Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

lunedì 16 novembre 2015

L’ultimo arrivato, Marco Balzano

L’ultimo arrivato è il racconto di una migrazione bambina, dal nostro sud al nostro nord. Erano solo gli anni cinquanta del secolo scorso. Il protagonista è un piccolo migrante, Ninetto, detto pelleossa. Aveva appena nove anni, una madre silenziosa e un padre che preferisce saperlo lontano, con almeno un cenno di futuro. Ma quella promessa di futuro non è per tutti. La sua vita passa dalla fabbrica, al carcere, ad una finestra su una strada di Milano.
A parlarne ci sono Maria, Patrizia R., Giuseppina, Sarah, Mario, Patrizia B., Marella, Marco, Elke, Margherita, Carla, Rosanna Giovanni ed io.
Per Maria Ninetto era un bambino capace, ben delineato già a pagina 18. Aveva dovuto tirare fuori il coraggio subito. Aveva una base buona, forte, poteva crescere bene. Invece rivela egoismo all’ennesima potenza e un carattere possessivo ben definito, come lo si può leggere a pag. 158. È raccontato tutto del suo carattere, spiega, non ci dobbiamo immaginare niente. Maria l’ha odiato per come si è comportato con la bambina (l’aveva presa e portata a vedere l’alveare dove lui era stato, arrivando dalla Sicilia, a nove anni). L’aveva spaventata.  Aveva perso completamente la testa. Lei, leggendo, no. E sente lo spavento della bambina. Non accetta il finale positivo e si chiede perché l’ultimo arrivato. Sicuramente non l’ultimo arrivato nella baracca.
Secondo Elke ha fatto tutto inconsapevolmente. E il finale, che non piace a Maria, è probabile sia motivato dal fatto che ci sarà un seguito. Il sogno di quello che farà con la nipote.
Per Marco una tristezza infinita, questo libro. È scritto bene, indubbiamente, ma è triste. E il fatto è che si tratta di realtà che resistono tuttora. Lui ci ha visto più una sorta di istintualità di uno che non ha cultura, non ha niente, una sorta di volersela godere senza ragionare. Una persona che gli fa una gran tenerezza, perché nessuno l’ha amato.
Rosanna ha visto un bambino mandato via di casa, costretto. Attraverso la mano di paura della bambina è entrato in contatto con la sua paura da piccolo. Lui ce l’ha fatta, ma solo dopo che ha incontrato Maddalena. Poi, c’è il maestro che lo educa al bello. Per Ninetto il Paradiso ha la poesia.
Giuseppina ha trovato dei morti dentro in questi meridionali che vivevano nelle baracche. Se non puoi fare il bambino, non hai più paura, muori. Secondo lei, Ninetto fa vivere la paura alla bambina in una situazione in cui un adulto ti tiene la mano. È vero, provi fastidio alla fine, perché l’impoverimento emotivo è grande. Quell’impoverimento che lui ha bisogno di condividere con la nipotina, ma non è una consapevolezza intellettuale. Ci arriva così. La protezione è ricorrente, per lui uomo fatto e finito. Com’era accaduto quando credeva che la figlia stesse subendo violenza. Mai avrebbe potuto pensare all’amore.
Marella non l’ha visto come romanzo storico. Le ha fatto una gran pena quest’uomo, ma anche rabbia. È uno che si è lasciato vivere. Non ha ricevuto un’educazione e quindi il suo agire è spesso andato per istinto ed inconsapevolezza. Solo l’azione finale la fa con consapevolezza, prende l’iniziativa. Non le è piaciuto l’inserimento della omosessualità (Paolo), anche se io credo sia stata messa per ricambiare la confidenza appena ricevuta. Trova, invece, molto bella la frase sui figli vicini. Infine, secondo Marella i riferimenti continui al coltello sono pensieri di suicidio.
Patrizia B. sperava in una redenzione finale, ma Ninetto è vittima di se stesso. Ha fatto malissimo con la bambina.
Per Patrizia R. è un libro fantastico, con un linguaggio bellissimo, a parte qualche caduta di stile tale da non renderlo solo una macchietta. Sgorgare, dice, riferito al cuore è bellissimo. L’ha colpita la figura del maestro.
Carla ha trovato punti belli, intensi, pieni di sentimento. A Milano dice di aver visto personaggi così, desolanti. Ninetto è figlio ancora di un’Italia disastrata. Per lei non c’è alcun dubbio. È un romanzo storico.
A Mario stasera piace ascoltarci. Il libro lo ha infastidito dal primo momento all’ultimo. Forse non era nel momento giusto, dice. Ninetto è un personaggio terribile. L’avrebbe ucciso lui che è uomo. Vorrebbe cose divertenti in questo periodo, Mario, e questo libro non lo è. Ci ha ammirato molto.
È tenera Maria che si è appena impegnata a scrivere a Mario le frasi più belle di questo libro, di modo che un po’ possa salvarlo. Ma Mario ha pienamente ragione, è un libro triste. Ninetto è un uomo che non si può permettere di esprimere un desiderio, nella stella cadente che non ha trovato. Sono d’accordo, poi, coi miei Itineranti, vive molto di istinto. Non poteva avere consapevolezza del suo mandato di padre, perché lui stesso aveva subìto la mancanza. E, come ha detto Marco, nessuno l’aveva amato. Neppure i lettori, purtroppo. E forse ci stiamo accanendo su una vita che aveva esigui strumenti: la poesia e il mito del maestro. Poi, solo trent’anni di fabbrica e la pesante eredità di non essere stato bambino. Un tunnel buio definisce gli anni in fabbrica, Ninetto. Al pari del carcere. Brutti. Gli è davvero mancato essere stato bambino. Perché dove si è stati piccireddi non è mai completamente brutto.
Giovanni, al suo primo incontro, è restato ad ascoltarci.

lunedì 12 ottobre 2015

Lo stato di ebbrezza, incontro con Valerio Varesi

Gli Itineranti incontrano Valerio Varesi per discutere de Lo stato di ebbrezza. Ultimo libro di una trilogia storico politica del nostro Paese. Il protagonista è Domenico Nanni, giornalista. Uno che non si è fatto scrupoli ad arraffare tutto ciò che poteva. Orfano, cresciuto dalla madre che si è sacrificata oltremodo per garantirgli un futuro. Ma ci sono gli anni ottanta e Domenico entra nell’ubriacatura generale fino a quando, a quasi sessant’anni, non gli arriva un rigurgito di coscienza che ci fa vedere ‘un unico color di buio come il canarino cui coprono la gabbia’.
Lo stato di ebbrezza è un romanzo storico?
Tutto quello che è passato è romanzo storico. Gran parte della letteratura è storia perché parla del vissuto. Poi, per definizione è quello che si propone di raccontare un’epoca. Questa, di cui parlo in questo libro, è materia viva che deve essere ancora raccontata.
È satirico?
 
Io uso il grottesco. Il registro più comico è il grottesco. Ci sono situazioni tragicomiche, tipo l’episodio con cui chiudo il libro. La mozione Paniz. L’Italia ha vissuto una situazione molto comica, tragicamente comica.
Domenico Nanni, il giornalista, sei tu?
Nanni è più vecchio di me. È giornalista per un breve tratto della sua vita. Poi è pierre, è colui che vende fumo. È il prototipo di un certo tipo di persone che hanno convertito il loro talento occupando un posto nel mondo.
E Susanna, chi è?
Susanna è una ragazza all’inizio spregiudicata. Capisce subito che bisognava infiltrare il potere. Cosa che alla fine la rende disperante.
Per questo si lasciano lei e Domenico?
Il loro rapporto è figlio di quell’epoca lì. Non c’era l’idea di camminare assieme. Quando lui scopre che lei è così, finisce la magia. Anche lui è alla ricerca di qualcosa.
La rivoluzione linguistica adottata. Sembri un Valerio diverso dai due libri precedenti.
È una rivoluzione necessaria perché racconto il farsesco. Gli anni raccontati hanno perduto di serietà e hanno bisogno di questo linguaggio. Forse gli anni fino agli ‘80 erano di scontri. Dopo abbiamo anni fluttuanti, dal noi all’io, individui a pensare solo in funzione di se stessi. Mi sento un personaggio cangiante. Così La sentenza è un romanzo epico. Il rivoluzionario ha del lirismo diffuso. Avevo bisogno di raccontare con velocità questo edonismo reaganiano. La modalità di scrittura ce l’avevo in serbo, deriva dall’ammirazione per Celine, destrutturando la lingua.
Ti sta pesando?
No, mi fa piacere! È una lingua diversa, ma è quello che volevo. Lo stile racconta un’emozione. Poi, io racconto questa storia per episodi di modo da far pensare subito al lettore ‘dove siamo finiti?’. È un libro surriscaldato. Non è stato facile mantenere questa lingua per trecento pagine.
In altri tuoi romanzi è ben definibile il nemico. Qui dov’è?
Ci sono troppe cose. Nel rivoluzionario c’era la classe operaia, i metodi capitalistici, il mondo era diviso in due. Era tutto più semplice. Oggi, proprio perché i destini sono individuali, succedono tante cose slegate tra loro, apparentemente.  La tragedia di Vermicino forse non era scientemente in ragione della TV annebbiante. Era compassione, ma da lì si capisce che si è svoltato. Inizia la tv commerciale. Si capisce che la tv è la nuova piazza virtuale.
Commuove più la parola o l’immagine?
Nel caso di questo voyeurismo delle tragedie c’è una sorta di esorcismo. Per esser certi di essere diversi, tutti noi abbiamo dentro un mostriciattolo. L’immagine.
Tutto molto agghiacciante. Si è salvato qualcuno?
Non è stato facile trovare la chiave del forziere Berlusconi. L’abbassamento del gusto non ha generato una generazione di politici. Prima erano colti, i parlamentari. Vent’anni di berlusconismo hanno prodotto questo. Oggi, poi, i ministri renziani sono ventriloqui di Renzi. Forse l’unico che si salva è Padoan. L’economia in mancanza di idee vince. È una crisi culturale.
È la generazione degli anni ’50 che ha prodotto tutto ciò?
Sì, questa generazione è stata encomiabile per sacrificio. Ci han fatto diventare la sesta potenza del mondo. Poi, dopo si è solo consumato. Renzi sbaglia a contrapporre le generazioni. Dal punto di vista sociale i nonni sono il welfare dei giovani.
Che cosa succede a Domenico ad un certo momento?
Nanni arriva ad una conclusione. Questo mondo che lui ha contribuito a creare è una sua sconfitta e una sua vittoria. Sposa una ciellina perché nella vita bisogna avere punti di riferimento. Ho scelto i cattolici più incistati appositamente. Questa ragazza diventa necessario punto di riferimento. Capisce, grazie a Corlaita, che ci vuole disciplina a questo mondo. Che guizzare da tutte le parti non serve. Bisogna trovare società gregarie.
Questo finale era da imboccare?
Il finale è il delirio. Scomparsa della realtà. La stessa cosa che è accaduta nella finanza. Denaro inventato con un clic. Si poteva creare denaro anche senza averlo. Una economia sul niente. Un artificio. Il contrario della madre di Nanni.
Perché non hai dato delle speranze?
La speranza nasce successivamente quando hai fatto i conti con la realtà. È una crisi economica. Bene. Se quella ricetta economica ha fallito (il liberismo economico) perché reiterarlo? Quale speranza c’è se continuiamo a riproporre lo stesso meccanismo? Oggi ci sono solo delle allergie, questo sì. Podemos, Syriza, altri. Fame di reazione che però non sono ancora alterità.
La sensazione è che è stato tutto troppo. Si fa fatica a leggere. Lascia l’amarezza del niente. Pensi di aver fatto un’operazione che porti qualcosa per il futuro ai tuoi lettori?
Volevo dare una scossa elettrica. Mi piace anche il giudizio negativo, nel caso. Fa riflettere. Avrei voglia di libri. M’impegno e cerco di fare bene il mio mestiere. Cerco la verità. Non mi pongo il problema di un libro che mi debba dare speranza. Ma il finale de Il rivoluzionario vale ancora. Quella fiammella lì, qualcuno la prenderà. Il fatto che in giro ci siano otto milioni di poveri peseranno pure politicamente..
Valerio, ma li facciamo quattro amici al bar?
Ci sto.

 

 

lunedì 14 settembre 2015

Luce perfetta, incontro con Marcello Fois

Presenti Marco, Rosanna, Patrizia R., Alessandra, Stefano, Margherita, Carla, Giuseppina, Sarah, Elke, Rita, Tiziana, Maria ed io, incontriamo Marcello Fois. Così come ci eravamo lasciati.
Luce Perfetta è la conclusione della saga della famiglia Chironi. In primo piano Domenico e Cristian. Non sono legati da un vincolo di parentela, ma da uno forte affettivo, sì. Sono cresciuti assieme e quando Domenico si fidanza con Maddalena, per Cristian non c’è più spazio. Ma lui è un Chironi. Una famiglia che è sempre caduta in piedi. Ritroviamo Marianna, più saggia che mai. E scopriamo Maddalena.
Che differenza c’è tra questo libro e i due che lo precedono? Oltre al fatto che ci sono ancora troppe morti?
 
Metaforica la morte di Cristian. Maddalena sembrava un colosso.
È il romanzo delle copie. I Guiso primeggiano rispetto ai Chironi. Ma non hanno l’epica. Maddalena, invece, è l’altra Marianna. È l’unica che capisce la tattica di Marianna, che ha deciso di far finire i Chironi. Respingo l’obiezione delle troppe morti. Sono numeri di morti normali. Non dobbiamo dimenticare che i Sardi erano sempre precettati. Nella prima guerra mondiale ci sono stati 130.000 morti su una popolazione di 800.000 perone. Questo romanzo è il più avventuroso, ed è pieno di citazioni che mi piacciono. Per esempio il  primo capitolo è una citazione pura del Vangelo di San Matteo. Tra l’altro, il seminario dei Legionari di Cristo esiste davvero. Poi c’è la citazione per eccellenza, Manzoni. La vigna di Renzo quando Domenico torna a casa Chironi. Ancora, la citazione del pesce. Ed Enrico IV, con il rapporto tra giovinezza e anzianità. Infine Epicuro con la morte non esiste.
Ma, se il lettore non le vede, ti dispiace?
Il lettore se ne accorge. Sai che bello un libro che contiene un altro libro? I classici lo fanno. Si fidano del pubblico.
Il capitolo sulla vocazione a pag. 262 è potentissimo. Vera letteratura.
È quella che Petrarca avrebbe definito accidia. È la retorica del Santo, quella di Luigi Ippolito che pensa a Domenico con affetto. C’è una dipendenza affettiva tra Domenico e Cristian. Senza risvolti necessariamente fisici. Una dipendenza violentissima. Mimmiu guardava Vincenzo perché voleva essere come lui, come deve essere una persona. Ma sono uomini senza donne, questi. Ripeto, è tutto abbastanza speculare, questo romanzo.
Marianna straordinaria.
Già. Si capisce che Cristian non era morto perché non c’era nelle sue visioni mentre moriva. Ma la tristezza è che i ritorni non sono mai felici, se si pensa ai classici. Vedete l’Odissea.
La fustigazione, perché?
Per punirsi. Il senso di colpa per essere violentemente felice per l’infelicità altrui. Domenico è il personaggio più bello, almeno per me, come scrittore. E Maddalena poteva innamorarsene. Lei ignorava del tutto la natura di Domenico.
Oltre a Marianna, troviamo una Nevina bellissima.
Maddalena stava custodendo il nuovo Chironi. Anche in termini di patrimonio. La paternità è uno degli argomenti forti. La paternità non è settoriale. La maternità è universale. Sono madri di chiunque, le madri. Per questo è diventata soverchiante in questo paese. La funzione sociale del femminile si è amplificato in maniera enorme. Bisognerà ridefinire la paternità, è un argomento che mi sta molto a cuore. C’è un idillio in corso dove tu padre non conti. I nostri avi risolvevano con altre funzioni. Erano meravigliosamente pratici. Per loro l’amore era un attimo di innamoramento. Tutto il resto era rievocazione di quell’attimo. Che poi non è sempre pratico ricordare.
La memoria individuale seleziona. C’è un personaggio di Borges che ricorda tutto e impazzisce.
Sì. Esiste un momento in cui amarsi è mettere da parte quello che non ci aiuta, quello che non si può sopportare. Se questo principio lo si applicasse in grande, pensiamo all’apartheid, i risultati sarebbero straordinari. Non è che non ci si odia più. Si è deciso e basta. È una questione di formazione. Stiamo formando generazioni poco abili al sacrificio.
Geniale il finale con la pagina bianca.
Teatrale. È una pensata che ho avuto assolutamente subito (già pag. 5 di Stirpe). Ho scritto dal 2009 ad oggi. La Parola è profonda. È quello l’atteggiamento della Luce perfetta. Stupore e attesa.
Perché l’hai fatta diventare più bella Marianna?
Pensavo ad una persona precisa. La morte, ad alcuni, fa meravigliosi. 

domenica 17 maggio 2015

incontro di giugno

La data prescelta per l'incontro di giugno è mercoledì 17 alle 19.30. 
Il libro da discutere Il piatto dell'angelo di Laura Pariani.

Nel tempo di mezzo, Marcello Fois

Il 20 aprile scorso abbiamo incontrato Marcello Fois per discutere il suo Nel tempo di mezzo, il secondo libro dedicato alla famiglia Chironi nel periodo che va dal 1943 al 1978.
Ad alcuni il libro è risultato ostico nelle prime pagine, certamente faticose per la dovizia di dettagli, figure retoriche e accadimenti quasi visionari. Poi si scioglie, o forse il lettore vi ha già preso dimestichezza, e i personaggi catturano tutta l'attenzione. Ad altri ha fatto venire il magone per le troppe tragedie. Ad altri ancora, compresa me, pur con il magone, ha rinnovato la forza di trovare il coraggio sempre, e andare avanti. E non lasciarsi ingannare dal pensiero che non vi siano alternative. 
Marcello è stato generoso nel raccontarci dei Chironi, ma anche di sé. E' sembrato felice di un confronto così attento e di un pubblico numeroso, anche del banchetto a sorpresa. E ha promesso che tornerà.
Per leggere l'intervista cliccate QUI

mercoledì 13 maggio 2015

Stirpe, Marcello Fois

Già il titolo lo preannuncia. Questo libro è la storia di una stirpe, quella dei Chironi. Il periodo è quello che va dal 1889 al 1943. Quando si incontrano i due capostipiti, Michele Angelo e Mercede, sono poco più che ragazzini. Ma lui fabbro e lei donna. Condividono la stessa condizione di figli di nessuno, si riconoscono subito, si ameranno oltre la vita e anche quando la vita ad uno ad uno, senza ritegno, toglierà loro quasi tutti i figli e una nipotina.
Ancora, per la scrittura, questo libro di Fois fa discutere, quasi fosse sfoggio di cultura. Lunghe pagine sono scritte in corsivo per donare, a voce di Luigi Ippolito, uno dei figli di Michele Angelo e Mercede, l'invenzione di una origine certa, epica. Molti punti seguono regole della retorica enfatica, consistente nella ripetizione della medesima parola a fine e inizio periodi. E come per tenere per mano il lettore.
La bellezza di questo romanzo è tutta nella bellezza dei personaggi. Non ve n'è uno brutto. Non si lasciano deturpare dall'insistenza delle tragedie, anzi. Per voce di Mercede sembrano tutti cantare, mentre tendono i filamenti delle vita, formule rituali. 


Non farti notare,
non temere l'abisso,
dona senza tornaconto,
parla sinceramente,
non essere ingiusto,
fai le cose con dedizione,
sii docile nelle avversità, indocile alle avversità.  

 
Fin qui la mia recensione che dà avvio alla discussione dove sono presenti Marco, Sarah, Laila e Mario, Marella e Patrizia, Lavinia, Maria, Elke, Rosanna e Margherita.
Interviene subito Elke, che stasera andrà via prima. Secondo lei i libri andavano letti nell'ordine giusto, prima Stirpe e poi Nel tempo di mezzo, seguendo la cronologia naturale dei Chironi. Avendo letto prima il secondo, infatti, molte domande erano restate sospese. Tuttavia ci si affeziona ai personaggi.
Maria invece ha amato leggerlo così, nell'ordine inverso. Si è sosrpresa a scoprirsi felice di sapere già delle cose, l'arrivo di Vincenzo, ad esempio. Al contrario di me, lei critica la presa per mano del lettore, come se l'autore non ne avesse stima. Ancora resta convinta che l'autore sfidi il lettore a superare le prime pagine. Se le supera è degno di leggere. Trova i personaggi raccontati da urlo, epperò non parlano come accade nella realtà. Personaggi semplici, dice che le han fatto venire in mente i miei genitori. Quasi piango, anche a me.
Per Sarah questo libro è una conferma a ciò che già pensava con Nel tempo di mezzo. Per lei Fois è uno scrittore, uno che si sente che scrive e basta.
Marella pure non ha gradito d'essere presa per mano. Si è annoiata nelle prime pagine, persa in perdiodi lungissimi dove le è sembrato non si dica alcunché. L'epifora, la figura retorica di cui ho detto nella recensione, l'enfasi dunque, l'ha infastidita. I corsivi pure, quasi fossero stati inseriti nel libro solo per trovare un modo per farli leggere. Così la parte della forgiatura. Insomma, un autore egocentrico. Eppure le è piaciuta molto la parte descrittiva dei figli di Mercede e Michele Angelo che decidono di andare in guerra. Non avrebbe potuto raccontarla meglio. 
Dicevano che sei molto presuntuoso, ci racconta Rosanna di aver chiesto a Marcello nell'incontro precedente. Lui aveva risposto che in realtà è molto timido. Così lei, Rosanna, si è incuriosita. Ha scandagliato le parole e ne ha trovato alcune che sono delle perle. E ha scoperto che Fois ha una capacità unica di trasmettere sensazioni. Poi, riguardo ai personaggi, questa cosa di non sentirsi mai vittima, quando avrebbero tutte le ragioni. Fois dà la sensazione di essere molto orgoglioso della sua famiglia, cui si è ispirato, e della sua Sardegna.
Mario pure ha faticato all'inizio. Ma è restato affascinato dalla descrizione di una regione che conosce poco. E' contento che nella famiglia Chironi sia arrivato Vincenzo, contento di averlo conosciuto. Vincenzo e Fois. Dice che riesce ad avere solo pensieri semplici, Mario, così la bellezza del libro lui l'ha trovata nell'amore per l'artigianato. L'amore di Angelo Michele, il fabbro, quando lavora il ferro.
Margherita non l'ha letto. Ascoltandoci, ondeggia tra il volerlo leggere e il lasciar perdere.
Laila invece non vede l'ora di finirlo. A tratti, quando l'autore si stacca dal romanzo e spiega,  trova la narrazione cervellotica. Però ama tutti i personaggi, semplici e con un grande cuore.
Marco dei due libri di Marcello può dire solo bene, e in tutte le parti. Che sono necessarie. Lui, le parti descrittive, le prende come cose da imparare. Oppure come cose che, appunto, devono necessariamente essere raccontate per comprendere tutta la storia. Di tutti gli incontri con gli autori, quello con Marcello è stato il migliore. Perché, se anche uno non avesse letto il suo libro, ad ascoltarlo, poi, l'avrebbe fatto subito.
Anche a Lavinia è piaciuto molto il libro, nonostante la fatica delle prime pagine. Si è imposta di andare avanti ed è stata ripagata con gente semplice e contesto storico particolare. Ma è stata Mercede soprattutto a portarla a fine lettura.
Ecco. Bella serata, davvero. E prima di salutarci Mario ci racconta del suo Abruzzo, di L'Aquila e di un pastore che vedea gli armenti transumare verso le Puglie. E forse adesso Maria e Marella si ricrederanno sul fatto che c'è gente da qualche parte che ancora parla come Michele Angelo quando spiega la forgiatura a Gavino.

mercoledì 15 aprile 2015

Incontro d'autore, Marcello Fois


 Lunedì 20 aprile 2015 alle 19.30 

presso la sala Acli di via Lame 116 a Bologna

discuteremo con 

Marcello Fois 

di

NEL TEMPO DI MEZZO


'Vincenzo Chironi della propria storia aveva solo il nome. E anche quello era arrivato con un certo ritardo. Lui della solitudine sapeva proprio tutto. Di come si presenta sotto forma di qualcuno che alla stazione, o al corso, o al mercato, ti saluta da lontano e di come tu, pur non riconoscendolo, automaticamente rispondi. E di come, ancora, quanto più si avvicina tanto più ti accorgi che non si tratta di quella persona che credevi fosse. Così, proprio così.'
 


sabato 3 gennaio 2015

La regola dell'equilibrio

Ecco il mio ultimo libro del 2014. E' solo un caso che sia di Gianrico, non abbiate pregiudizi. La recensione QUI

Buon nuovo anno, Lettore!