Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

mercoledì 23 giugno 2010

La Vita Stupida o Imperfetta

...non vorrai ricominciare ( a fumare ), vero?

No...solo una ogni tanto...per ricordarmi che non siamo perfetti, che facciamo cose stupide nella vita.

( Nel Nome del Padre di Gianni Biondillo )

Nel Nome del Padre di Gianni Biondillo

Siamo giunti alla fine. Il nostro ultimo incontro prima della pausa estiva, prima della serata di saluto. Solo in sei stasera, intimi come non mai, anche per l’argomento che andremo ad affrontare. Siamo io, Alberto ( che vincerà un premio per la presenza ), Luigi, Maria, Mirca e Barbara. Letizia si aggiunge sul finale. Peccato per Rosanna che pensava l’incontro fosse domani e auguri a Mercede che si appresta a partorire. Gli altri li aspetto sempre.
Nel nome del padre, si finisce.
Quand’ero piccola nel nome del padre si cominciava un giorno, si iniziava a mangiare, si terminava poi quel giorno. Nel nome di mio padre non si poteva sgarrare. Tutto, sempre, era nel nome del padre, appunto. Capiterà stasera di parlare anche delle famiglie d’altri tempi, delle donne che figliavano senza assistenza medica né tantomeno psicologica, delle loro depressioni a cui non sapevano neanche dar nome, così è per questo che mi sovviene nel nome di mio padre.
Luca, il papà di questo libro, è debole sia agli occhi di Luigi che a quelli di Alberto che lo riscatta a uomo forte solo quando sta per diventare padre per la seconda volta. È interessante guardare la paternità dagli stessi occhi maschili e da quelli femminili. Noi donne, quelle presenti, ci avventuriamo nel disagio ad esempio che può provare un uomo assistendo al parto, nel senso d’inferiorità che può avvolgerlo dinanzi a una fatica così dolorosa, nella gelosia che può intervenire all’arrivo di un bimbo al quale pure ha contribuito. Siamo tenerissime che ci lasceremmo abbracciare nelle parole di Maria quando soffriamo per esserci svuotate delle nostre creature, può capirlo questo un uomo? Eppure non è il sangue che ci fa figli o che ci fa madri o padri. Il mondo si aspetta che una madre sia tale subito, appena partorito, il padre può prendersi il suo tempo e, nel caso, ha più giustificazioni che la madre sembra non avere. Ma, come suggerisce Mirca, questo padre, questo Luca, sembra quasi un personaggio femminile e la sua sofferenza è stata così forte che un Luigi sorridente e voglioso di fare si tira indietro dalla pur più remota possibilità che si avveri su di lui. Così quasi ha deciso che meglio sarebbe non avere figli, ancora meglio non condividere un progetto familiare. Per un attimo ci fa sorridere la sua drasticità poi però proviamo a convincerlo che una cosa che potrebbe fare ad esempio, semplicemente, sarebbe non assistere al parto, nel caso. Risparmiarsi lo strazio della sua donna. Alberto invece non ha dubbi. Lui i suoi figli li vedrà venire al mondo. Dice che suo padre con lui l’ha fatto. Solo con lui però, con suo fratello s’è tirato indietro. Barbara nemmeno ha dubbi: l’uomo se c’era quando l’ha fatto il figlio ci dev’essere anche quando nasce. Non fa una piega. Forse. Già, perché non tutte le donne magari vogliono o vorrebbero mostrarsi così nude nella sofferenza. Così poco aggraziate, senza dignità, nella loro intimità povera di qualsiasi carica erotica e sensuale come può essere stato nell’atto d’amore che le ha portate fin lì. Mi verrebbe da dire ancora il pudore. Mi verrebbe da dire che resta solo una loro scelta avere o non avere il compagno di fianco, e che se lo vogliono questi non deve esimersi visto che, per dirla con Maria, lui ha già avuto il culo ( che fatica scriverlo, Maria, non potevi usare fortuna? ) di non farlo il figlio, quanto meno si lasci stritolare un braccio! 
Nel libro inciampiamo in un personaggio bellissimo che è Michele. È un padre già esperto, bello nel suo essere padre. Anche nel suo essere amico. Mirca ce lo ricorda leggendo forse la frase più bella di questo libro dove avere un figlio è come andare a scuola, quando nasce un figlio è il primo giorno di scuola di padre e tutto quello che c’è da imparare è il figlio ad insegnarlo. Luigi, che già ci aveva fatto sorridere con la sua presa di posizione del non avere figli e del fatto che Luca è debole non perché lo sia davvero ma perché è lo scrittore che lo ha descritto così, ci fa sorridere ancora quando ingenuamente ci svela che a lui è sembrato inquietante l’essere allievo di suo figlio.
L’avvocato donna non piace a nessuno, è superficiale in termini di sentimenti, non rischia, si attiene, come pure è giusto che sia, solo alle sentenze. Ed ha stuzzicato Luigi in termini giuridici, dandogli spunto per la sua tesi di laurea. E per la professione, nel caso. Ancora. Mirca si lascia andare con confidenza alla storia di due suoi amici e Maria riscatta Sandro che, mentre per tutti ha giocato sino in fondo ad un gioco sporco, per lei è riuscito a riscattarsi agli occhi dell’amico regalando, ad un prezzo discutibile appunto, la presenza della bimba nel giorno di Natale. Complice un fioretto che se pure ti farà tornare indietro ad una debolezza è solo per ricordarsi che non si è perfetti, che facciamo cose stupide nella vita.

lunedì 7 giugno 2010

La Vita più Veloce

E poi tutto il resto, la vita che ti rincorre e ti incasina.

( Per Cosa si Uccide di Gianni Biondillo )

Per cosa si Uccide di Gianni Biondillo

Ecco. Questa sera, per la tredicesima volta in questo ciclo, siamo pronti a reiterare la malefatta del piacere di stare assieme dopo aver letto un libro, tutti lo stesso, in questa società al declino, in questa città dove, come a Milano, se nevica non c’è nulla di poetico; dove i bolognesi, come i milanesi, sono strani, hanno nostalgia delle cose che distruggono, però sempre con un po’ di sangue rosso nelle vene, con la capacità di far scorrere qualcosa, dal basso, di cui chi ‘sta in alto’ magari neppure si accorge.
Colpevoli ancora una volta Alberto, Maria, Rosanna, Chiara, Katia, Luisa, Mirca, Luigi ed io. Per cosa si uccide. E noi, contrabbandieri professionisti ormai, dediti come siamo con bramosia al traffico di libri, proficuo di idee e di opinioni, vena diamantina delle emozioni nate dalla parola scritta,  noi, per cosa uccideremmo nel caso? Per i soldi? Per il sesso? Per il potere? Per odio? O per amore? Già. L’Amore. Quello che si nega di godere in maniera pura. Allora, rei confessi di un probabile crimine, siamo quasi tutti d’accordo, iniziando da Rosanna, nel dire che uccideremmo intransigenti ad abusi commessi sui bambini o a violenze sulle donne. Come l’ispettore Ferraro che, pur conscio che in una società civile la legge è sopra ognuno di noi, sopra le nostre bestialità, non riesce a trattenere un pensiero omicida pensando alla sua bambina, Giulia, all’idea assurda che qualcuno potesse rubargliela, stuprarla, ucciderla. Che bello che è Ferraro! È piaciuto a tutti nonostante, come dice Mirca, sia un po’ sopra le righe o rimandi a delle macchiette stile Totò e Peppino, o Stanlio e Olio, aggiunge Luigi. Badate bene che non si tratta di un libro divertente, ci redarguisce Maria, pur con tutta l’ironia che vi si ritrova. Anzi. L’’ironia lo rende scorrevole ma non certo facile. Eppure i personaggi sono tutti ben definiti, rammenta Luisa, tutti caratterizzati così ad arte che il giallo, il genere del libro, passa in secondo piano. Così accade che Alberto, a cui pure il genere non entusiasma, si mostri soddisfatto della lettura; o che Maria si sia accorta con noi che non gliene importa nulla di dipanare il giallo appunto tanto è agganciata dai personaggi; lo stesso vale per Katia, e per Chiara che probabilmente, fuori dal gruppo, avrebbe scartato un titolo così; Mirca fa appello alla maturità di leggere che si acquisisce in un gruppo e Maria chiude dicendo che lei, che pure non ha mai avuto il complesso di dover finire un libro, spesso lo finisce per poterne parlare ( notturno bus docet! )…con noi.
Insomma leggendo per cosa si uccide impariamo che si può uccidere per tante cose, molte già menzionate. Morire per tante cose. Che anche la cosa più ordinaria di questo mondo, il cerchio della vita, morire appunto, può avvenire in maniera straordinaria e spiazzante. Spiazzante come Lanza, personaggio tassonomico, non di questa terra, eccezionale, che mi è assomigliato tantissimo nell’educazione d’altri tempi dove la prima regola è non dare fastidio, scomparire mai apparire, accettare le critiche, avere la certezza d’essere nel torto, imparare dagli altri sempre, modesto e umile per abitudine. Ma se diceva A era A. Punto.
Si può uccidere, sì. La civiltà non ci ha ancora riscattati da questa bestialità. Tuttavia non sembra un libro di condanna. Soprattutto laddove la mano si arma per amore. Che aberrazione! La stessa che può far piangere, disperare, ubriacare, se a morire è un amico che non sembra un amico perché di lui non sai neppure il cognome. Ma, quand’è così, non si sta a guardare la bocca del cavallo, e se è Donato o Armandino poco importa. È un amico regalato. 
Impariamo che si uccide anche qualcosa d’altro che non sia un nostro simile. In maniera diversa. Si uccidono i sogni per esempio. Perché la vita ti rincorre e ti incasina. Impariamo che il disprezzo può uccidere come il più feroce degli assassini. Tuttavia a volte può anche salvare, far tornare a vivere. Quel disprezzo che solo per esserselo immaginato annichilisce la diffrazione codarda del lasciarsi vivere.
vita/lanza