Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 7 giugno 2010

Per cosa si Uccide di Gianni Biondillo

Ecco. Questa sera, per la tredicesima volta in questo ciclo, siamo pronti a reiterare la malefatta del piacere di stare assieme dopo aver letto un libro, tutti lo stesso, in questa società al declino, in questa città dove, come a Milano, se nevica non c’è nulla di poetico; dove i bolognesi, come i milanesi, sono strani, hanno nostalgia delle cose che distruggono, però sempre con un po’ di sangue rosso nelle vene, con la capacità di far scorrere qualcosa, dal basso, di cui chi ‘sta in alto’ magari neppure si accorge.
Colpevoli ancora una volta Alberto, Maria, Rosanna, Chiara, Katia, Luisa, Mirca, Luigi ed io. Per cosa si uccide. E noi, contrabbandieri professionisti ormai, dediti come siamo con bramosia al traffico di libri, proficuo di idee e di opinioni, vena diamantina delle emozioni nate dalla parola scritta,  noi, per cosa uccideremmo nel caso? Per i soldi? Per il sesso? Per il potere? Per odio? O per amore? Già. L’Amore. Quello che si nega di godere in maniera pura. Allora, rei confessi di un probabile crimine, siamo quasi tutti d’accordo, iniziando da Rosanna, nel dire che uccideremmo intransigenti ad abusi commessi sui bambini o a violenze sulle donne. Come l’ispettore Ferraro che, pur conscio che in una società civile la legge è sopra ognuno di noi, sopra le nostre bestialità, non riesce a trattenere un pensiero omicida pensando alla sua bambina, Giulia, all’idea assurda che qualcuno potesse rubargliela, stuprarla, ucciderla. Che bello che è Ferraro! È piaciuto a tutti nonostante, come dice Mirca, sia un po’ sopra le righe o rimandi a delle macchiette stile Totò e Peppino, o Stanlio e Olio, aggiunge Luigi. Badate bene che non si tratta di un libro divertente, ci redarguisce Maria, pur con tutta l’ironia che vi si ritrova. Anzi. L’’ironia lo rende scorrevole ma non certo facile. Eppure i personaggi sono tutti ben definiti, rammenta Luisa, tutti caratterizzati così ad arte che il giallo, il genere del libro, passa in secondo piano. Così accade che Alberto, a cui pure il genere non entusiasma, si mostri soddisfatto della lettura; o che Maria si sia accorta con noi che non gliene importa nulla di dipanare il giallo appunto tanto è agganciata dai personaggi; lo stesso vale per Katia, e per Chiara che probabilmente, fuori dal gruppo, avrebbe scartato un titolo così; Mirca fa appello alla maturità di leggere che si acquisisce in un gruppo e Maria chiude dicendo che lei, che pure non ha mai avuto il complesso di dover finire un libro, spesso lo finisce per poterne parlare ( notturno bus docet! )…con noi.
Insomma leggendo per cosa si uccide impariamo che si può uccidere per tante cose, molte già menzionate. Morire per tante cose. Che anche la cosa più ordinaria di questo mondo, il cerchio della vita, morire appunto, può avvenire in maniera straordinaria e spiazzante. Spiazzante come Lanza, personaggio tassonomico, non di questa terra, eccezionale, che mi è assomigliato tantissimo nell’educazione d’altri tempi dove la prima regola è non dare fastidio, scomparire mai apparire, accettare le critiche, avere la certezza d’essere nel torto, imparare dagli altri sempre, modesto e umile per abitudine. Ma se diceva A era A. Punto.
Si può uccidere, sì. La civiltà non ci ha ancora riscattati da questa bestialità. Tuttavia non sembra un libro di condanna. Soprattutto laddove la mano si arma per amore. Che aberrazione! La stessa che può far piangere, disperare, ubriacare, se a morire è un amico che non sembra un amico perché di lui non sai neppure il cognome. Ma, quand’è così, non si sta a guardare la bocca del cavallo, e se è Donato o Armandino poco importa. È un amico regalato. 
Impariamo che si uccide anche qualcosa d’altro che non sia un nostro simile. In maniera diversa. Si uccidono i sogni per esempio. Perché la vita ti rincorre e ti incasina. Impariamo che il disprezzo può uccidere come il più feroce degli assassini. Tuttavia a volte può anche salvare, far tornare a vivere. Quel disprezzo che solo per esserselo immaginato annichilisce la diffrazione codarda del lasciarsi vivere.
vita/lanza

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