Le parti di questo libro si parlano da lontano. Da lontano perché la
distanza tra i fatti e il loro senso è davvero incolmabile. Libro a quattro
mani, di autrici molto diverse tra loro. Un fatto di cronaca viene raccontato
come realtà nuda e cruda da Luciana Castellina, come romanzo da Milena Agus. Il
fatto è quello del 6 marzo 1946, quando, in Puglia, due sorelle di quattro, ignare
della fame intorno, incolpevoli degli spari sulla folla, ma colpevoli per
storia e classe, vengono linciate. A parlare con me di questa terribile guerra
civile che si scatenò, non solo in Puglia, dal ’43 al ’49 ci sono Giovanni,
Marco, Sarah, Maria, Marina, Marella, Giuseppina, Annalisa, Elke e Patrizia B.
prima, però, ci soffermiamo sulla vita di queste sorelle, che sembrano un corpo
unico, chiuse nel loro palazzo.
Per Maria Milena Agus affronta il
vero, Luciana Castellina il verosimile. Le sorelle Porro non avrebbero mai
potuto immaginare una vita diversa da come la vivevano, erano chiuse.
Prigioniere di loro stesse e due volte vittime, perché a nessuno importava di
loro e non erano (non sembravano) neanche ricche. Erano avulse dalla realtà, la
loro colpa. La colpa di non voler sapere e non volere intervenire. All’interno
del racconto della Agus c’è un personaggio narrante che man mano diventa
l’alter ego dell’autrice stessa. A cui è venuto il nervoso a parlare delle
Porro. Per questo non ci rivela il nome di chi narra, perché è lei stessa , la
Agus. Il libro è particolare perché da quello che si legge, secondo Castellina,
la folla ha diritto ad una reazione violenta, mentre la Agus non la poteva
concepire.
A Marco ha interessato, ma non è piaciuto
il tipo di romanzo, come strutturato. La seconda parte l’ha trovata troppo
didattica. Le sorelle Porro hanno una consapevolezza ingenua. La loro serenità
basata sulla fede, ma fuori dalla realtà, non le ha salvate.
Giovanni ritiene che la parte
storica, la seconda, poteva essere messo prima, ma il lettore poteva essere
prevenuto. Le due parti sono funzionali l’una all’altra. È indubbio che le
sorelle Porro si limitassero ad esistere. Ma non dobbiamo dimenticare, ci dice,
che stiamo guardando quella storia oggi, secondo i nostri criteri. Dovremmo
vedere le usanze di allora, inquadrarla in quel tempo. Le sorelle Porro sono
statiche, la voce narrante si muove solo dentro e solo dopo. Non c’era
trasmigrazione. Sebbene progressista, la voce narrante non fa niente finché
costretta.
Per Giuseppina le Porro sono quel
che resta di una famiglia, di un mondo che è morto. Per sposare un ricco
bisognava avere molti soldi. Non tutti i figli erano adatti al matrimonio, ne venivano
prescelti solo alcuni o, addirittura, uno solo. Gli altri potevano sposare un
povero, dice l’autrice, ma per le sorelle Porro sarebbe stata una vergogna.
Sembra, dunque, la morte di una famiglia. E anche se non restava loro molto, la
distanza è tale che il popolo non lo percepisce e vede solo il fatto che loro
fossero il simbolo della ricchezza. Mi piacerebbe, dice Giuseppina, capire
perché la narrante trovi pace nelle Porro. C’è nella Agus qualcosa delle
sorelle Porro, qualcosa di profondo che l’ha portata a scriverne. L’ha colpita
la museruola. E Di Vittorio che nel comizio non accenna minimamente alla
violenza del giorno prima. È qui che la Agus non si trova per niente. La
seconda parte è un saggio.
Sarah è d’accordo con Giuseppina,
ma una vita grama era di molti ricchi. Non è una invenzione della Agus.
Lavinia non ha finito, ha letto
solo la prima parte.
Per Marella l’autrice ha cercato
in tutti i modi di trovare una salvazione per le sorelle, invece la narrante
risultava loro ostile. Perché le tratta sempre come un essere unico. Come
personaggio, le è piaciuta la serva e l’educazione tacita, sebbene la bambina
vacilli. La scrittura le è risultata troppo semplice per la prima parte. Mentre
la seconda parte è stata noiosa, non c’era bisogno di scriverla.
Annalisa, nei racconti di amici,
ha conosciuto un mondo così. Dove il sacrificio di queste donne è tenere il
palazzo di famiglia.
Ad Alessandra è piaciuta la prima
parte, la seconda no. Le è sembrato un libro di storia.
Bisogna guardarsi dalla fame
della gente. Perché questa, la fame, si fa violenza e chiede vendetta.
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