Sembra ci siamo salutati ieri, c'è già un'altra estate nel mezzo. Questa sera sceglieremo anche i nuovi autori, sto pensando mentre dalle due torri cammino verso via Lame prima di pensare a Giampiero. Già. Nelle serate di lettura, se attraverso il centro a piedi, mi capita di pensare a lui, forse perché il suo libro finii di leggerlo sugli scalini di San Petronio. Ad un tavolino del bar vicino alla sede ci sono già Chiara, Maria e Rosanna. Chiara non la vedevo da molto, lei sempre sorridente mi mette allegria. Mi chiede se ce la farà a superare l'apprendistato di lettrice pasticciona. Rosanna ha una borsa piena di libri, me ne presta uno, Gli effetti secondari dei sogni, sa che sono una sognatrice di professione. Con Maria abbiamo condiviso una colazione appena qualche giorno fa. Saliamo, c'è Alberto come sempre ad accoglierci. Poi trovo Gabriella, Nara, Lorena, Barbara, Sarah con Nicoletta ed una nuova ospite Elke, Luigi e infine Mercede di ritorno dalla sua maternità. I nomi che vengono proposti per proseguire dopo le letture estive sono tanti, ognuno è bravo ad avere un suggerimento. Gabriella lamenta il limite di autori solo italiani, Maria lo rivendica. Io non mi sento di tradire l'identità che ci contraddistingue come gruppo, poi, dopo l'intervista di Varesi, ne ho preso coscienza più forte e posso solo difenderla. Così la scelta cade su Stefano Benni, in onore di Gabriella che ha bisogno di fare carburante con letture allegre, dice. Gabriella si è avvalsa della facoltà di non finire Mia madre è un fiume, si è fermata a pagina 113. Non ha sostenuto la tragedia crescente che vede morire persino i vitelli e falciare il cane preferito, nessun sorriso della narrante con il figlio Giovanni. Lorena l'ha finito ma non vi ha trovato redenzione né speranza. Le è mancato una conclusione pacifica, l'ha infastidita la troppa educazione al senso di colpa. Maria non si è intristita, forse la prima lettura l'ha stancata, l'ha annoiata la campagna perché lei vivrebbe solo in via Pietralata, in mezzo alla gente. La seconda lettura le è parsa meno ridondante, ha spesso pensato a Rosanna e come lei si sarebbe goduta quel libro impregnato di origini, riti e ricette, poche quest'ultime per la verità. Alla prima lettura le erano sembrate troppe. Nara condivide con Maria. Poi si è anche rivista nel libro, l'ha toccata l'assenza di fisicità come alcune descrizioni di amore non detto, stupende perché vissute. A Sarah è piaciuto il libro, è solo dispiaciuta che questa figlia non si sia resa conto che la madre l'ha amata come poteva. Allora Gabriella incalza dicendo che il lavoro, se questa era la scusante della madre, non può escludere una ricchezza affettiva. Ma stiamo scherzando? è Rosanna a chiederlo, è Rosanna a recuperare brani di estrema affettività, anche di sensualità, fatti di rami di cieliegio, pane e zucchero, di una favola raccontata senza finale perché chi soffre di alzheimer un finale non ce l'ha. Per non parlare della figlia, di questo modo di lenire il dolore della madre attraverso il racconto, di come consapevole o inconsapevole abbia capito che la parola produce e salva più che il toccare fisicamente. La madre è stata un fiume infinito, ha ragione Sarah, le ha dato quello che le poteva dare. Va bene, è il racconto la cura, interviene Alberto, ma perché raccontarle solo cose negative? Rosanna sbotta in un non è vero categorico e torna sul ramo di ciliegio e sulla sensorialità, sulle mani perpendicolari capaci solo di fatiche, l'amore affidato ad altro. Si accende nuovamente Gabriella a controbattere che se ci facciamo delle turbe mentali è solo questione culturale, le madri africane portano in groppa i loro figli e questi vengono su con degli io grandi così, allarga davvero tanto le braccia. Accidenti, che serata! sto pensando quando interviene Nicoletta a dirci che a lei il libro non era piaciuto leggendolo, forse il suo stato d'animo non era giusto, ma questa sera si è accorta che la cupezza che aveva letto è straordinaria e addirittura bella. Prima era solo o troppo distratta dal suo dolore. Chiara è dolcissima, non ti preoccupare, le dice. Anche lei al primo incontro ha dovuto ricredersi e addirittura convincersi che avesse letto un altro libro. A Mercede ha fatto piacere leggere Mia madre è un fiume alla luce della sua recente esperienza di maternità. Non riesce a dire se è un libro speranzoso o disperato ma ciò che l'ha colpita è stato poi il ruolo di madre della narrante, l'immeritatezza di un figlio uscito dalla fabbrica degli angeli per i cattivi pensieri avuti sulla sua di madre. Luigi è arrivato tardi ma giusto in tempo per condividere un po' di Maria e un po' di Rosanna anche se ha trovato faticoso e pesante il modo di scrivere con il tu. Io di mani perpendicolari potrei dire, stasera però ne ho poca voglia. Di odori anche e questo riesco a dirlo. Di sogni mi conoscono tutti, meglio di no. Del rapporto col figlioletto Giovanni mi sono innamorata, vorrei portare i miei figli a fare lo stesso tragitto che facevo da piccola per andare a scuola. La campagna la conosco bene, i suoi lavori e i suoi sudori. Le mucche, se chiedete a Nazario, mi commuovono con i loro occhi grandi e acquosi, ho sofferto per il vitello che non ce l'ha fatta. Poi ho gioito per quello sfebbrato. C'è una pagina in questo libro che potrei aver scritto io, senza togliere nulla a Donatella anzi, come la narrante a sua madre, mi ha restituito un pezzo di vita.
Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)
lunedì 19 settembre 2011
Mia Madre è un Fiume di Donatella di Pietrantonio
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