Questa è una storia di gente viva, viva davvero, intendo. Ed è la
storia di una Nazione che è morta, morta sul serio, voglio dire. Aveva in
mente di scrivere il romanzo della Nazione, l’autore. Ma disgraziatamente gli
muore il padre, quello che lui riteneva lo scrigno della Nazione. Il libro
racconta dei genitori e dei loro sacrifici. Della fatica e della lotta
politica. Della costruzione di un maestoso Arsenale Militare. Del diventare
grandi e delle speranze finite.
Ne parlo assieme a, Giovanni,
Sarah, Patrizia B., Marina, Margherita, Carla, Patrizia R., Rosanna, Rita e
Marella.
È un libro autobiografico, credo.
Interessante per vedere lo spaccato di un periodo e di un Paese. Una buona
scrittura che va per associazioni libere, perciò, a tratti faticosa. Le parti
sulla morte mi hanno colpita molto, ma anche quelle sulla poesia. La scelta
delle parole. Lo spirito di sacrificio. A forza di sacrifici si può prendere
una piega migliore e capitare proprio in quella piega. Poi, non c’è verso. Io
mi innamoro delle mani. Il primo romanzo della Nazione credo d’averlo letto
nelle mani ruvide di mio padre.
A Sarah non è piaciuto. L’ha
irritata moltissimo. Trova che sia solo una registrazione. Premessa valida, poi
nulla. L’ha finito e quindi? Si è chiesta.
Maria non lo ricorda più.
Avvicinandosi a Sarah, l’ha infastidita quanto più si staccava
dall’autobiografia. Come me trova che sia biografico con taglio storico. Ma
l’ha affaticata molto, proprio stancata, questo andare per associazione libera.
Stupenda la parte del suo diventare orfano. I personaggi stupendi, i nomi
spettacolari. Poi, quando deve sostenere il titolo, ci ricorda, sottolinea che
ogni singolo avrebbe potuto scrivere il romanzo della Nazione. Chi è Nessuno fa
storia.
A Rita mette ansia, le fa
tristezza. Fatica con la categoria del romanzo storico, era prevenuta, invece
leggendo non le è dispiaciuto. Anche la parte storica, forse perché aveva poche
aspettative. Lo definisce uno spunto per pensare come eravamo. Dove la patria
aveva la sua importanza e si facevano figli più facilmente. Dei pezzi
incastrati nell’insieme, il racconto, e nell’insieme lo consiglierebbe anche.
Giovanni ha sentito la sconfitta
del padre come fondatore di nazioni e come lui tutti quelli che ci hanno
provato. Sono diventati solo proletari, proprietari di figli. Il libro si
compone di due parti volute. Nella prima sono ben definiti i sentimenti dei
fondatori di Nazione.
Carla non lo ha finito. Più o
meno c’era, dice. Il racconto è un vissuti della nostra storia. Ha avuto la
sensazione che poteva finire 100 pagine prima. Le dispiace che l’autore parli
del padre come sconfitto. Non ha capito, perché aveva un vissuto pieno. C’erano
esigenze diverse, la vita era diversa. C’era il tempo di pensare a qualcosa di
ulteriore. La mentalità è fortemente cambiata.
A Rosanna le prime pagine sulla
morte le hanno dato fastidio. Perché gli serviva il padre per scrivere il
romanzo della Nazione. Eppoi: Nazione, che parolone! Nazione la fa pensare ad
un paese che deve difendersi da un nemico esterno. Il patriottismo c’è quando
c’è lo straniero, diceva Mazzini. Il problema è che è sfuggita una cosa
semplicissima, che invece San Francesco aveva capito. La gente il latino non lo
conosceva e bisogna parlarle col linguaggio visivo. Forse è qui tutto il
fraintendimento e il fallimento di una Nazione. Le Nazioni si fanno
conquistando.
Maria non è d’accordo. Rivendica
all’autore la lucidità di sapere come l’avrebbero fatta la Nazione. Con il loro
lavoro l’avrebbero fatta. Con il lavoro che era la loro utopia. Oggi non c’è
lavoro, non ci può essere alcuna utopia. Al povero padre, all’autore, manca il
passaggio di testimone. Questo è il fallimento.
Ma si può continuare a sognare,
aggiunge Giovanni. Forse vivere di sogni è un’utopia. Eppure Lutero e M.L. King
coi loro sogni hanno cambiato la storia. L’autore è questo che rimprovera al
padre, di non aver seguito i suoi sogni.
Già. Marina pensa che tutti i
figli potrebbero contestare qualcosa ai genitori. Che forse l’amore di patria
non esiste. Che deve iniziare a sentirsi fallita come genitore. Che come figlia
non ha acchiappato il testimone e non l’ha portato avanti.
Elke, il libro, non l’ha capito.
Non ha trovato le due parti. Solo pensieri liberi.
Per Margherita il senso del
racconto è che ci si è occupati del piccolo e si è perso di vista il grande.
Ancora Giovanni non ha capito, e
ce lo chiede, perché l’autore prima idolatri il padre, poi lo critichi.
Gli risponde Maria. Per riportarlo
per terra. Poi, anche per trovare una giustificazione per sé, Maggiani, di non
essere fondatore di Nazione. È quello che lei vorrebbe fare da tempo. Ha
sentito la possibilità per ognuno di noi di fare la Nazione. Convinta di
ricominciare noi da noi.
Per Patrizia B. la prima parte è tenera.
Poi, si è chiesta cosa stesse diventando il racconto. Cosa stiamo diventando
noi, adesso.
Marella ha sentito pesantezza
nata dall’assenza di un filo conduttore. A lei sembra che le persone si stiano
adagiando. E di quel periodo dice che probabilmente quando c’è stato il boom
economico le persone se lo son volute godere.
Questo tanto per dire che la storia non finisce mai, e va dove deve
andare. Si conclude così il libro. E sono restata incerta.
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