Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

mercoledì 11 settembre 2013

Accordi minori, Grazia Verasani con Giampiero Rigosi

Alla fine non è piovuto. E Stasera parlo io, dove a parlare sono stati Grazia e Giampiero, si è svolta in strada.
Il libro da conoscere è Accordi Minori di Grazia Verasani.
E' la vita ad essere sbagliata, la morte se ne frega. Emilio Clementi ha letto un brano del libro con arte e maestria. L'arte, appunto.
L'arte, gli artisti raccontati nei monologhi del libro sono tutti accomunati da una sorte tragica. Janis Joplin, Kurt Cobain, Amy Winehouse, Chet Baker, ma anche Dalida, Tenco, Bindi e altri. Sono tutti scesi nel territorio del diavolo e Grazia è andata loro dietro con la musica delle sue parole. Così esordisce Giampiero Rigosi nella presentazione del libro.
Lei ringrazia e spiega che gli artisti raccontati sono sì di generi diversi, ma tutti con la caratteristica dell'accordo minore in senso esistenziale. Una vita spesa a esprimere la loro vocazione più grande, ma senza vivere pienamente. E' lì che c'è qualcosa di infernale. Nella fatica di vivere al momento del successo, nel sacrificio del sé, nel genio, in senso faustiano, che ti prende la vita, ti deruba.
Grazia racconta d'essersi fatta un regalo scrivendo questo libro, in ragione della sua passione per la musica. E' vero. L'ho ascoltata in Sotto un cielo blu diluvio qualche anno fa, a Teatri di Vita. Passionale è passionale. Anche malinconica, ma soprattutto brava.  
Brava è pure Francesca Mazza quando recita i monologhi di Edith Piaf e Mia Martini.
Giampiero provoca Grazia chiedendole se gli artisti diventano artisti perché la fragilità ce l'hanno già dentro, e se lei, potesse scegliere, scambierebbe il suo dono con la felicità. Perché è come se il dono si portasse dietro una maledizione. Non si può, risponde Grazia. Non si può rinunciare. La felicità, forse, non produce un'arte con una bellezza profonda. Accidenti, penso.

2 commenti:

  1. E' come se l'Arte avesse una inguaribile nostalgia per qualcosa che non appare rintracciabile nella quotidianità. Ma anche la Felicità non appare rintracciabile. In questi termini non ci si guadagna granchè nel cambio.

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  2. Lasciare al/nel mondo un segno del nostro passaggio: se c'è anche una minima possibilità, come rinunciarci? E se si ha il dono dell'Arte - di qualunque arte si tratti - credo sia impossibile tenersela stretta e segreta, anche se rivelarla significa, in parte, perderla e forse perdersi. Non corriamo, del resto, tutti noi il pericolo di perderci, anche senza essere sotto i riflettori? Non credo si tratti di felicità cercata e persa, cercata e mai trovata. Credo si tratti, qualunque sia il nostro piccolo o grande talento, di mettere in conto il dolore, come un prezzo da pagare per vivere con pienezza, l'unica forma di felicità. Forse.

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