Me l'ha suggerito Maria, questo libro. Può servirti per la tua esperienza politica, aveva detto. E avendolo letto, adesso, comprendo quanto avesse ragione e quanto avesse, lei,
da brava madre d'anima, inteso il mio malessere per l'ingiustizia sociale e l'urgenza di metterci in guardia.
Ora la recensione. La copertina già parla da sola.
Le parti di questo
libro si parlano da lontano. Da lontano perché la distanza fra i
fatti e il loro senso è quasi incolmabile.
Libro
curioso, a quattro mani, ma di autrici molto diverse tra loro.
Partendo da un fatto di cronaca, Luciana Castellina scrive della
realtà nuda e cruda, Milena Agus di quella romanzata. L'episodio
reale è quello del 6 marzo 1946, quando in occasione del comizio del
sindacalista Giuseppe di Vittorio, qualcuno spara sulla folla. Si
pensa ad una provocazione. Due sorelle di quattro, zitelle, ricche
agrarie, ignare della fame intorno, incolpevoli degli spari,
colpevoli per storia, per classe, vengono linciate. Altre due,
malridotte, sopravvivono.
Un
libro terribile e urgente. Che ha il merito di raccontare un pezzo di
storia che nessuno quasi conosce. Una terribile guerra civile che si
scatenò in Puglia, ma anche altrove, dal '43 al '49. Terribile e
urgente e attuale. Bisogna guardarsi dalla fame della gente. Perché
questa, la fame, si fa violenza e chiede vendetta.
La fame si fa violenza e chiede vendetta perché chi ha fame non ha ricevuto giustizia. E qualora uno- già oggi potrebbe essere troppo tardi - si alzasse a urlarlo e con la sua stessa vita lottasse perché giustizia venga fatta, sarebbe ormai possibile che la gente non ci creda più e, appunto, ricorra alla violenza, chiamandola giustizia e sarebbe solo vendetta che chiamerà altra fame, mai sazia. Ne ho terrore, tanto la sento alle porte
RispondiEliminaMalridotti sopravvivono anche quelli che non hanno saputo, voluto alzarsi a urlare e lottare perchè giustizia venisse fatta
RispondiEliminamalridotti, già. in tutti i sensi, mi vien da dire.
RispondiEliminamalridotti, già. In tutti i sensi, mi vien da dire.