Per niente al mondo si potrà rimandare l’incontro di stasera, il primo dopo la pausa estiva. Così quando Alberto mi chiama per dirmi che ha problemi con le chiavi della saletta gli dico di lasciarmi pensare un po’. Qualche scambio di sms e poi penso che è già tardi e chi parteciperà sarà già partito così meglio trovarsi comunque davanti alla sede e da lì si decide. Un bar che ignaro ospiti la nostra discussione su Rossovermiglio lo troveremo di sicuro mentre facciamo finta di attardarci un po’ di più su un aperitivo. Non è poi la città degli aperitivi lunghi Bologna? E allora! Allora ci sta venendo incontro Giusy, mentre in via Lame ad aspettare ci sono già Katia, Chiara, Alberto, Barbara, Letizia, Maria, Rosanna e io, che ci offre il suo ufficio. Intercettiamo Mirca che sta volando in bicicletta al 116 con un coro unanime e…’che volgarità urlare per strada!’ ci avrebbe redarguito la Granmammà, e scoppiamo in una sonora risata. L’ufficio di Giusy è accogliente come lei, sedie sfuggenti e tulipani finti a parte. Abbiamo già deciso il percorso da fare per il prossimo ciclo quando finalmente ci raggiunge Luisa dopo essersi persa nella ragnatela bolognese. Su suggerimento di Rosanna decidiamo di leggere premi letterari anche se Maria è scettica coi vincitori. Rossovermiglio è il vincitore del premio Campiello 2008, potremmo leggere i quattro finalisti di quel premio, dice Letizia. Già. Sorrido mentalmente pensando che Gianrico ne è stato finalista per il 2009. E Giampiero? Ce l’avrà un premio?
Partiamo con la discussione. E’ Rosanna ad iniziare in maniera freudiana e non le poteva essere più appropriato. Una piacevole lettura nel letto, si lascia dire. Una storia non eccezionale, passionale a tratti con finale incomprensibile. Letizia la trova una storia collocata male nel tempo e nei tempi, come nelle fiabe le fate si risvegliano fuori dal tempo. Katia fa notare come la storia sia quella della trasformazione di un paese ma è d’accordo con Letizia: la bella addormentata ha dormito troppo. Non solo ha dormito per Barbara, ha vissuto senza passioni che è come non vivere. Anche Mirca concorda con Katia, sul fatto che la trasformazione storica non è stata interiorizzata dai personaggi, all’evoluzione generale non è corrisposta l’evoluzione dei sentimenti. Per Giusy la protagonista si presenta come un’eroina che non è, perfettamente il frutto dell’aristocrazia. Per Maria il personaggio è sfuggente, come le sedie di Giusy, è consapevole della propria fragilità così non può permettersi di lasciarsi andare. A Chiara e Alberto il libro è semplicemente piaciuto. Anche a Luisa cui ha colpito come la protagonista sia spettatrice e della sua vita e di quello che le accade intorno. La critica quasi corale al personaggio è la patina borghese, l’emancipazione presunta, le emozioni contenute, l’assenza di ribellione, la presunzione e l’orgoglio di ciò che si poteva permettere come nella donazione assurda, quasi, al figlio illegittimo del marito. Mentre dal suo di figlio illegittimo quasi vorrebbe riprendersi la confessione sfuggitale come spiccioli dalle tasche.
Il caso, la pazienza e le lacrime. La Vita avrebbe potuto condurre altrove la nostra contessa e invece il caso, uccidendo il fratello, le aveva regalato la Bandita sulle colline del Chianti. Alla Bandita, con la pazienza, aveva imparato a fare il vino. Con la stessa pazienza aveva aspettato il suo amore. Non aveva versato lacrime quando se n’era andato quell’amore, trotterellando, né aveva pianto quando il fratello, morendo in maniera così irriguardosa e testarda, l’aveva resa libera dalla ricchezza del marito. Bella l’immagine di quelle lacrime mai versate che sono come fiumi sotterranei che scavano cunicoli e s’infiltrano sin nelle viscere dell’anima. Ma in superficie è facile trovare una terra arida.
Le fate sono svelte nelle loro faccende e un secolo fa in fretta a passare. E se si è dormito in tutto questo tempo e non si è sognato può essere perché la vita stessa è stata un sogno lunghissimo. Ritrovare sul finale un amore che non si conosceva può essere svegliarsi dal sogno. La mia diletta. Arrogarsi il diritto d’un amore, di farlo vivere o morire, può essere grande come l’amore stesso. Sia che lo si chiami onnipotenza, col nome di Francesco, sia che lo si chiami semplicemente denaro, col nome di Trott.
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