Questa sera molti itineranti lettori sono sgusciati come pesciolini argentei fuori dall’alveo pluviale della lettura ma forse non avevano ben inteso che i pesci erano d’oro e guizzavano in una fontana. Insomma siamo pochi e almeno un paio d’assenti sono stati validamente reintegrati dalla presenza di due nuovi graditi arrivi, Gabriella e Maria che chiamerò Maria piccola per distinguerla dalla Maria, di sempre. Presenti oltre alle due nuove arrivate Alberto, cui faremo un monumento, Maria, Barbara, Lorena, Mirca, Nara e io.
Noi si prova ad iniziare a discutere del nuovo libro ma le nostre vocecitas sono sfacciate e parlano e ancora si entusiasmano per l’incontro avuto con Mariapia. Non riusciamo a prendere la parola e, quando alla fine le zittiamo, loro indispettite all’unisono sentenziano a la mierda, domani è un altro giorno, che ve pasa muchacho, e si vedrà. Bene, siamo ne Il Paese dei Pescidoro.
Maria l’ha letto inizialmente come compito. Poi oggi l’ha ripreso ed ha iniziato a sfogliarlo e si è sorpresa a doverlo rivalutare. Dice che sarebbe restata dispiaciuta se non avesse avuto questa possibilità. Lorena pensa che bisogna prenderlo per il genere che è, un po’ ciarliero, un po’ fantasioso, un po’ inebriato di canapa, l’ha apprezzato per l’ironia. Probabilmente, ribatte Maria, ma la ricerca e la curatezza di alcune frasi, di alcuni termini poco usati e quasi sconosciuti, quasi farebbe pensare che la leggerezza di cui si veste il libro alla prima lettura sia solo apparente. Niente è come appare di foschiana e leottina memoria! Gabriella non si capacita. Nessuno la convincerà che il libro l’avrebbe letto comunque fuori da un gruppo di lettura, lei legge di scrittrici orientali. Ritiene che sia ravvisabile una componente schizoide nel libro e che la pazzia non sia trattata sufficientemente all’altezza di quello che realmente è. L’ultima forma di libertà da un dolore che non puoi più reggere. L’ha infastidita poi la pittura di una pazzia teatrale, ridanciana. È irritata insomma dalla misconoscenza della sofferenza. Maria non ci sta, Cornelio non ha una sofferenza, è un ragazzo frizzante che solo poteva sembrare pazzo, per la sua diversità. Luca – l’autore – è fortunato ad averla dalla sua parte Maria, critica inflessibile e impietosa qual è. Non ci sta perché non pensa che il pazzoide descritto si presenti come una macchietta, poi non si tratta di una pazzia isolante, neanche toglie la forza di vivere in una situazione mortale. Gabriella non si convince, forse un po’ trova geniale il fatto che i personaggi siano normali nella rappresentazione. Non si convince neanche dell’ambientazione fascista. Quasi in coro: ma perché descrive un’anima libera! L’ambientazione è il giusto contraltare al personaggio. Mirca allora interviene pure lei e ritiene che l’autore abbia fatto un excursus molto pregnante di quel periodo storico che ha posto ben in evidenza, pur con la leggerezza, cosa sia potuta essere la propaganda. Quel martellamento continuo che non permetteva di pensare. Maria piccola, reclutata all’ultimo momento, non ha avuto il tempo di leggere ma da quanto diciamo pensa che si possa fare un parallelo col grigiore pirandelliano e con la concezione di fascismo di Camilleri. Nara ha letto il libro velocemente, non riusciva a trovare un filo conduttore ma è restata incantata nel leggere le descrizioni dei rapporti di Cornelio con le donne. Alberto, come sempre di poche parole, dice che la lettura gli è scivolata addosso. Gabriella è li che freme e chiede a Maria se ritiene che sia stata sua la capacità di rivalutazione della lettura o se era insita nello scritto e quindi dell’autore. Maria risponde in maniera precisa che merito di Luca è stato quello di usare una scrittura notevole, non uniforme, con una fantasia incredibile. È stato capace poi di presentare un bestiario umano a cui ci si può affezionare così non se l’è sentita di mollarlo alle prime pagine.
E io? Cornelio mi somiglia molto nei sogni e nei sogni premonitori. Mi somiglia in questa compagna Vocecita che un po’ fa rima e si accorda con Vita. La pazzia descritta leggera non l’ho letta come una deminutio di un dolore. Tutt’altro. E questa voce di denuncia credibile e poi incredibile e toccante che ha chiamato a raccolta colibrì del Sudamerica su una camicia sgargiante senza paura della diversità. Mi sono soffermata a pensare alla paura della diversità. Mi sono commossa ancora sull’amore di Cornelio per Angela trovato per caso che sempre sarebbe dovuto esistere, e quella immagine delicata di pudore in una lavanda intima. La follia sì, ciarliera. Ma spiazzante per quanto normale. E speranzosa. Peccato che la speranza si sia infranta sul finale in una nostalgia incomprensibile. Domani doveva essere un altro giorno.