Incontriamo Valerio e Il rivoluzionario nonostante l'itinerario di questa quinta edizione voglia che si leggano esordienti. Valerio proprio esordiente non è, ma noi un po' rivoluzionari sì. Poi con Valerio sono quasi in debito di coscienza con una così bella dedica che ebbe a scrivermi su La sentenza, quasi presagio di questa serata. A Vita, che resiste e prepara la rivoluzione. A tutto il gruppo, aggiungo io. A Sarah, a Patrizia B., a Marco, a Maria, a Otello, a Elke, a Lorenzo, a Lavinia, a Rosanna e Giustino, a Cinzia.
Poi ad Alessandra, a Luisa e il piccolo Mattia, a Paola.
A Luigi, certo rivoluzionario.
Ecco la serata.
A Luigi, certo rivoluzionario.
Ecco la serata.
(Vita) Il Rivoluzionario è un romanzo storico
che ha per protagonisti Oscar e Italina, due comunisti bolognesi. La storia che
si racconta è la grande Storia che va dalla fine della seconda guerra mondiale
alla strage di Bologna dell’ottanta. Il romanzo si dipana malinconico, ma si
chiude con la speranza dell’uguaglianza, finalmente. Cosa volevi denunciare? Il
fallimento di una ideologia o una sconfitta culturale?
Una
sconfitta culturale. Quella sconfitta cominciata nell’ottanta, dove il libro
finisce, appunto. Volevo capire come mai siamo finiti dentro la crisi, che ho
considerato come un delitto. Così ho fatto un’indagine, proprio come farebbe Soneri.
Dall’oggi a ieri, a quel conflitto dove l’Italia aveva partecipato in maniera
avventurosa. Ho voluto osservare la carica ideale che si è consumata in quei
trentacinque anni, dalla fine della guerra fino a quando il mondo cambia
totalmente pelle. Quando muore la politica perché al centro ci va l’economia. Ho
voluto riportare l’uomo al centro facendo finire il libro a quel modo.
(Vita) Cosa direbbe oggi Oscar?
Oggi
Oscar sarebbe smarrito.
(Vita) Perché l’hai fatto così
malinconico Oscar?
Non
mi è sembrato così (sorride). E’ uno
che subisce tante sconfitte, ma continua, combatte. Fa la rivoluzione, anche se
la rivoluzione fallisce.
(Vita) È più rivoluzionario lui o Italina?
Italina
è una grande donna. Opera il sincretismo tra ideologia e fede. Ed è una, come
sanno fare spesso le donne, che sa guardare alla realtà con occhio più efficace
di Oscar. Italina è una donna forte, rimprovera Oscar di non capire, di non
saper parlare alle donne. E queste, represse, hanno solo il prete cui
confidarsi, cui aggrapparsi, cui facilmente si può vendere l’anima perché la
dannazione viene detta in tutti i modi. E’ una donna dal dire coraggioso, denuncia
la burocratizzazione e arriva a definire don Marella più comunista dei
comunisti.
(Vita) Non le hai chiesto troppo sacrificio
come donna?
Sì.
Gliel’ho chiesto. Però all’epoca le donne lo facevano. In più Italina è una
donna di partito e il partito li chiedeva, i sacrifici. Il partito era bigotto,
moralista e, appunto, chiedeva sacrifici. Tanti.
(Otello) Oscar potrebbe essere tacciato
di ideologismo, romanticismo politico, ma nota che dopo la Resistenza non è
cambiato nulla, il dominio fascista continua a permanere camuffato e non troppo.
Nota che la grande Storia non ha prodotto i risultati che ci si aspettava, nota
l’incapacità del partito comunista di far fronte al cambiamento. In Mozambico
finalmente riscopre i valori della resistenza, come pure la lontananza…
Sì.
I primi tre anni dopo la fine della guerra sono gli anni della giustizia
sommaria perché non c’è una giustizia ufficiale. In Italia non c’è stata una
Norimberga, non si è chiesto il conto di quanto accaduto durante la guerra. È per
questo che abbiamo un passato che non passa. L’Italia ha solo vissuto di
trasformismi, di passaggi pulcinelleschi.
Nel
libro questa giustizia sommaria è detta dall’esecuzione di Tartarotti che serve
a soddisfare la sete di vendetta, che non giustifico e non è giustificabile. Ma,
va detto anche, che le vere vendette furono operate dallo Stato, dai suoi
apparati.
(Maria) Il tuo libro dev’essere
consigliato a scuola?
Potrebbe
(sorride imbarazzato). Parificare la Storia, nel senso di
metterla a pari, di stare equidistanti dai fatti, è sgrammaticato storicamente,
appunto. Sarebbe bene non cadere nell’errore grammaticale.
(Rosanna) Questo libro dà anima alla
storia. La funzione estetica, e tu scrivi davvero bene, serve molto a far
conoscere la Storia
perché i fatti, da soli, così come sono accaduti, senz’anima, asfissiano la
mente. Ora ti chiedo però: perché le rivoluzioni falliscono?
Non
lo so. Forse le rivoluzioni falliscono perché spesso, quasi sempre, sono fatte
di pancia e sono di una minoranza, mentre gli altri si accodano. Essendo
arrivati a monetizzare tutto, molti restano esclusi da alcuni diritti. Quei
molti, o quei pochi, fanno la rivoluzione. Quei molti, o quei pochi, raggiunto
il loro bisogno, a tratti, decedono dalla rivoluzione. Pochi sono i
rivoluzionari coerenti. Secondo il filosofo – di destra - Augusto Del Noce il
comunismo sarebbe imploso perché era venuta meno la solidarietà. Emblematico a
tal proposito il film di Fellini, Prove d’orchestra.
Ognuno va per conto proprio, ognuno convinto di essere in quell’orchestra per
fare la differenza. Ne viene fuori solo disordine e rumore. Fino a quando il
direttore ristabilisce l’ordine, e li fa suonare. Ecco. Il bisogno fa ricongiungere
le persone.
(Rosanna) Ma il bisogno delle merci
distoglie…
Già.
Mezzi di distrazione di massa…
(Maria) Alcune volte è ipocrisia, il
bisogno e la solidarietà che si sviluppa attorno. La solidarietà è innata, no?
Ma, a parte questo, ti chiedo se questi tuoi personaggi li conosci.
Alcuni
sono reali, altri sono inventati, ma proprio per questo credo che siano
esistiti realmente. C’è stata una generazione che ha avuto quegli impulsi,
quella generazione potrebbe riconoscersi nei miei personaggi. È stato delicato
mischiare realtà e fantasia, una sutura difficile. Anche perché Dozza, a
Bologna, non si può toccare…
(Maria) Hai cominciato con i
gialli, poi questioni sociali, fino a La sentenza e Il rivoluzionario. Come
accade in uno scrittore?
Non
sono nato giallista. Però è un genere che prediligo perché è molto adatto a
raccontare l’oggi. Il giallo per me è strumento di indagine sociale. È rintracciare
il perché molto più ampio di un delitto. Poi, mi propongo di essere eclettico. Così
ho scritto su commissione Il paese di Saimir, sebbene avessi preso spunto
ancora da un fatto sociale. Ho scritto un romanzo psicologico come può essere
Le imperfezioni. Insomma ci sono storie che mi colpiscono e se resistono vuol
dire che vogliono essere raccontate.
(Marco) Per tutto il libro permane il
desiderio di voler proporre una ideologia. Che alla fine resta una utopia. Ma una
buona idea non dovrebbe essere imposta?
Il
meglio dell’uomo non è sempre funzionale al potere. Mantenere una condizione di
subordinazione sì.
(Lorenzo) Hai avuto paura di toccare
qualcosa della Storia?
Ho
avuto paura, ma sono stato confortato da un caro amico. Mi serviva toccarla, la Storia, per legare tutto e
arrivare a una data. Forse Dozza era meno bracciante di come lo descrivo e
Prospero Gallinari più bambino, perché avrebbe dovuto avere circa dieci anni quando
incontra Oscar.
(Vita) Oscar è proprio un nome rivoluzionario,
Italina patriottico, poi Dalmazio…
Sorride.
(Vita) Italina e Ferruccio avrebbero potuto
innamorarsi?
Italina
comprendeva molto i suoi bisogni. Sì, avrebbero potuto.
Me lo aspettavo così, l'incontro con Valerio: semplice, familiare, colloquiale, sottovoce. E così è stato dall'inizio alla fine. Avremmo anche potuto fare delle critiche e Valerio avrebbe risposto con la stessa gentilezza e generosità, senza inalberarsi o ritirarsi, a nostra disposizione.
RispondiEliminaIl suo libro, che non ho letto e che leggerò di sicuro, così come mi è stato presentato, nelle sue parole e negli interventi dei miei compagni itineranti, mi è parso adatto, adattissimo, anzi necessario agli studenti delle superiori, per entrare nello spirito della Storia e delle storie ad essa intorno, senza annoiarsi a morte, come regolarmente succede sui libri di testo.
Grazie, Valerio, e a te, Vita, per la restituzione piena del clima e dei contenuti della serata!