Sei in ritardo di sette
minuti. Montroni sta già presentandoti al pubblico quasi tutto femminile dell'Ambasciatori, mentre non ti sei ancora
tolto la giacca. Ti mette di buon umore Bologna, sai dire perché?
Dovresti, sei uno scrittore tu, uno che le parole le trova, quelle
che mancano agli altri. Solo che, hai ragione, non è solo questo
scrivere, ma il tuo personaggio ancora non lo sa e proprio non ce la
fa a scrivere un altro libro. Tu invece lo sai che scrivere è avere
a che fare con la verità, e sì che hai scritto più libri del tuo
Enrico, e la verità è materiale pericoloso. Succede che si vanno a
ripescare storie restate nascoste nel sottoscala della coscienza,
penoso è poi mettere in ordine le parole per dirle.
Tu non sei Enrico, no.
Non è un libro autobiografico, ma hai scritto un'autobiografia
generazionale. Sei andato a ripescare nel sottoscala del Paese,
accidenti! In un sottoscala, quello della lotta armata, dove sono
state riposte tutte le dimensioni non chiarite, tutti i conti ancora
aperti. Perché ancora te lo chiedi se c'era un'idea di violenza, pur
sbagliata, o c'era, semplicemente, un vuoto di pensiero. Ti viene in
mente la Arendt, il male non ha radici, il bene sì. Hai conosciuto
storie vere dove si è ucciso per un banale litigio. Allora no, ne
sei convinto, non ci sono radici, non c'è da capire il male, c'è da
diventare pazzi sennò. Così hai scritto Celeste. Hai inventato
questo personaggio, bello, che ha fatto innamorare Enrico e
Salvatore, anche i lettori, e forse tu stesso te ne sei innamorato.
E' il bello dello scrittore poter inventare un personaggio che
avresti voluto incontrare. Hai fatto dire a Celeste cose meravigliose
di filosofia, l'hai resa capace di di far vedere un mondo di passione
che invece spesso resta nascosto.
A Enrico hai fatto
incontrare non solo Celeste, ma anche il pescatore, anche Stefania,
perché come parla un saggio orientale, quando l'allievo è pronto il
maestro appare. Gli hai fatto seguire un percorso, un percorso di
storie che l'ha portato fin lì, fino a Bari, il tuo specchio
universale metropolitano. Ci leggi del primo bacio di Enrico. Sai una
cosa, Gianrico? Come le leggi tu le tue storie non le legge nessuno.
Legami, se ho capito, con l'altro universale e l'altro particolare, vicino, di cui senti battere il cuore: un' altra storia di vita vera
RispondiEliminaEsattamente. Un'altra storia di vita vera. Presente e passato. Tu, io.
EliminaIl racconto di un percorso, la storia, attraverso viaggi più piccoli.
ritrovo in questo testo le tante parole dette da Gianrico alla sua maniera, diretta, divertente, autoironica, colloquiale, come si fosse tutti davanti a un bicchiere di vino o a un the. E profondissima. Ci ha regalato pensieri in cui entrare e da cui uscire diversi. Ha parlato della necessità di un percorso, quello di Enrico, ma parlava poi per tutti, se stesso compreso, quando ha affermato che la necessità di un percorso si rivela a percorso concluso..
RispondiEliminaAnche la sua Bari lo deve fare, un percorso, se per Gianrico è una città in bilico tra il non più e il non ancora.
Ancora vorrei ricordare, dalla spiegazione del titolo, all'idea della storia data dalla fascinazione della violenza, alla scelta della seconda persona singolare -scissione tra chi narra e chi è narrato - quando il racconto riguarda il presente di Enrico. E ancora.
In realtà andrò a rileggermelo, il Bordo vertiginoso delle cose, ora che so la storia e ho incontrato l'autore. Sarà un autentico viaggio. Magari necessario.
Gianrico ha parlato anche di citazioni, Maria. Che se fatte per esibire conoscenza sono gravi, puro narcisismo della scrittura. Ha parlato di un interessante studio sulla scientificità della sfortuna. Della claustrofobia nel mondo, citando appunto i Peanuts. Del confine tra caso e responsabilità, eccolo, il bordo vertiginoso. Ha parlato di tante cose belle in effetti.
Elimina