Solo a mezzogiorno arriva la
notizia che la sala non sarà disponibile questa sera. Ci rincorriamo un po’ tra
messaggi ed e-mail per decidere il da farsi, quando Giovanni ci offre la
soluzione offrendoci il suo studio. Staremo stretti, dice. Invece siamo stati
comodi e a nostro agio col verde prorompente fuori dalle finestre e gli uccelli
e il loro canto a colmare brevi silenzi.
Siamo non in pochi, nove, ma
neppure tanti. Degli assenti soffriamo sempre la mancanza. Naturalmente è
presente il padrone di casa, Giovanni. Poi, Giuseppina, Patrizia R., Maria,
Patrizia B., Sarah, Marco, Annalisa ed io.
Abbiamo letto un altro Camilleri,
accidenti. Penso ad Alberto che l’aveva proposto sin dal primo incontro in quel
dicembre del 2008. Ce l’abbiam fatta, Alberto, vedi? E non è andata male col
tuo illustre conterraneo.
La strage dimenticata nei
Meridiani Mondadori, di cui Giuseppina mostra una copia, viene annoverata nella
raccolta di romanzi storici e civili dell’autore. Non conoscevo l’esistenza di questa
raccolta, ma sin dalla prima lettura del libro, già nell’ottobre 2014, sono
stata convinta dell’appartenenza al genere romanzo storico. Pochi altri la
pensano come me, stasera.
Proviamo ad inquadrare il
racconto, intanto. Camilleri ci parla di una strage dimenticata, anzi due. Una avvenuta
a Borgata Molo, l’altra a Pantelleria. Della prima abbiamo solo un elenco di
morti e pochi, laconici verbali; della seconda, il registro municipale dei
morti è stato fatto sparire. E il racconto che ne risulta, è come una lunga
parentesi dell’autore. Alcun documento. Solo pensieri dell’autore.
Il periodo storico delle due
stragi è quello dei moti del ’48. A Borgata Molo morirono centoquattordici
persone, servi di pena, soffocate come topi in una prigione. La prigione
descritta da Camilleri toglie il respiro, nel vero senso della parola. Soffoca.
E soffocò. A Pantelleria ne morirono quindici, rinchiusi e sparati dentro una
stanza. Quelli che solo per voce
popolare avevano partecipato all’ammazzatina del capo della polizia.
Annalisa l’ha sentito tutto il
respiro che mancava e ha dovuto fare una pausa nella lettura. La descrizione
della prigione le ha messo paura. L’ha colpita la colpa che gira nel romanzo, e
il fatto di fare altri morti per eliminare colpe di altri. Per fortuna, dice,
la seconda parte, che è la chiusura della calunnia, con qualche fatterello,
qualche ironia, è risultato più leggero. Anche se sembra una presa in giro la
spiegazione dello storico, di Camilleri, fatta così con leggerezza, con ironia.
Giovanni più che ironico, trova
il racconto sarcastico. Proprio perché la storia è talmente terribile che gli
risulta difficile raccontare. Per lui il romanzo storico c’è tutto, perché
aveva un solo documento l’autore su cui ha lavorato di fantasia.
Sarah si annoia a leggere fatti
raccontati così. Lei ama i dialoghi. Sulla leggerezza anzidetta da Annalia,
ritiene che più le cose sono gravi e più, generalmente, si tende a mantenere un
profilo bassissimo, per non attirare l’attenzione e lasciare che il silenzio
ammanti tutto. Forse l’autore voleva trasmettere questo.
Giuseppina è stata colpita dalla
distinzione dei delitti. Abbiamo detto che i morti di Borgata Molo erano
carcerati. Il delitto che attenta alla proprietà era considerato il più grave e
punito più severamente. Mentre per le lesioni gravi, che attentavano alla vita,
era prevista una pena di gran lunga inferiore. Inoltre, per i reati contro la
proprietà, che presupponevano un certo grado di istruzione in chi li
commetteva, la pena prevista era veramente piccola. Il ladro che li commetteva,
infatti, era considerato molto vicino, come classe, a coloro che avevano
redatto i codici. Giuseppina non ha capito se la presa d’aria nella prigione
non sia stata lasciata per ignoranza od altro. Una ignoranza iniziale,
indubbiamente, che diventa scelta precisa.
Patrizia R. ha faticato, pur con
l’amore scoperto per Camilleri, perché, ad un certo punto, le è sembrato un suo
puro divertimento, il racconto. Le è sembrato che gli sia capitato tra le mani
questo documento, l’elenco dei morti, e abbia ragionato solo sul cosa poteva
farsene, come utilizzarlo. Le è arrivata una specie di leggerezza delle cose. Solo
che qui, anziché sembrare leggere, le cose, sembrano ancora più tragiche. Le sembra
non ci siano mai state cose così. Ma un pensiero è andato ai migranti in questi
giorni.
Anche Marco ha pensato ai
migranti. A lui il libro è piaciuto soprattutto perché gli ha lasciato un senso
di gratitudine profonda verso l’autore che l’ha messo a parte di queste storie,
come già aveva fatto Deaglio con la storia dei fratelli Defatta. Gli è piaciuta
la lista dei nomi con l’età. Come a voler sottolineare che ogni vita è
preziosa. Gli ha stimolato interrogativi rispetto all’importanza che ogni
persona ha. Gli ha mostrato ancora una volta quanto gli uomini siano impietosi
con gli altri uomini. È un richiamo fortissimo alle proprie responsabilità, questo
racconto. Tornando ai migranti. Vediamo i barconi, li vediamo tutti i giorni,
ci chiediamo cosa possiamo fare, ma già cancelliamo la risposta.
A proposito dell’elenco dei nomi,
Patrizia R. ha voluto leggere a voce alta.
Maria non è d’accordo con me con
l’appartenenza al genere romanzo storico, continua ad avere l’idea che questo
genere sia altro. Ma ritiene che tutto quanto è stato detto stasera sia
sacrosanto. Soprattutto è stata profondamente colpita dal senso di soffocamento
provato da Annalisa. Per lei il libro resta una ricerca storica, un documento,
ma deve ammettere che la denuncia contenuta, il fatto, la tragedia, siano
sconvolgenti. Ed è felicissima di averlo letto. Perché, come per Deaglio, per
Castellina, le cose raccontate non possono non interrogarti. Le hanno dato
fastidio i tecnicismi, per cui sono stati i benvenuti l’ironia e il sarcasmo da
un certo punto in poi. Avrebbe voluto trovare un pezzettino di vita di tutti i
nomi elencati. Così, la prende solo come una storia atroce, ma nulla di più.
Patrizia B. è venuta ad
ascoltarci.
A parte la dichiarazione dello
stesso autore in diversi punti del libro, di una soluzione romanzesca della
storia, di una ricostruzione a favore della fantasia e non del judicio, e il
fatto che non abbia la testa e lo stomaco di certi storici, io, come ho detto
all’inizio, resto convinta dell’appartenenza al genere che stiamo leggendo. E non
per atto di fede alle dichiarazioni di Camilleri. È vero. Ci sono anche i
verbali oltre all’elenco dei morti, almeno per la prima strage. Le vite
accennate ci sono, anche in una breve frase, in una parola. Questi carcerati
che diventavano maestri dell’artigianato me li sono immaginati. Ho provato a
delineare chi aveva costruito i due altarini nella casa di Carolina Camilleri,
sicuramente un servo di pena paziente. E chi aveva lasciato quei quaderni nella
torre. Un servo di pena romantico. Credo che la difficoltà nel rinvenire il
romanzo sia data dalla stringatezza del libro. Riguardo ai tecnicismi, che
indubbiamente ci sono, penso che facciano parte del racconto storico,
inevitabilmente, che si ama oppure no. La lingua non è ancora quella del
Camilleri più recente. E sì che questo è un libro di più di trent’anni fa, dove
forse l’autore stava ancora cercando un suo modo, ma anch’io, come Marco, sono
grata a chi racconta. In qualsiasi modo, mi verrebbe da dire. Come Marco ho
sentito forte il richiamo alle responsabilità, al non nascondersi dietro all’inconsistenza
del o si faceva la scala o si faceva la
presa d’aria.
Sul finire dell’incontro parliamo
dei migranti. Tutti ci diciamo scandalizzati dalle scene raccapriccianti che i
media ci restituiscono. Poche sere fa ho pianto su uno spettacolo messo in
scena da studenti sulle migrazioni. Ma poi, come ha chiesto Annalisa, quanti di
noi farebbero davvero qualcosa?
Due merli si rincorrono
chiassosi.