Eccolo. La mascotte degli Itinerari di Lettura.
Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)
martedì 21 maggio 2013
lunedì 20 maggio 2013
Valerio Varesi e Il rivoluzionario, una sera
Incontriamo Valerio e Il rivoluzionario nonostante l'itinerario di questa quinta edizione voglia che si leggano esordienti. Valerio proprio esordiente non è, ma noi un po' rivoluzionari sì. Poi con Valerio sono quasi in debito di coscienza con una così bella dedica che ebbe a scrivermi su La sentenza, quasi presagio di questa serata. A Vita, che resiste e prepara la rivoluzione. A tutto il gruppo, aggiungo io. A Sarah, a Patrizia B., a Marco, a Maria, a Otello, a Elke, a Lorenzo, a Lavinia, a Rosanna e Giustino, a Cinzia.
Poi ad Alessandra, a Luisa e il piccolo Mattia, a Paola.
A Luigi, certo rivoluzionario.
Ecco la serata.
A Luigi, certo rivoluzionario.
Ecco la serata.
(Vita) Il Rivoluzionario è un romanzo storico
che ha per protagonisti Oscar e Italina, due comunisti bolognesi. La storia che
si racconta è la grande Storia che va dalla fine della seconda guerra mondiale
alla strage di Bologna dell’ottanta. Il romanzo si dipana malinconico, ma si
chiude con la speranza dell’uguaglianza, finalmente. Cosa volevi denunciare? Il
fallimento di una ideologia o una sconfitta culturale?
Una
sconfitta culturale. Quella sconfitta cominciata nell’ottanta, dove il libro
finisce, appunto. Volevo capire come mai siamo finiti dentro la crisi, che ho
considerato come un delitto. Così ho fatto un’indagine, proprio come farebbe Soneri.
Dall’oggi a ieri, a quel conflitto dove l’Italia aveva partecipato in maniera
avventurosa. Ho voluto osservare la carica ideale che si è consumata in quei
trentacinque anni, dalla fine della guerra fino a quando il mondo cambia
totalmente pelle. Quando muore la politica perché al centro ci va l’economia. Ho
voluto riportare l’uomo al centro facendo finire il libro a quel modo.
(Vita) Cosa direbbe oggi Oscar?
Oggi
Oscar sarebbe smarrito.
(Vita) Perché l’hai fatto così
malinconico Oscar?
Non
mi è sembrato così (sorride). E’ uno
che subisce tante sconfitte, ma continua, combatte. Fa la rivoluzione, anche se
la rivoluzione fallisce.
(Vita) È più rivoluzionario lui o Italina?
Italina
è una grande donna. Opera il sincretismo tra ideologia e fede. Ed è una, come
sanno fare spesso le donne, che sa guardare alla realtà con occhio più efficace
di Oscar. Italina è una donna forte, rimprovera Oscar di non capire, di non
saper parlare alle donne. E queste, represse, hanno solo il prete cui
confidarsi, cui aggrapparsi, cui facilmente si può vendere l’anima perché la
dannazione viene detta in tutti i modi. E’ una donna dal dire coraggioso, denuncia
la burocratizzazione e arriva a definire don Marella più comunista dei
comunisti.
(Vita) Non le hai chiesto troppo sacrificio
come donna?
Sì.
Gliel’ho chiesto. Però all’epoca le donne lo facevano. In più Italina è una
donna di partito e il partito li chiedeva, i sacrifici. Il partito era bigotto,
moralista e, appunto, chiedeva sacrifici. Tanti.
(Otello) Oscar potrebbe essere tacciato
di ideologismo, romanticismo politico, ma nota che dopo la Resistenza non è
cambiato nulla, il dominio fascista continua a permanere camuffato e non troppo.
Nota che la grande Storia non ha prodotto i risultati che ci si aspettava, nota
l’incapacità del partito comunista di far fronte al cambiamento. In Mozambico
finalmente riscopre i valori della resistenza, come pure la lontananza…
Sì.
I primi tre anni dopo la fine della guerra sono gli anni della giustizia
sommaria perché non c’è una giustizia ufficiale. In Italia non c’è stata una
Norimberga, non si è chiesto il conto di quanto accaduto durante la guerra. È per
questo che abbiamo un passato che non passa. L’Italia ha solo vissuto di
trasformismi, di passaggi pulcinelleschi.
Nel
libro questa giustizia sommaria è detta dall’esecuzione di Tartarotti che serve
a soddisfare la sete di vendetta, che non giustifico e non è giustificabile. Ma,
va detto anche, che le vere vendette furono operate dallo Stato, dai suoi
apparati.
(Maria) Il tuo libro dev’essere
consigliato a scuola?
Potrebbe
(sorride imbarazzato). Parificare la Storia, nel senso di
metterla a pari, di stare equidistanti dai fatti, è sgrammaticato storicamente,
appunto. Sarebbe bene non cadere nell’errore grammaticale.
(Rosanna) Questo libro dà anima alla
storia. La funzione estetica, e tu scrivi davvero bene, serve molto a far
conoscere la Storia
perché i fatti, da soli, così come sono accaduti, senz’anima, asfissiano la
mente. Ora ti chiedo però: perché le rivoluzioni falliscono?
Non
lo so. Forse le rivoluzioni falliscono perché spesso, quasi sempre, sono fatte
di pancia e sono di una minoranza, mentre gli altri si accodano. Essendo
arrivati a monetizzare tutto, molti restano esclusi da alcuni diritti. Quei
molti, o quei pochi, fanno la rivoluzione. Quei molti, o quei pochi, raggiunto
il loro bisogno, a tratti, decedono dalla rivoluzione. Pochi sono i
rivoluzionari coerenti. Secondo il filosofo – di destra - Augusto Del Noce il
comunismo sarebbe imploso perché era venuta meno la solidarietà. Emblematico a
tal proposito il film di Fellini, Prove d’orchestra.
Ognuno va per conto proprio, ognuno convinto di essere in quell’orchestra per
fare la differenza. Ne viene fuori solo disordine e rumore. Fino a quando il
direttore ristabilisce l’ordine, e li fa suonare. Ecco. Il bisogno fa ricongiungere
le persone.
(Rosanna) Ma il bisogno delle merci
distoglie…
Già.
Mezzi di distrazione di massa…
(Maria) Alcune volte è ipocrisia, il
bisogno e la solidarietà che si sviluppa attorno. La solidarietà è innata, no?
Ma, a parte questo, ti chiedo se questi tuoi personaggi li conosci.
Alcuni
sono reali, altri sono inventati, ma proprio per questo credo che siano
esistiti realmente. C’è stata una generazione che ha avuto quegli impulsi,
quella generazione potrebbe riconoscersi nei miei personaggi. È stato delicato
mischiare realtà e fantasia, una sutura difficile. Anche perché Dozza, a
Bologna, non si può toccare…
(Maria) Hai cominciato con i
gialli, poi questioni sociali, fino a La sentenza e Il rivoluzionario. Come
accade in uno scrittore?
Non
sono nato giallista. Però è un genere che prediligo perché è molto adatto a
raccontare l’oggi. Il giallo per me è strumento di indagine sociale. È rintracciare
il perché molto più ampio di un delitto. Poi, mi propongo di essere eclettico. Così
ho scritto su commissione Il paese di Saimir, sebbene avessi preso spunto
ancora da un fatto sociale. Ho scritto un romanzo psicologico come può essere
Le imperfezioni. Insomma ci sono storie che mi colpiscono e se resistono vuol
dire che vogliono essere raccontate.
(Marco) Per tutto il libro permane il
desiderio di voler proporre una ideologia. Che alla fine resta una utopia. Ma una
buona idea non dovrebbe essere imposta?
Il
meglio dell’uomo non è sempre funzionale al potere. Mantenere una condizione di
subordinazione sì.
(Lorenzo) Hai avuto paura di toccare
qualcosa della Storia?
Ho
avuto paura, ma sono stato confortato da un caro amico. Mi serviva toccarla, la Storia, per legare tutto e
arrivare a una data. Forse Dozza era meno bracciante di come lo descrivo e
Prospero Gallinari più bambino, perché avrebbe dovuto avere circa dieci anni quando
incontra Oscar.
(Vita) Oscar è proprio un nome rivoluzionario,
Italina patriottico, poi Dalmazio…
Sorride.
(Vita) Italina e Ferruccio avrebbero potuto
innamorarsi?
Italina
comprendeva molto i suoi bisogni. Sì, avrebbero potuto.
domenica 19 maggio 2013
Il rivoluzionario di Valerio Varesi
Lunedì 20 maggio 2013
ore 20.30
presso la sede Acli di via Lame 116 a Bologna
Itinerari di Lettura
incontra
Valerio Varesi
e
Il Rivoluzionario
Il romanzo di una generazione che ha creduto negli ideali di equità e di giustizia e li ha visti crollare insieme con il più famigerato muro della storia.
sabato 18 maggio 2013
lunedì 13 maggio 2013
Storia del nuovo cognome, Elena Ferrante
Il resoconto di questa
serata è stato interamente redatto da Maria, vista la mia assenza.
Ci ha tenuto a specificare che non ha preso appunti, perché era
sempre dentro al discorso-confronto-scontro, così ha scritto più
seguendo il ricordo emotivo che le esatte parole di chi è
intervenuto.
Eravamo in sei gatti:
B.Lavinia, Marco, Patrizia, sua figlia Marella, Elke ed io.
Marco ha detto subito
che il libro non lo ha preso. Riconosce che l'autrice (o autore?)
scrive bene, ma il tipo di storia non lo interessa e l'ha proprio
stancato, mentre ha divorato il libro di Valerio Varesi," Il
rivoluzionario". Importante sottolineare che Marco non ha letto
"L'amica geniale", quindi non sapeva nulla della storia dei
personaggi.
Le donne presenti,
invece, son state una sola voce di entusiasmo, al di là del tipo di
scrittura, proprio per il tipo di storia, di cui già avevano
conosciuto l'inizio "L'amica geniale". Non ricordo se
tutte, però.
Marella, 19 splendidi
anni, lo ha letto tutto d'un fiato, affascinata dalle vicende dei
giovani napoletani del rione vecchio. Patrizia ci ha confessato
addirittura che si svegliava un po' prima tutte le mattine per andare
avanti nella storia prima di uscire per il lavoro. Come dire: mi
porto dietro e dentro Lila, Lenù, Nino e gli altri, in attesa di
poterli ritrovare e fare un altro pezzo di strada assieme a loro,
tifando per l'una o per l'altra delle due amiche-nemiche, sperando in
un capovolgimento della situazione, in qualche rinsavimento, in una
qualche maggiore libertà di movimento interiore ed esterno.
Ad Elke è risultato
insopportabile Nino. Ci siamo chiesti cosa succederà, visto che il
libro si chiude proprio con Nino che elogia il romanzo di Lena in
pubblico.
Tutti abbiamo
sottolineato il rapporto di reciproca dipendenza tra Lila e Lena,
anche se solo quest'ultima sembra imprigionata in un continuo bisogno
di accettazione, approvazione, stima, e tanto altro da parte di Lila,
per poter avere, solo allora, fiducia in se stessa e nel valore delle
sue scelte, del suo impegno, della sua "scalata"
social-culturale.
Ci è sembrato
esistere altro dall'amicizia tra le due ragazze, o comunque
un'amicizia in qualche modo malata, malsana, ambigua. Non è
difficile ipotizzare che Lena provi sentimenti complicati nei
confronti di Lila, che le permettono, per esempio, di sopportare, di
assistere e addirittura di facilitare la storia d'amore tra Lila e
Nino, quel Nino che Lena ha sempre pensato d'amare.
Ha stravolto un po'
tutti che Lena decida di viversi la sua prima volta proprio con
Donato, il padre del "suo" Nino. Ma forse solo così poteva
in qualche modo sentirsi vicina a quello che stava succedendo nello
stesso momento alla coppia a lei così malamente cara. A me ha
lasciato serena questa vicenda solo perché Lena non ha mai provato
schifo per se stessa, neanche ripensandoci.
Si è passati
inevitabilmente a discutere della violenza degli uomini sulle donne e
a come, per le donne del rione vecchio, fosse prassi normale essere
picchiate e continuare a stimare il proprio uomo. Lila no, lei la
stima la perde.
E ancora ci si è
soffermati sul pensiero del maschio, nelle persona di Stefano, quando
stupra la moglie, aderendo a un ordine che gli veniva da lontano:
devi fare l'uomo, cioè devi piegare tua moglie ai tuoi voleri,
adesso o mai più. E mentre la picchiava e la stuprava, le diceva che
lo stava facendo perché le voleva bene. Quello che continua a
succedere oggi, in ogni parte d'Italia, in qualunque ambiente. Su
questo argomento è partito un dibattito acceso tra Marco e me.
Marco ha più volte
affermato che questo tipo di mentalità è stata ed è della gente
del sud. E a me che cercavo di farlo riflettere che, se per caso era
stato vero nel passato, non lo è più oggi ed è un modo maschile
tout court di ritenere la donna un oggetto e un possesso. Marco ha
detto di stare attenti ai cognomi degli uomini del nord che oggi
fanno violenza alle donne: secondo lui la maggioranza sono cognomi
del sud.
Si è usciti in
qualche modo da questa situazione leggendo brani sottolineati da
Marella e anche da B. Lavinia. E ci siam salutati, ricordandoci
l'incontro di lunedì 20 maggio con Valerio Varesi. Marco ha parlato
un po' de "Il rivoluzionario" facendo venire la voglia di
leggerlo.
Ultima annotazione,
ancora di Marco: quando il libro da leggere è così voluminoso,
bisognerà ipotizzare più tempo per riuscire a farlo con agio.
Anche
a me è stato insopportabile Nino, pure il legame malsano tra le due
ragazze, dove spesso l'una umilia l'altra per meglio sopportare le
proprie umiliazioni. Mi ha fatto arrabbiare Lena che si è data a
Donato mentre questo le faceva violenza.
domenica 12 maggio 2013
Le madri, ma anche i figli, sono fiumi.
Ho voglia di piangere e abbracciarla, è solo un attimo.
(Mia madre è un fiume, Donatella di Pietrantonio)
La seconda domenica di maggio si festeggia la mamma. Fu una donna nubile e senza figli a volere questa festività, la stessa che dopo pochi anni ebbe a disconoscerla, disgustata dalla piega commerciale che aveva preso. Come tutte le festività, verrebbe da dire. E non importa il giorno, allora. Ché ci sono certe notti dove i ricordi delle paure si mangiano le paure stesse. Il ricordo di un'esistenza si mangia l'assenza. Senza guardare il calendario, se è, se non è, la seconda domenica di maggio. Assieme ai ricordi una manina di quattro anni ancora saluta.
Meno male che sei venuta, ti ha parlato l'angelo all'orecchio.
(Mia madre è un fiume, Donatella di Pietrantonio)
martedì 7 maggio 2013
Benvenuto, Mattia!
Ieri sera è nato Mattia. La mascotte degli Itinerari di Lettura.
Auguri a Luisa e Lorenzo!
Auguri a Luisa e Lorenzo!
sabato 4 maggio 2013
Mariapia Veladiano e Il tempo è un dio breve a Bologna
Incontriamo
Mariapia al suo secondo libro. Siamo stati il suo primo gruppo di
lettura, dice, con La vita accanto, e le abbiamo portato fortuna. Noi
la portiamo nel cuore. Tutti. Barbara, Maria, Patrizia, Sarah,
Elisabetta, Paola, Chiara, Cinzia, Giusy e Romama alla loro prima volta,
Armando venuto da lontano, Marisa, Rebecca. Ci voleva una
Rebecca accanto a Vita.
Tutti,
anche Alessandra, Elke, Marco, Luisa e Lorenzo.
Un libro singolare.
Doloroso e intenso Il tempo è un dio breve. La trama può essere la
storia di tutti, ma non è banale. Molte critiche l'hanno definito
teologico, o anche cattolico visto che nella storia semplice di una
donna che viene abbandonata dal marito, che cresce un figlio da sola,
che si innamora ancora, c'è il senso ultimo della ricerca di Dio. Ma
tu che libro volevi scrivere?
(Sorride.)
Segre lo ha definito come un
libro che parla di Dio, ma non è devoto. Volevo scrivere quello che
ho scritto, non un'appartenenza che chiude. Ildegarda ha conosciuto
Dio, la presenza e l'assenza. E tutto il suo interrogare avviene da
un approdo comune (credenti e non credenti), non da una visione
singola, chiusa. Certo è un libro che ha a che vedere con la mia
storia, la riflessione sul male è la mia esperienza, anche se non si
tratta di un'autobiografia. Ho impiegato dodici anni a scriverlo, il
male richiede tempo. Tutto il lavoro è stato trasformare il tema del
male in storia, tante storie. E farle diventare vita piuttosto che
dottrina. Questo volevo scrivere.
Ma
volevi parlare di Dio, del
Male, della Fede, potevi scrivere un saggio. I
tuoi personaggi dicono delle cose che possono mettere in difficoltà
i non credenti. Solo c'è chi non riesce a credere, non può
perché non sa cos'è l'amore... E'
escludente un pensiero simile, malattia del non credere.
È
ciò che dice il personaggio. Malattia del non amare, correggo.
Quello che mi si obietta è interno al romanzo. I personaggi devono
restare coerenti al loro interno. Ma è un giudizio diverso dalla
tesi. Il libro può piacere o non piacere.
Invece
il libro piace. Ma sembrano
inverosimili alcuni dialoghi
tra i due, o
il bambino di livello alto per
la sua età, come a voler
escludere chi non si sente di provata Fede. L'amore ci fa una figura
bassa, come se fosse collegato al credere, al sacrificio.
Ildegarda
e Dieter sono due teologi, è
plausibile che parlino come hanno parlato. I bambini a volte sono
sorprendenti e Tommaso è un bambino interrogante. La
sua stessa presenza è interrogante a tal punto che diventa
dirompente per suo padre.
Per
quel che riguarda il sacrificio, l'idea del patto, è paganesimo
puro, è magia, è tutto tranne che Fede. Non a caso la malattia di
Ildegarda è precedente all'evento di paura che vuole contrattare,
perché lei non creda che Dio abbia accolto il suo patto. Può solo
credere di dover trovare un'altra strada, quella della promessa, dove
la morte non è l'ultima parola.
È
tentata però dalla
morte Ildegarda. La morte non è granché se non si ama la
vita.
Già.
Ha tutto un altro senso lasciarla, la vita, se la si ama
profondamente.
Torno
alla promessa. La dottrina teodicea si
è occupata del male. Non poteva negarlo. Non poteva neppure
discutere l'onnipotenza divina, sarebbe stato sovversivo. Ha
preferito toccare la bontà divina che però è una strada
percorribile se e quando l'individuo non conta nulla. Ma mai la
Bibbia sacrifica l'intelletto dell'uomo. Inoltre
dopo la Shoah la teodicea si è sgretolata. È tornata
all'onnipotenza
di Dio che è anche impotenza, nel senso che sta accanto. È qui che
è importante recuperare il termine biblico di promessa e non di
senso. Questo è un libro vetero testamentario, infatti. Ildegarda
dialoga con Dio come facevano gli antichi padri. E il non credere è
una possibilità, credere una promessa. Appunto. Il sogno finale del
libro è una consegna fatta al mondo, un desiderio ultimo prima
della morte.
Avere
compassione di Dio è atteggiamento che si colloca oltre ogni
religione...
E'
la ragione per cui non scriverò mai un saggio. Perché non ho le
risposte. Poi non si può contenere la Vita in un saggio. Ildegarda
non è nome a caso del personaggio. È la santa che aveva una
fisicità incredibile, che amava la cura del corpo degli uomini, con
le erbe ad esempio. È l'esempio della materialità della Fede, non i
miracoli. Dio è terra insomma, e la vita va coltivata.
Quanto
amore serve a salvare un amore?
Non
lo so, ma non abbiamo di meglio.
Ildegarda
trae più conforto o più tormento dalla sua Fede?
Anche
questo non so. Dio non le risponde, ma del resto non lo ha mai fatto.
Penso che la Fede sia come l'amore per qualcuno. Totalizzante. Ma
l'amore si tiene nell'assenza, molto di più nell'assenza. Ildegarda
è tentata di allontanarsi da Dio, ma lo ha conosciuto, l'amore c'è
stato, non può più prescinderne.
Eppoi la
vita stava
arrivando...
Stava
arrivando un amore, un amore in posizione di realtà. L'amore
s'impone. S'impone sempre.
Perché
il tempo è un dio breve? Sono i sentimenti le divinità brevi? I
sentimenti che possono cambiare e possono tornare a farci vivere
anche se stiamo morendo?
Costruisco
non pensando che domani non ci sono. Una specie di promessa di
eternità. Avere un po' di oblio per poter vivere.
I
nomi sono moltitudine.
Non
si può ignorare il nome che si porta. Dietro ogni nome c'è una
storia. Grande o piccola. Di gente che lo ha portato prima di noi.
La
scrittura ha uno stile molto personale, simile ai mattutini su
L'Avvenire. Frasi brevi. Poi frasi secondarie come fossero
principali, e brevi pure quelle. Solo a tratti pensieri lunghi molto
belli.
(Sorride.)
Per dimostrare che conosco la
sintassi.
Che
cosa del male ti ha portato dentro la riflessione?
Basta
poco per accorgersi del male. Ma per me è stato devastante scoprire
la Shoah. Mi ha sconvolto il male sui bambini.
È
tutto inventato? La storia, i personaggi incredibili?
Sì,
tutto. Tranne i luoghi che ci sono, ma a cui ho cambiato i nomi.
Forse solo il Direttore è un po' reale.
Bel
personaggio Marguerite, l'unica
che si è salvata. Pierre il
più definito.
E
non è credente Marguerite.
Sì, si salva perché si può sperare la felicità. Abitando il
presente.
Pierre
invece è il personaggio che ho cambiato di più nel corso dei dodici
anni. All'inizio gli avevo attribuito troppe colpe.
Come
vedi il libro ci è piaciuto.
Il
libro è consegnato una volta pubblicato. Le critiche si accettano.
Perché
ci hai messo dodici anni?
Perché
cercavo quel tipo di scrittura per quell'argomento. Perché è un
libro che aveva bisogno del suo tempo.
Il
titolo è tutto tuo?
Sì,
anche la copertina. E dopo è stata una esplosione di uccellini nelle
librerie..
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