Caro Giampiero,
dopo che Luigi t’ha chiesto se poteva darti del tu chiamandoti Giancarlo, io qui azzardo il caro perché ho deciso di scrivere il diario della serata che ci hai regalato sottoforma di lettera. E una lettera che si rispetti deve iniziare per caro. Pensa. Mi è venuto stamane in autobus. Già. Oltre che leggere, spesso scrivo in autobus, se trovo posto. Spessissimo ho scritto proprio lettere che poi durante la giornata diventavano mail, trascritte velocemente e furtivamente. A volte anche i resoconti delle serate di lettura. Anche un brevissimo racconto. Ed è particolare come effettivamente su un bus si sfiorino tante vite e una Vita resti a parte di quel crogiuolo di saliscendi, quella transumanza
giornaliera di assonnati, svogliati, pensionati, che da una periferia all’altra attraversa la città. E neanche la guarda.
Ho scelto la lettera perché è ancora un bel modo di comunicare. Con alcune persone lo faccio se voglio davvero far dono di me. Con Letizia l’ho fatto. Coi miei fratelli. Con un Amore. Con Maria a volte. Maria, la ricordi, sì? Arrabbiata perché hai scritto una sceneggiatura e non un romanzo. Però ad un certo momento ti guardava affascinata e temo che l’arrabbiatura sia rientrata. Probabilmente l’hai conquistata quando in maniera semplice hai detto che di scrivere senti il bisogno, che fare lo scrittore era per te un sogno irrealizzabile e semplicemente ti sei dovuto arrendere alla Fortuna che te l’ha concesso per mestiere, che di fare lo sceneggiatore potresti certamente fare a meno. O forse l’hai conquistata dicendo che hai fatto tanti lavori manuali proprio per lasciarti la mente libera. Ma sai che anche Erri, Erri De Luca, dice una cosa simile riguardo al suo essere scrittore? Che non pensava che l’avanzo della giornata lavorativa potesse trasformarsi in un modo di vivere? Lo sapevi? Come vedi anch’io a domande non scherzo. Per questo mi ha catturato l’interesse che hai per le domande, sul fatto che scrivi storie perché te ne fai tante e che se anche non trovi le risposte non è poi così importante. Ma sai che mi hai dato un’idea? Sembra tanto filosofeggiare e del resto tu filosofo sei, hai detto. Perché? quanto tempo ci hai messo a laurearti? Qui la domanda corretta da brava apprendista bolognese dovrebbe essere: quanto tempo ci hai messo a laurearti pure? Voi usate il pure, come altro, come tiro, come tante cose che usate solo voi. E che mi piacciono. Non solo a Katia, bolognese doc che ha amato Notturno bus riconoscendo la sua Bologna. E perché sua poi? se l’è mica comprata Bologna lei? Guarda, rischiavi anche di offenderla quando hai detto che tutte le periferie si somigliano e che o Bologna o Roma, come poi è stato per girare il film tratto dal tuo libro, non faceva molta differenza. Stavi scherzando, vero? Diciamo solo e semplicemente che Roma è una città cinematografica, ribadiscilo per bene, e che Bologna è una città….è una città. Insomma: non toccare Bologna a Katia. Neanche a Letizia per la verità. E neanche a Maria. Né a tutti gli altri, ché nessuno è bolognese ma tutti hanno scelto di esserlo. E neanche a me, se devo dirla tutta.
Sai qual è stata la bellezza della serata? Che tu stessi bene con noi. Che si vedeva che stavi bene. Sembrava che non volessi andartene e noi t’avremmo trattenuto, davvero. Il fatto di dirci delle cose così personali poi, di rievocare ad esempio davanti a persone sconosciute un momento intimo come può essere quello della paternità; o della precarietà finanziaria eppure avere la scelleratezza e lo sprezzo di un lavoro che i tuoi comprendevano e comprenderebbero ancora; di riferirti con tenerezza a quel tuo amico Lucio che poi è il nostro Paolo e chiederti davvero, lì, in mezzo a noi, perché nessuno lo considera se pure è bravo; ancora il ricordo quasi nostalgico della cartina ragnatela; eppoi come nasce Susy, sorridi della fusione che t’ha portato a questo personaggio ma sembri Francesco preso da pietà, dici di no come lui e vuoi farcelo credere ma non sei credibile, quanto meno idealmente, dopo che ti sei lasciato dire che stai bene e scrivi bene quando tutto quello che scrivi è intorno a te, anche Susy intorno a te verrebbe da dire; e ancora che sei pessimista e uno quasi lo direbbe con pudore con tutte le congiunture favorevoli; e che sei pigro denigrandoti apertamente quando uno direbbe che sgobba da mattina a sera; e che la vanità t’appartiene, a Giampiero scrittore sì; poi ti fai serio e ti preoccupa la vena necrofila della società e vuoi denunciarla e poco t’importa se sei impopolare; ti compiaci di saper osservare le donne e forse ti piacciono anche data la camicia bianca, larga, leggera, te l’ha prestata Paolo? Se avessi avuto una figlia si chiamerebbe Alice. Sai che mi son chiesta in quanti che ti conoscono lo sanno?
Vedi, Giampiero, potrei rendicontare tutto della serata perché sono veloce e dettagliata negli appunti e mi è piaciuta la citazione di Nabokov dove Dio è nei dettagli. Mi sento sollevata, non mi sentirò più d’aver fatto subire le mie lungaggini a chi mi legge. Neanche con te, ora. E mi chiedo come ho fatto a perdermi una citazione del genere! Sì, potrei ripetere che d’estate ti ritrovi con altri colleghi e leggete quello che state scrivendo, che è stata Simona Vinci ad illuminarti sulla lunghezza ieratica del primordiale ora dell’incontro, che Tolstoj è il tuo scrittore preferito, che sei finito a collaborare con Faenza perché lui t’ha contattato per farci un film su Notturno Bus, che per il cinema americano è bibbia osannare dall’alfa all’omega un personaggio, anche apocalittico, che l’idea di un racconto ritmato ti è valsa la pubblicazione nella collana Ritmi poi Stile Libero, che ti piacciono i cambi di visuale nella letteratura come nel cinema, che internet è stato un sollievo alla tua pigrizia, che facevi un laboratorio di scrittura autogestita con Lucarelli e Fois, che Loriano Machiavelli è convinto che i soldi arrivano quando se ne ha bisogno, che tu eri convinto di passarci due anni con i sedici milioni di lire della tua liquidazione e dell’anticipo della casa editrice, che Palmieri non è morboso o se è morboso è un dongiovanni lirico, che la tua compagna pensa che Leila sia mascolina pur essendo bellissima, che hai scritto delle canzoni, che ti piace scrivere a mano, che rileggi molto, che al momento hai due pile di libri sul tuo tavolo di lavoro ma non c’è il Conte di Montecristo, che un tuo amico scarso lettore si cimentava sul Principe di Machiavelli e ti fece togliere tutti gli aggettivi dal tuo romanzo ma che pensi che le persone care manchino di obiettività, che spesso prendi in giro l’ispirazione e la pigrizia facendo finta di prendere appunti, che c’è uno che scrive per te mentre dormi, che non avevi notato la ricorrenza del nome Giada nei personaggi delle due bambine, che i racconti sono istantanee e il romanzo può accogliere tutti i generi, che il regista non vuole attenzione al dettaglio e tu invece per far mangiare un piatto di spaghetti alla povera Clara hai superato anche Kubrick in Odissea 2001 nello spazio, che nel tuo prossimo lavoro ci sarà un affollamento di personaggi di cui conosci già i nomi che vanno da Mirca, a Letizia, a Lorenzo, ad Alberto, a Katia, a Chiara, a Rosanna, a Maria, a Barbara, a Luigi, a Natalia, a Gianluca, a Cristiana, a Simone, a Vita.
Insomma, Giampiero, vuoi davvero che ti dica tutto ciò? Facciamo che lo sai già e arrivo alla fine di questa lettera bislacca e così come ho iniziato chiudo con un azzardo. La serata che ci hai regalato ha superato quella con Gianrico. L’ho detto! I paragoni non si fanno, lo so, gli amori spesso finiscono quando se ne fanno, ma come faccio a farti capire la bellezza della serata? Dopo che nel precedente diario sei inciampato nella mia causa di beatificazione di Gianrico Carofiglio?
Grazie davvero, Giampiero, a presto.
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