Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

giovedì 13 novembre 2014

Incontro con Maria Beatrice Masella

Lunedì 10 novembre abbiamo incontrato Beatrice e conosciuto più da vicino il suo Mare d'argilla. L'incontro è stato ricco. Al rientro a casa m'è venuto da scrivere così.

Mare d'argilla, libro di Beatrice Masella, dopo la dedica riporta una breve poesia di Alda Merini.

Recita: L'unica radice che ho mi fa male.

Mare d'argilla racconta una storia di inizio '900. La storia di una famiglia numerosa, verrebbe da dire. Il farmacista infatti all'inizio del libro ha già cinque figlie femmine e un figlio maschio morto giovane. Dopo nasceranno altri due maschi e un'altra femmina premorta. Seppure brevemente, si legge di una nonna paterna e di un nonno materno nel libro. Il luogo è un luogo sperduto della Lucania. 


Io sono nata nel 1974, sono nona di undici figli viventi, due premorti. Prima di mia madre e mio padre non c'è niente. Non ci sono i loro genitori, non ho conosciuto nonni. Loro sono la mia unica radice. Ho vissuto in un luogo sperduto della Puglia. 


Discutendo il libro, qualcuno ricordava che la storia era di inizio '900. Io tacevo. 


Qualcun'altra che certe donne del Sud sono esistite solo per deformarsi il corpo in gravidanze continue. Io tacevo, cantando mentalmente "....di cinquant'anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli...".


Qualcun'altro ancora che gli uomini del Sud maltrattano le loro donne. Io tacevo, mentre il profumo del pane mi portava a trent'anni fa dove quattro braccia facevano a pugni assieme nella farina alle sei del mattino. 


Poi, qualcun'altro ancora ancora che le donne del Sud non hanno mai lavorato. Io tacevo, vedendo mia madre sempre nei campi.


E così ancora a farsi male. L'unica radice che ho non mi fa male, meno male. 

Per l'intervista CLICCATE QUI


2 commenti:

  1. Grazie per la bella serata trascorsa insieme. Elke

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  2. Che nessuno provi pena. E' solo una storia vera.
    Io sono nata in Abruzzo nel 1944. Sono l'ultima di sette figli, tre morti. Dei morti ne ho conosciuto solo uno, forse poteva diventare un vero fratello, non ha fatto in tempo. Dei due genitori ho conosciuto solo la madre che non mi ha cresciuta perché senza marito e in povertà estrema.
    Mi han tirata su gli zii. Lo zio mi ha educato a botte quotidiane, la zia pregava gesugiuseppemaria e non alzava un dito per difendermi. Mia sorella grande mi chiamava, solo lei sa perché, "futura puttana" e i due fratelli, ahimé vivi, appena possibile copiavano lo zio.
    Se dico che non sento di avere alcuna radice e che quella che avrebbe potuto esserlo - mio padre - non l'ho potuta né vedere né sentire, vi scandalizzate?
    Le generalizzazioni fanno solo danni.
    Ci sono radici che fanno male, altre che non lo fanno e altre che non son riuscite a farsi sentire nel bene e nel male. Peccato.
    Sono radice di me e mi vado strabene.
    Serata splendida, ognuno con la sua verità.
    Maria

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