Il 20 aprile scorso abbiamo incontrato Marcello Fois per discutere il suo Nel tempo di mezzo, il secondo libro dedicato alla famiglia Chironi nel periodo che va dal 1943 al 1978.
Ad alcuni il libro è risultato ostico nelle prime pagine, certamente faticose per la dovizia di dettagli, figure retoriche e accadimenti quasi visionari. Poi si scioglie, o forse il lettore vi ha già preso dimestichezza, e i personaggi catturano tutta l'attenzione. Ad altri ha fatto venire il magone per le troppe tragedie. Ad altri ancora, compresa me, pur con il magone, ha rinnovato la forza di trovare il coraggio sempre, e andare avanti. E non lasciarsi ingannare dal pensiero che non vi siano alternative.
Marcello è stato generoso nel raccontarci dei Chironi, ma anche di sé. E' sembrato felice di un confronto così attento e di un pubblico numeroso, anche del banchetto a sorpresa. E ha promesso che tornerà.
Per leggere l'intervista cliccate QUI
Sì, i personaggi sono davvero magnifici ed è stato per loro che non ho interrotto la lettura. Desideravo sapere ed entrare nelle loro vite, nelle vicende quotidiane e in quelle drammatiche, nei silenzi buoni e in quelli per incapacità. E ho sopportato, per restare con loro, quello che mi pareva qua e là un esercizio di stile pretenzioso, vanesio e a volte davvero sterile. Ma questo è semplicemente il mio parere, che vale, ovviamente, quanto ogni altro parere diversissimo dal mio. Nella dedica Fois mi ha scritto:"A Maria, tifosa di Vincenzo". Vero. Ho patito per Vincenzo, ché non ha strumenti, passati e presenti, per avvicinarsi a Cecilia e affrontare con lei il loro dolore. Cecilia diventa per me via via una sconosciuta che ha deciso che Vincenzo è il solo colpevole di ogni fallimento e lo allontana, ma lo provoca, lo insulta, lo zittisce e poi lo accusa fino a quel maledetto natale. Quando lui perde ogni possibilità di perdono e mai più potrà denunciare e finalmente reagire allo sfinimento a cui è stato costretto e di fronte al quale è rimasto sempre inerte e inetto. PADRE sulla tomba! Pensarlo un gesto di "rassicurazione", come dire:"Ce l'hai fatta alla fine, anche se con uno stupro", mi pare quasi blasfemo, poiché non era Vincenzo ad essere ossessionato dalla paternità, ma Michele Angelo, per il terrore che la stirpe si estinguesse. E di certo Vincenzo non avrebbe voluto essere padre così. Ho davvero sofferto per lui.
RispondiElimina