Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

martedì 18 ottobre 2016

Lettera a Dina di Grazia Verasani

Presenti Sarah, Lavinia, Maria, Mario, Margherita, Giuseppina, Patrizia R., Marella, Mariateresa, Patrizia B., Elke, Barbara, Rosanna, Carla, Annalisa ed io.
Lettera a Dina è il racconto di un’amicizia trentasette anni dopo. Due ragazzine, molto diverse tra di loro, si incontrano per la prima volta in seconda media. Ne nasce un’amicizia duratura e travolgente, ossessiva e morbosa.
È stata Elke a proporci questo libro e le chiediamo la motivazione. Ci racconta di essere stata alla presentazione con l’autrice e di essersi incuriosita. L’autrice, nella presentazione, ha suddiviso il libro in due momenti. La prima parte caratterizzata da Dina. La seconda dalla voce narrante che è poi, senza alcun dubbio sia secondo Elke che secondo Maria, Grazia Verasani in prima persona. Ancora, che l’amicizia in adolescenza è religiosa. In età adulta diventa laica.
Per Sarah è stato un libro tossico, questo Lettera a Dina. E la tossicità è stata nel fatto che non le piacesse, non le è piaciuto, ma ha desiderato comunque arrivare alla fine.
Per Mario una prosa asciutta, semplicemente. Non è il suo genere di libro, ma vuole ascoltare i nostri commenti.
Secondo Mariateresa manca di intimità. Non si è annoiata nella lettura, l’ha letto tutto d’un fiato. Ma l’ambivalenza o ambiguità di fondo l’ha disturbata. Perché, se uno scrittore parla di sé, deve dirlo. Se decide di fare autobiografia e non vuole dirlo, allora adotta delle strategie. E la Verasani le ha adottate, vedi la relazione amorosa, lo psicanalista, la città che è evidentemente Bologna, nomi freudiani solo con le iniziali. Tutto per incentivare la curiosità morbosa del lettore. Infatti, il punto di vista di un’amicizia morbosa è tutto del lettore, non di Dina. Quella di Dina è semplicemente una dichiarazione d’amore che non riceve mai risposta. La parola chiave è dipendenza.
Carla ha trovato solo un rapporto molto sentito.
Patrizia R. si associa alla definizione di Sarah, di tossicità e aggiunge che la voce narrante, o Grazia, è stata tanto vicina a Dina da far diventare tossica la sua scrittura. Dina è ossessionata. Definire questo libro un racconto sull’amicizia è riduttivo. La mancanza di intimità lamentata da Mariateresa per lei è un’àncora di salvataggio del libro che altrimenti l’avrebbe disturbata.
Giuseppina riferisce di un libro che turba. Che racconta di un amore che non rende felici, di un bisogno di liberarsene senza riuscire a farlo. Dina succhia la vita. Affascina, ma non fa vivere chi sta accanto. E quindi, chi sta accanto, saggiamente, la lascia. Trova interessante il commento di Mariateresa e si chiede se, dunque, non abbia mai risolto quella storia perché innamorata. È un rapporto intenso quello tra le due ragazze. Così diverso da quello con R. Questo racconto è come se ci dicesse che, passato quel momento della vita, non sia più successo di provare quelle cose. Che, meno male, se le porta dietro.
Margherita è d’accordo con Giuseppina. È un amore perverso. Tra le due non c’è quella distanza che permette un amore equilibrato.
Marella ha letto di un’amicizia morbosa, non di amore. La tossicodipendenza, da cui è affetta Dina, è un problema degli anni di cui si narra. Ed è un problema di Dina, che ci si è trovata in mezzo per sua debolezza, non l’attribuirebbe all’amicizia. Ma quando Dina muore prima che l’amica potesse parlarle ancora, ecco che arriva l’ossessione. Arriva il senso di colpa.
Maria ha sentito l’amore di Grazia estremamente frustrato. Grazia ha rivendicato la prosa asciutta non piaciuta a Mario anche per via di questa frustrazione. Il punto è che, come dice lo psicanalista nel libro, l’amore non salva. Sembra banale, ma non è amore quando si richiede come salvazione. Legge a pagina 92 Maria. Tutte le domande su Dina restate senza risposta, dopo.
Annalisa crede di capire, ora, perché la Verasani alla fine non sia venuta ad incontrarci. È un libro troppo intimo. Un’amicizia femminile che è amore. È imbarazzante. È sconvolgente. È amore, appunto. Non si sente in colpa per Dina, la narrante. Ma per non aver detto a Dina del suo amore.
Rosanna è affascinata dall’operazione di scrivere ad una persona che non c’è più. Dina è la protagonista. Dina è bella perché l’altra la trovava bella e per questo aveva bisogno dell’amica. Il libro è un capolavoro perché è la necessità di elaborare il fatto che non tutto sia possibile, sempre.
Concordo con tutti i commenti, di quelli a cui il libro è piaciuto e anche di quelli a cui non è piaciuto. Perché non so dire se lo consiglierei, se lo sceglierei ancora. Ma di certo anch’io l’ho letto desiderando solo di arrivare alla fine. L’operazione cui fa riferimento Rosanna è necessaria per alcuni che hanno perso delle persone care. Si sente il bisogno di mettere le cose un po’ a posto e per questo, so per certo, che alla narrante od all’autrice, dunque al racconto, riservo tutto il rispetto che una tale operazione richiede. L’escamotage letterario di vedere la persona che ci manca credo sia un buon finale nella storia, che alleggerisce finalmente la morbosità angosciante di una cosa chiamata amicizia.
 
 

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