Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

sabato 8 giugno 2013

il santo bevitore

Potrei iniziare così.
Un sabato mattina dell'anno 2013, a un semaforo che non è ancora rosso, me lo trovo al centro della strada. Lo conosco. Nel senso che lo vedo sempre nel mio quartiere. A tutte le ore del giorno e della notte, basta cercarlo con lo sguardo e lui arriva. Ha un aspetto trascurato, ma avrà al massimo la mia età. Suscita pietà, ma non la chiede. Dondola, non barcolla. Sembra non accorgersi del mondo intorno, di ogni mondo intorno. Di riprovevolezza, di pietà, di esclusione, di carità, di tenerezza. E neppure del mio si accorge, qualsiasi mondo sia quando a tratti mi soffermo a osservarlo contemplando quel suo esistere.
Me lo immagino pensare non ho un indirizzo, sono un ubriacone, mi piace vivere così, ascolto della bella musica, vorrei avere una morte lieve e bella, i miracoli non accadono più, sono solo. Forse.
Lo osservo ogni volta e mi incanto. Si trascina una coperta fatta a fagotto. Indossa lo stesso piumino, estate e inverno. Ha un jeans che sembra alla moda, col cavallo basso, ampio, e strappato vicino alle parti intime. Ha delle cuffie. Poi delle nike ai piedi. E sempre, sempre una bottiglia tenuta con le mani giunte all'altezza del petto.
Eccolo il mio santo bevitore. Sta pregando, penso ogni volta. Non sta bevendo. Lui non beve. Prega.
Questo sabato mattina del 2013 gli sono arrivata vicino con l'auto. Lui era nel centro della strada, appunto. Ho fatto passare un verde, ho aspettato un rosso, poi un altro verde e un altro rosso, ché dietro non c'era nessuno a maledirmi perché sono una donna alla guida.
E questo non è poco, anche se non è un miracolo. Per lui, ma anche per me.

Suggerimento di lettura: La leggenda del Santo Bevitore di Joseph Roth

1 commento:

  1. Quando mio figlio aveva forse 7 anni, incontravo spesso un barbone sotto il portico di Piazza Malpighi. Insegnavo alle Sirani in Ca' Selvatica e di lì passavo ogni giorno. Lui mi sorrideva e mi diceva qualche massima personale, sempre saggia e "filosofica". A volte mi fermavo un po', mi piaceva parlare con lui. Poi me lo sono ritrovato vicino al s. Orsola e quindi vicino a dove abitavo allora. Aveva di tutto su una specie di moto sconquassata, praticamente una "casa" e si lavava alla fontanella, sciacquava le pentole, aveva un fornelletto.
    Gli ho fatto conoscere Davide e lui - d'estate - gli ha voluto offrire un gelato. E ci siamo seduti alla gelateria a parlare, Davide fiducioso. Io pure.
    Poi l'ho perso di vista e quando l'ho ritrovato, in via Nosadella, non ho fatto in tempo a salutarlo, tutta contenta, che lui mi ha afferrata e strattonata come per derubarmi o farmi del male. Puzzava di alcol, viso deformato da una rabbia incontenibile. Mi pareva odio quello che gli vedevo negli occhi. Diceva cose oscene. Ho cercato di salvarmi e l'ho allontanato malamente, mentre ricordo che gli dicevo: che peccato, che peccato... Se n'è andato barcollando e bestemmiando.
    L'ho rivisto. L'ho evitato, cambiando strada, con il dolore autentico per un rapporto magico perso e per l'impossibilità di fidarmi ancora per chiedergli cosa gli fosse successo e come potessi aiutarlo. La paura aveva vinto. Era una vera sconfitta. Si chiamava Mimmo

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