Diario dell'incontro con Guido e Franco
Sono le 21. Quando arrivo Guido e Franco ci sono già, hanno trovato il posto prima di me. Questa sera, infatti, siamo ospiti dell'associazione Noi Donne Insieme. Non sapevo dove fosse e, arrivando, stavo già dandomi della stupida per non aver preso il numero di telefono di Franco. Quello di Guido neanche a dirlo, lui il cellulare non ce l'ha.
Che belli che sono! Già seduti, li vedo stanchi, ma a loro agio. Coraggiosi a volerci incontrare ancora, penso. Soprattutto questa volta che non abbiamo avuto il tempo di discutere prima tra di noi dei libri letti, ma lo faremo con loro direttamente.
Ho ricevuto molti messaggi di assenze durante il giorno, ma restiamo sempre un bel gruppo. Alcuni elementi poi sono proprio meritevoli di attenzione, tutti per la verità. Come Nicoletta e Rosanna, che si vedono che sono davvero stanche, eppure sono qui. Come Debora e Nadia, alla loro prima volta, senza paura. Come Elke che pare quasi timida stasera. E Maria entusiasta come sempre. Patrizia innamorata. Filomena emozionata. Manjolia orgogliosa. Giuseppe sornione, forse sorpreso. Lorenzo e Luisa, sempre presenti. Sarah fiera. Io sono felice.
Guido è così a suo agio che inizia subito a raccontare come sia nato il progetto della trilogia. Per caso, da un luogo sull'Appennino che è Fiumalbo, il Lagodiavolo conosciuto nell'inverno dispari. E' un progetto che si è preso tutto il tempo necessario, un tempo infinito e paziente, quasi dieci anni per tre libri. Colajacono meritava quest'attenzione, dice Franco. Meritava che si scrivesse ancora dopo il primo libro, e in un altro posto dopo Lagodiavolo. In un posto anomalo come Bellaria, il confino estivo del nostro commissario, stuzzicati da un personaggio pubblico in giacca e cravatta. Così il secondo libro, con un finale sulla storia, quella grande e ipocritamente irrisolta. Un finale geniale, piaciuto a tutti, diciamo noi, dove il grande evento adombra quello piccolo. Nel mezzo e nel mirino la musica come nervatura forte, fissazione di Guido, ma senza forzature. I tre libri scandiscono un arco temporale di circa trent'anni. L'inverno dispari è quello del 1971, il tempo infinito e paziente è quello dell'estate del 1980, il 1989 sarà l'anno senza una via d'uscita. Una storia ogni nove anni, una numerologia perfetta anche per me che considero il nove il più perfetto dei numeri.
Filomena chiede perché Colajacono debba sempre girare disarmato. E' una contraddizione in termini che un commissario sia disarmato. Guido sorride. Dice che è solo per farlo cacciare nei guai, per metterlo a disagio. Anche perché Franco, se c'è un'arma, non esita a farla usare e le morti potrebbero aumentare a dismisura. Nel terzo libro poi Colajacono è in vacanza, non può essere armato. E comunque è già stanco dal secondo libro, così lo troviamo in vacanza in Irlanda, altra fissazione di Guido. Debora chiede della moglie Giovanna. Guido risponde che l'hanno lasciata volutamente a casa perché quest'uomo che, come tutti, è santo e diavolo assieme deve mostrarsi per quello che è ( uno stronzo, hanno detto, e quasi Patrizia si è offesa ), nella sua ansia di moralità. Quel moralismo che alla fine lo ha allontanato dai figli e scoprire questa distanza proprio in Irlanda è stato congeniale, poiché forte era già stata la venatura iniziale nel primo libro. Con quel mito celtico che solo Rosanna era riuscita a sbrogliare.
A me quella cosa della distanza scoperta in una telefonata mi ha toccata molto. Credo sia uno dei passi più riusciti e più difficili del libro. In poche righe una vita. E' così, dice Franco. Il finale del terzo libro risulta amaro perché, appunto, l'esistenza non è così manichea. La vita, e le vite, hanno varie sfaccettature. Ma Colajacono è l'unico personaggio che ha caratterizzato i tre libri, solo di lui abbiamo un ritratto compiuto. Quello di un uomo alla fine a cui, magari, i figli stanno sulle palle ( parole testuali di Franco ), ma li ama lo stesso.
Oh, sì! Interviene Maria. Lei lo adora Clajacono. Quest'anima malinconica, moralista, non giudicante, le piace proprio perché è così. Non è vincente, è sfiduciato, è testardo. Nel terzo libro poi, quasi preavvertito di qualcosa di terribile, si fa consolare velocemente dal cibo, dalla scelta della donna di suo figlio, dalla capacità di accorgersi delle cose senza saperle. Ancora Maria dice agli autori che sono stati bravi a dire la storia già nella premessa, senza sapere di che storia poi si tratterà.
Guido risponde che sì, si sono divertiti a lanciare segnali. Gragnano e la festa della pasta presagiva la fame irlandese. Poi ci racconta che Gragnano lo ha conosciuto perché un autore da lui pubblicato era nato lì. Sorride quando gli dico che allora è lui l'irlandese partenopeo.
Nadia chiede se hanno avuto mai dei contrasti tra di loro, Guido e Franco. Solo a vederli stasera io direi di no, ma sono loro a dirlo. Anzi è Franco, che pare quasi protettivo ora, dopo il crocchio, come lo ha definito lui. Dice che è tutto condiviso, si sono pure spartiti i loro nomi per i due figli, e che l'unica premessa per questo lavoro è stata l'amicizia. Infatti è notevole, secondo Maria ma anche secondo Patrizia, come tutto scorra come fosse stata un'unica persona a scrivere. Giuseppe non è d'accordo, lui sostiene d'aver riconosciuto gli assoli. Certo che sì, lo rassicura Guido. Gli assoli ci sono, ma sono assoli orchestrali.
Posso dirlo? wowissimo!
Patrizia non conosceva Guido e Franco. Adesso sta supplicandoli di dare un seguito a Colajacono. Sì però senza che si riavvicini ai figli, suggerisce astiosa Maria. Mentre Franco, se ne scrivesse ancora, vorrebbe farlo morire.
Filomena ha letto i libri aspettando il giallo, ma nel terzo si è dovuta arrendere perché l'indagine era più personale, quella della non consocenza dei figli, dove l'unico colpevole stavolta era proprio lui, il commissario Vincenzo Maria Colajacono.
Già. Dice stavolta Guido. Negarsi e negare, paura di scoprire delle cose. Una paura così grande, così sconosciuta che il morto finale è servito per ridare al personaggio un terreno conosciuto, quello delle indagini reali, dove sa muoversi. Qui il libro finisce, ed anche la trilogia ( per ora ). Senza alcuna differenza tra un morto ammazzato o un suicida, e solo l'abisso, o una scogliera irlandese, tra padre e figlio. Debora la pensa come il figlio, non fa differenza com'è morto quel Gotti lì. E' solo morto. Io la penso un po' come Colajacono invece, c'è una bella differenza. Va bene, non diventiamo seri proprio ora. Anzi, come suggerisce Patrizia, speriamo che gli autori alla ristampa vogliano inserire un'avvertenza, soprattutto nel terzo libro, quella di leggere accompagnati da una bella Guinness. E prima di lasciarci andare allo strudel di Elke, alla torta con le zucchine di Rosanna, ma poi pure a quella con le nocciole e cannella e a tante altre cose, arriva sul finale Manjolia dicendo che Colajacono le è piaciuto, la storia un po' meno. E Giuseppe che rimarca i tempi perfetti del terzo libro, lo ha divorato mentre il secondo no e il primo lo leggerà. Il primo paradossalmente è la sintesi degli altri due, gli dice Franco. Il secondo è pieno d'azione. Il terzo è pacato. Lui avrebbe voluto esagerare di più, chennesò, magari invischiando il povero Demos Gotti in un trafficio di reliquie ma ne sarebbe venuto fuori un volume da mille pagine. Guido guarda Franco, è sollevato per una volta che abbia fatto morire un personaggio e ci confida invece che Dimitris esiste davvero.
Che vi siete persi? Una serata bisestile tra amici.
La trilogia dei libri è:
RispondiEliminaUn Inverno Dispari
Il tempo è un cerchio infinito e paziente
Senza via d'uscita
oh Vita, che bello. C'è tanta amabile sostanza in queste serate, è così difficile parlare di libri ormai, nella quotidianità delle nostre convulsioni... Si ha solo voglia di tornare, e tornare, e tornare...
RispondiEliminaSpero quindi che "Era il tempo del buio e del coltello" ti piaccia, anche perché c'è la cosa migliore che ho mai scritto, a mio parere, e cioè "L'invenzione della musica".
Potrei, e mi piacerebbe, parlarne all'infinito: e non temere, chiacchiero un casino anche SENZA Guido!
A presto
franco