Presenti Sarah, Lavinia, Maria, Mario, Margherita, Giuseppina, Patrizia
R., Marella, Mariateresa, Patrizia B., Elke, Barbara, Rosanna, Carla, Annalisa
ed io.
Lettera a Dina è il racconto di un’amicizia trentasette anni dopo. Due
ragazzine, molto diverse tra di loro, si incontrano per la prima volta in
seconda media. Ne nasce un’amicizia duratura e travolgente, ossessiva e
morbosa.
È stata Elke a proporci questo
libro e le chiediamo la motivazione. Ci racconta di essere stata alla
presentazione con l’autrice e di essersi incuriosita. L’autrice, nella
presentazione, ha suddiviso il libro in due momenti. La prima parte
caratterizzata da Dina. La seconda dalla voce narrante che è poi, senza alcun
dubbio sia secondo Elke che secondo Maria, Grazia Verasani in prima persona.
Ancora, che l’amicizia in adolescenza è religiosa. In età adulta diventa laica.
Per Sarah è stato un libro
tossico, questo Lettera a Dina. E la tossicità è stata nel fatto che non le
piacesse, non le è piaciuto, ma ha desiderato comunque arrivare alla fine.
Per Mario una prosa asciutta,
semplicemente. Non è il suo genere di libro, ma vuole ascoltare i nostri
commenti.
Secondo Mariateresa manca di intimità.
Non si è annoiata nella lettura, l’ha letto tutto d’un fiato. Ma l’ambivalenza
o ambiguità di fondo l’ha disturbata. Perché, se uno scrittore parla di sé,
deve dirlo. Se decide di fare autobiografia e non vuole dirlo, allora adotta
delle strategie. E la Verasani le ha adottate, vedi la relazione amorosa, lo
psicanalista, la città che è evidentemente Bologna, nomi freudiani solo con le
iniziali. Tutto per incentivare la curiosità morbosa del lettore. Infatti, il
punto di vista di un’amicizia morbosa è tutto del lettore, non di Dina. Quella
di Dina è semplicemente una dichiarazione d’amore che non riceve mai risposta.
La parola chiave è dipendenza.
Carla ha trovato solo un rapporto
molto sentito.
Patrizia R. si associa alla
definizione di Sarah, di tossicità e aggiunge che la voce narrante, o Grazia, è
stata tanto vicina a Dina da far diventare tossica la sua scrittura. Dina è
ossessionata. Definire questo libro un racconto sull’amicizia è riduttivo. La
mancanza di intimità lamentata da Mariateresa per lei è un’àncora di
salvataggio del libro che altrimenti l’avrebbe disturbata.
Giuseppina riferisce di un libro
che turba. Che racconta di un amore che non rende felici, di un bisogno di
liberarsene senza riuscire a farlo. Dina succhia la vita. Affascina, ma non fa
vivere chi sta accanto. E quindi, chi sta accanto, saggiamente, la lascia.
Trova interessante il commento di Mariateresa e si chiede se, dunque, non abbia
mai risolto quella storia perché innamorata. È un rapporto intenso quello tra
le due ragazze. Così diverso da quello con R. Questo racconto è come se ci
dicesse che, passato quel momento della vita, non sia più successo di provare
quelle cose. Che, meno male, se le porta dietro.
Margherita è d’accordo con
Giuseppina. È un amore perverso. Tra le due non c’è quella distanza che
permette un amore equilibrato.
Marella ha letto di un’amicizia
morbosa, non di amore. La tossicodipendenza, da cui è affetta Dina, è un
problema degli anni di cui si narra. Ed è un problema di Dina, che ci si è
trovata in mezzo per sua debolezza, non l’attribuirebbe all’amicizia. Ma quando
Dina muore prima che l’amica potesse parlarle ancora, ecco che arriva
l’ossessione. Arriva il senso di colpa.
Maria ha sentito l’amore di
Grazia estremamente frustrato. Grazia ha rivendicato la prosa asciutta non
piaciuta a Mario anche per via di questa frustrazione. Il punto è che, come
dice lo psicanalista nel libro, l’amore non salva. Sembra banale, ma non è
amore quando si richiede come salvazione. Legge a pagina 92 Maria. Tutte le domande
su Dina restate senza risposta, dopo.
Annalisa crede di capire, ora,
perché la Verasani alla fine non sia venuta ad incontrarci. È un libro troppo
intimo. Un’amicizia femminile che è amore. È imbarazzante. È sconvolgente. È
amore, appunto. Non si sente in colpa per Dina, la narrante. Ma per non aver
detto a Dina del suo amore.
Rosanna è affascinata
dall’operazione di scrivere ad una persona che non c’è più. Dina è la
protagonista. Dina è bella perché l’altra la trovava bella e per questo aveva
bisogno dell’amica. Il libro è un capolavoro perché è la necessità di elaborare
il fatto che non tutto sia possibile, sempre.
Concordo con tutti i commenti, di
quelli a cui il libro è piaciuto e anche di quelli a cui non è piaciuto. Perché
non so dire se lo consiglierei, se lo sceglierei ancora. Ma di certo anch’io
l’ho letto desiderando solo di arrivare alla fine. L’operazione cui fa
riferimento Rosanna è necessaria per alcuni che hanno perso delle persone care.
Si sente il bisogno di mettere le cose un po’ a posto e per questo, so per
certo, che alla narrante od all’autrice, dunque al racconto, riservo tutto il
rispetto che una tale operazione richiede. L’escamotage letterario di vedere la persona che ci manca credo sia
un buon finale nella storia, che alleggerisce finalmente la morbosità
angosciante di una cosa chiamata amicizia.
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