Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 14 maggio 2012

Accabadora di Michela Murgia


Che libro questo di 'stasera! Aveva ragione Gianrico quando aveva detto che Accabadora era l'unico libro che meritava di vincere al Campiello 2010, dove lui pure partecipava. Ci siamo tutti appassionati a questa storia. Maria, Mercede, Lorenzo, Luisa, Patrizia B., Filomena, Barbara, Manjolia e io. 
L'avete vista le dedica? attacca subito Maria. A Mia Madre Tutt'e due. Già. Pensiamo che l'autrice possa essere stata figlia d'anima. Nel libro, ma anche altrove, è una figlianza che sazia un ventre magro e pure le colpe. Un aborto retroattivo. La storia è quella di Maria e di Bonaria. E' piaciuto a tutti il nome Bonaria, pare il nome di una religiosa, di una che preferisce soffrire, aspettare di morire, per non far peccare la figlia, pensa Manjolia. Ma questo è già il finale del libro. E da qui partiamo perchè alcuni, come me, Mercede e Manjolia, pensano che la figlia d'anima abbia ucciso la madre. Altri, come Maria, che invece la madre era già morta. Che la figlia era pronta,  sì, avrebbe potuto farlo quel gesto di pace e di grazia perché era arrivata a capire le ragioni della madre. Ma la morte, da sola, era arrivata prima. Rosanna aveva capito che era stata uccisa, ma poi parlandone con Maria, si era convinta della morte senza colpa. Ma allora voi vi sentite prima? quasi rimprovera Elke. No. E' che quando si legge un libro che piace non si vede l'ora di poterne parlare con qualcuno. Maria lo fa anche con me. Torniamo ad Accabadora. Pare un percorso di fusione tra due donne, madre e figlia, attraverso la condanna, l'allontanamento, la grazia. E' Torino la città servita per sentire nostalgia, dice Rosanna. Per tornare a un corpo dolente, riuscire ad arrivare in tempo a frapporsi alla morte. Torino è la presa di coscienza. E' in questa città che la figlia d'anima viene a sapere di una violenza che ci colpisce molto e che a Manjolia fa pensare che il libro stia per prendere una brutta piega. In realtà quella violenza è ciò che induce al ritorno, dice Marcede. A volte capita. E la piega che prende è davvero bella. Forse l'autrice vuole mandare un messaggio di favore all'eutanasia come credente, pensa Manjolia. Sì, ma Bonaria non è religiosa, dice Maria. E' rispettosa. E quel che è bello qui è la libertà di coscienza profondamente rispettata da Dio. Senza seguire i propri egoismi, ma la voce di Dio che parla dentro. Bonaria infatti si rifiuta di procedere davanti a una vita aggrappata al suo braccio che le dice che alla fine l'hanno chiamata. Maledice l'egoismo di quella famiglia, esorta piuttosto a dargli da mangiare a quel corpo non esanime. Rispettosa anche nel richiedere che i simboli religiosi venissero rimossi quando operava il trapasso, ricorda Filomena. Ci chiediamo se questa pratica è tipica della Sardegna o se si hanno notizie di altri luoghi. In Puglia, sì, pare che fosse diffuso qualcosa di simile. Poi, oltre all'eutanasia, anche sortilegi per allontanare maledizioni e fatture. Tutte esigevano criteri di comportamento e rispetto per il divino. Non ci crediamo quando proprio da Maria arriva il racconto del sortilegio che a sette anni l'ha voluta colpita da vermi. Sostiene d'essere stata guarita da una donnina sciatta che per sette giorni ha tagliuzzato uno spago i cui pezzetti si contorcevano nella bacinella come vipere. Fino a che non morivano e il male le è passato. Filomena racconta delle fasciatura e del malocchio. Rosanna del suo matrimonio con seicento persone e tredici qualità di paste, come il matrimonio narrato nel libro e che è piaciuto tanto a Patrizia B. Poi però, sempre Rosanna, ci fa una domanda tosta. Noi lo faremmo? Aiuteremmo una persona a morire se ce lo dovesse chiedere? Saremmo Bonaria? Maria sì. E vorrebbe che qualcuno lo facesse per lei se ne dovesse sentire il bisogno. Ha trovato potente l'ultimo pezzo dove Bonaria aspetta e resiste in attesa del perdono, in atesa della figlia che avesse capito il senso e il bene della sua vita. E' incredibile il legame del momento finale, dice Rosanna. Spesso i genitori aspettano figli lontani per morire. Io ne so qualcosa. Filomena aggiunge che la morte è un mistero che travolge e sconvolge. Che il cristianesimo è consolatorio. L'Accabadora è una consolazione. Sì, Vita, ma tu lo faresti? mi chiede a bruciapelo Luisa. Non lo so. So solo che quando a mia madre si fermò il cuore, io ero sul suo petto e un attimo prima mi era uscita la mia unica preghiera. Dio, se devi finirla finiscila subito.  

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