Incontriamo
Mariapia al suo secondo libro. Siamo stati il suo primo gruppo di
lettura, dice, con La vita accanto, e le abbiamo portato fortuna. Noi
la portiamo nel cuore. Tutti. Barbara, Maria, Patrizia, Sarah,
Elisabetta, Paola, Chiara, Cinzia, Giusy e Romama alla loro prima volta,
Armando venuto da lontano, Marisa, Rebecca. Ci voleva una
Rebecca accanto a Vita.
Tutti,
anche Alessandra, Elke, Marco, Luisa e Lorenzo.
Un libro singolare.
Doloroso e intenso Il tempo è un dio breve. La trama può essere la
storia di tutti, ma non è banale. Molte critiche l'hanno definito
teologico, o anche cattolico visto che nella storia semplice di una
donna che viene abbandonata dal marito, che cresce un figlio da sola,
che si innamora ancora, c'è il senso ultimo della ricerca di Dio. Ma
tu che libro volevi scrivere?
(Sorride.)
Segre lo ha definito come un
libro che parla di Dio, ma non è devoto. Volevo scrivere quello che
ho scritto, non un'appartenenza che chiude. Ildegarda ha conosciuto
Dio, la presenza e l'assenza. E tutto il suo interrogare avviene da
un approdo comune (credenti e non credenti), non da una visione
singola, chiusa. Certo è un libro che ha a che vedere con la mia
storia, la riflessione sul male è la mia esperienza, anche se non si
tratta di un'autobiografia. Ho impiegato dodici anni a scriverlo, il
male richiede tempo. Tutto il lavoro è stato trasformare il tema del
male in storia, tante storie. E farle diventare vita piuttosto che
dottrina. Questo volevo scrivere.
Ma
volevi parlare di Dio, del
Male, della Fede, potevi scrivere un saggio. I
tuoi personaggi dicono delle cose che possono mettere in difficoltà
i non credenti. Solo c'è chi non riesce a credere, non può
perché non sa cos'è l'amore... E'
escludente un pensiero simile, malattia del non credere.
È
ciò che dice il personaggio. Malattia del non amare, correggo.
Quello che mi si obietta è interno al romanzo. I personaggi devono
restare coerenti al loro interno. Ma è un giudizio diverso dalla
tesi. Il libro può piacere o non piacere.
Invece
il libro piace. Ma sembrano
inverosimili alcuni dialoghi
tra i due, o
il bambino di livello alto per
la sua età, come a voler
escludere chi non si sente di provata Fede. L'amore ci fa una figura
bassa, come se fosse collegato al credere, al sacrificio.
Ildegarda
e Dieter sono due teologi, è
plausibile che parlino come hanno parlato. I bambini a volte sono
sorprendenti e Tommaso è un bambino interrogante. La
sua stessa presenza è interrogante a tal punto che diventa
dirompente per suo padre.
Per
quel che riguarda il sacrificio, l'idea del patto, è paganesimo
puro, è magia, è tutto tranne che Fede. Non a caso la malattia di
Ildegarda è precedente all'evento di paura che vuole contrattare,
perché lei non creda che Dio abbia accolto il suo patto. Può solo
credere di dover trovare un'altra strada, quella della promessa, dove
la morte non è l'ultima parola.
È
tentata però dalla
morte Ildegarda. La morte non è granché se non si ama la
vita.
Già.
Ha tutto un altro senso lasciarla, la vita, se la si ama
profondamente.
Torno
alla promessa. La dottrina teodicea si
è occupata del male. Non poteva negarlo. Non poteva neppure
discutere l'onnipotenza divina, sarebbe stato sovversivo. Ha
preferito toccare la bontà divina che però è una strada
percorribile se e quando l'individuo non conta nulla. Ma mai la
Bibbia sacrifica l'intelletto dell'uomo. Inoltre
dopo la Shoah la teodicea si è sgretolata. È tornata
all'onnipotenza
di Dio che è anche impotenza, nel senso che sta accanto. È qui che
è importante recuperare il termine biblico di promessa e non di
senso. Questo è un libro vetero testamentario, infatti. Ildegarda
dialoga con Dio come facevano gli antichi padri. E il non credere è
una possibilità, credere una promessa. Appunto. Il sogno finale del
libro è una consegna fatta al mondo, un desiderio ultimo prima
della morte.
Avere
compassione di Dio è atteggiamento che si colloca oltre ogni
religione...
E'
la ragione per cui non scriverò mai un saggio. Perché non ho le
risposte. Poi non si può contenere la Vita in un saggio. Ildegarda
non è nome a caso del personaggio. È la santa che aveva una
fisicità incredibile, che amava la cura del corpo degli uomini, con
le erbe ad esempio. È l'esempio della materialità della Fede, non i
miracoli. Dio è terra insomma, e la vita va coltivata.
Quanto
amore serve a salvare un amore?
Non
lo so, ma non abbiamo di meglio.
Ildegarda
trae più conforto o più tormento dalla sua Fede?
Anche
questo non so. Dio non le risponde, ma del resto non lo ha mai fatto.
Penso che la Fede sia come l'amore per qualcuno. Totalizzante. Ma
l'amore si tiene nell'assenza, molto di più nell'assenza. Ildegarda
è tentata di allontanarsi da Dio, ma lo ha conosciuto, l'amore c'è
stato, non può più prescinderne.
Eppoi la
vita stava
arrivando...
Stava
arrivando un amore, un amore in posizione di realtà. L'amore
s'impone. S'impone sempre.
Perché
il tempo è un dio breve? Sono i sentimenti le divinità brevi? I
sentimenti che possono cambiare e possono tornare a farci vivere
anche se stiamo morendo?
Costruisco
non pensando che domani non ci sono. Una specie di promessa di
eternità. Avere un po' di oblio per poter vivere.
I
nomi sono moltitudine.
Non
si può ignorare il nome che si porta. Dietro ogni nome c'è una
storia. Grande o piccola. Di gente che lo ha portato prima di noi.
La
scrittura ha uno stile molto personale, simile ai mattutini su
L'Avvenire. Frasi brevi. Poi frasi secondarie come fossero
principali, e brevi pure quelle. Solo a tratti pensieri lunghi molto
belli.
(Sorride.)
Per dimostrare che conosco la
sintassi.
Che
cosa del male ti ha portato dentro la riflessione?
Basta
poco per accorgersi del male. Ma per me è stato devastante scoprire
la Shoah. Mi ha sconvolto il male sui bambini.
È
tutto inventato? La storia, i personaggi incredibili?
Sì,
tutto. Tranne i luoghi che ci sono, ma a cui ho cambiato i nomi.
Forse solo il Direttore è un po' reale.
Bel
personaggio Marguerite, l'unica
che si è salvata. Pierre il
più definito.
E
non è credente Marguerite.
Sì, si salva perché si può sperare la felicità. Abitando il
presente.
Pierre
invece è il personaggio che ho cambiato di più nel corso dei dodici
anni. All'inizio gli avevo attribuito troppe colpe.
Come
vedi il libro ci è piaciuto.
Il
libro è consegnato una volta pubblicato. Le critiche si accettano.
Perché
ci hai messo dodici anni?
Perché
cercavo quel tipo di scrittura per quell'argomento. Perché è un
libro che aveva bisogno del suo tempo.
Il
titolo è tutto tuo?
Sì,
anche la copertina. E dopo è stata una esplosione di uccellini nelle
librerie..
Non so come spiegarlo, ascoltare e leggere Maria Pia mi rende serena . Adoro questa donna.
RispondiEliminaGrazie S.
La storia che Mariapia ha raccontato è di amore dolore ricerca scavo... e i personaggi sono tutti protagonisti, anche quelli che sembrano secondari. Mi hanno tutti interrogata nel profondo. Devo molto ad ognuno di loro, davvero, e quindi a Mariapia. Ma il tema teologico così dominante nelle sue varie vesti ha schiacciato, PER ME, proprio l'essenzialità intensamente bella della storia e dei protagonisti. E' come se, in un certo senso, fossero serviti ad altro che non al semplice raccontarsi e incontrarsi con noi lettori e fare un pezzo di strada assieme.
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