno di noi rimanda a pagine, di poesia appunto, che sono piaciute di più e ne rileggiamo brani. Così a Lorenzo è piaciuta molto la descrizione di un uomo senza una donna che non è un uomo e basta, è un uomo senza. Ad Angelo – sì, ancora lui, forse vuole farsi perdonare la latitanza - è piaciuto l'incontro con la donna, un incontro silenzioso, dove sono i capelli della donna scacciati indietro e la sua stretta di mano a far sì che è un uomo senza e può dimenticarselo, ma quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo. Ancora a Lorenzo è piaciuta la comparazione col ragno, questi animaletti esperti di ingegneria meccanica. Io li ammiro i ragni infatti e soffro sempre molto nel togliere le ragnatele perché chissà quanto ci hanno messo per fare quell'opera d'arte...mi sa che ho dato un suggerimento al nostro lettore loquace per non togliere le ragnatele! Ad Alberto è piaciuto il fatto che non abbia usato nomi e il richiamo biblico trova sia semplicemente una ventata di poesia. Già, non pesante e forzato come il richiamo biblico di Baricco in Emmaus. A me è piaciuto il pezzo sulla vita, e non poteva essere diversamente, quella che a spasso di tante stagioni è da restituire, sul fatto che se c'è qualcuno che ce l'ha donata non può che essere un creditore di manica larga che non si cura del fatto che gliela si renda guasta, la vita che poi sarebbe roba sua.
Come dice Chiara i temi che vengono fuori da questo piccolo librino sono tanti e interessanti. Quello della solitudine ad esempio. Katia trova nella solitudine del cacciatore l'incapacità di trasmettere esperienze. Ma anche, come ricorda Angelo, la migliore amica di uno scrittore. Quello del pentimento. Quello del tempo. Il cacciatore che non riconosce il presente, spara e si pente. Quello della riconoscenza. Il cacciatore, fregato da un camoscio e da una farfalla, riconosce l'onore al camoscio, è lui il re.  Quello del perdono. Il perdono che certo, in maniera romanzata, l'animale concede all'uomo. Perché lui, fa notare Maria, è un camoscio diverso essendo nato in maniera diversa. Quello della volontà. È un camoscio che riesce a scegliere la morte piuttosto che essere beffato dalla vecchiaia e dal suo isolamento. Ed è un camoscio che, seppure dotato d'istinto e che istinto! non sta  alle regole ed osa.
Il libro è autobiografico, ci ricorda Rosanna. De Luca ha avuto infatti tre infarti. Leggendolo, sempre Rosanna, si è chiesta come mai manchi di fluidità: forse che l'autore, geloso, abbia tenuto molti pezzi per sé? quelli che a noi mancano? Bisognerebbe interrogarlo. Ricordiamo che quest'uomo s'alza al mattino per leggere l'aramaico, una lingua semplice ed essenziale, poco strutturata come possono essere le lingue antiche e quindi sicuramente il suo, di De Luca, codice descrittivo sarà essenziale a sua volta. Angelo s'impressionerebbe se avesse accanto uno che si alza al mattino per leggere l'aramaico! Mi è venuto da sorridere perché molte volte, di notte e d'estate a dire la verità, mi alzo a perdermi nei mie viaggi stellari. A proposito di stelle Chiara non ha potuto fare a meno di pensarmi tra stelle e costellazioni. Sarà che le nostre passioni più spesso vengono scambiate per stranezze. Ed è bello così. Angelo torna sul modo di scrivere di De Luca, ci sentiamo niente, dice, e ci fa sorridere ricordando un Troisi strepitoso in ricomincio da tre dove il paragone col più bravo era inarrivabile, ci sentiamo niente perché questo scrive e parla proprio così. Ora io ve l’ho scritto in italiano ma renderebbe di più se ve lo ripetesse Angelo in napoletano proprio perché come direbbe Erri il napoletano è fatto apposta. Prima di passare al secondo racconto, quello dell’albero, Lorenzo e Katia ci dicono che hanno trovato un articolo dove sembra che il libro somigli a un altro libro che parla di montagna. Forse, semplicemente, le storie di montagna si somigliano. O forse come abbiamo avuto modo di dire più volte con Katia può succedere che uno scrittore che legga molto partorisca pensieri come fossero davvero suoi. Glielo chiederemo. Il secondo racconto sembra ancora più criptato del primo, poesia. Maria dice che è un genere che non ama molto a meno che non entri dentro. E qui entra dentro. Io non amo la poesia in rima ma i pensieri immediati, buttati e non limati, mi piacciono molto. Siamo quasi tutti concordi, o forse ce lo ricordiamo per averlo sentito in qualche intervista, che il racconto dell’albero sia il racconto di com’è nato il peso della farfalla. Dell’ospitale ispirazione ricevuta sotto una chioma accogliente e disegnatrice di storie. Alberto è rimasto stupito dalla bellezza descrittiva delle nuvole e del tempo che cambia. In questo secondo racconto leggiamo una frase che Letizia dice di non avere proprio capito smise la solitudine che fa agili i passi. E ci lanciamo in interpretazioni. E come dice Luisa vola la fantasia. Forse è bello così, ognuno riceve a seconda del suo animo. Allora porto ad esempio l’ augurio di buon anno ai miei fratelli, dieci messaggi identici per ognuno di loro. Uguali perché mi piace immaginare che siano tutti assieme e che ricevano la stessa vita, me, ed è stato particolare perché sono tornate altrettante risposte con interpretazioni diverse. Quindi davvero è ciò che la nostra anima riceve.