Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

sabato 4 maggio 2013

Mariapia Veladiano e Il tempo è un dio breve a Bologna

Incontriamo Mariapia al suo secondo libro. Siamo stati il suo primo gruppo di lettura, dice, con La vita accanto, e le abbiamo portato fortuna. Noi la portiamo nel cuore. Tutti. Barbara, Maria, Patrizia, Sarah, Elisabetta, Paola, Chiara, Cinzia, Giusy e Romama alla loro prima volta, Armando venuto da lontano, Marisa, Rebecca. Ci voleva una Rebecca accanto a Vita.

Tutti, anche Alessandra, Elke, Marco, Luisa e Lorenzo.

Un libro singolare. Doloroso e intenso Il tempo è un dio breve. La trama può essere la storia di tutti, ma non è banale. Molte critiche l'hanno definito teologico, o anche cattolico visto che nella storia semplice di una donna che viene abbandonata dal marito, che cresce un figlio da sola, che si innamora ancora, c'è il senso ultimo della ricerca di Dio. Ma tu che libro volevi scrivere?

(Sorride.) Segre lo ha definito come un libro che parla di Dio, ma non è devoto. Volevo scrivere quello che ho scritto, non un'appartenenza che chiude. Ildegarda ha conosciuto Dio, la presenza e l'assenza. E tutto il suo interrogare avviene da un approdo comune (credenti e non credenti), non da una visione singola, chiusa. Certo è un libro che ha a che vedere con la mia storia, la riflessione sul male è la mia esperienza, anche se non si tratta di un'autobiografia. Ho impiegato dodici anni a scriverlo, il male richiede tempo. Tutto il lavoro è stato trasformare il tema del male in storia, tante storie. E farle diventare vita piuttosto che dottrina. Questo volevo scrivere.

Ma volevi parlare di Dio, del Male, della Fede, potevi scrivere un saggio. I tuoi personaggi dicono delle cose che possono mettere in difficoltà i non credenti. Solo c'è chi non riesce a credere, non può perché non sa cos'è l'amore... E' escludente un pensiero simile, malattia del non credere.

È ciò che dice il personaggio. Malattia del non amare, correggo. Quello che mi si obietta è interno al romanzo. I personaggi devono restare coerenti al loro interno. Ma è un giudizio diverso dalla tesi. Il libro può piacere o non piacere.

Invece il libro piace. Ma sembrano inverosimili alcuni dialoghi tra i due, o il bambino di livello alto per la sua età, come a voler escludere chi non si sente di provata Fede. L'amore ci fa una figura bassa, come se fosse collegato al credere, al sacrificio.

Ildegarda e Dieter sono due teologi, è plausibile che parlino come hanno parlato. I bambini a volte sono sorprendenti e Tommaso è un bambino interrogante. La sua stessa presenza è interrogante a tal punto che diventa dirompente per suo padre.

Per quel che riguarda il sacrificio, l'idea del patto, è paganesimo puro, è magia, è tutto tranne che Fede. Non a caso la malattia di Ildegarda è precedente all'evento di paura che vuole contrattare, perché lei non creda che Dio abbia accolto il suo patto. Può solo credere di dover trovare un'altra strada, quella della promessa, dove la morte non è l'ultima parola.

È tentata però dalla morte Ildegarda. La morte non è granché se non si ama la vita.

Già. Ha tutto un altro senso lasciarla, la vita, se la si ama profondamente.

Torno alla promessa. La dottrina teodicea si è occupata del male. Non poteva negarlo. Non poteva neppure discutere l'onnipotenza divina, sarebbe stato sovversivo. Ha preferito toccare la bontà divina che però è una strada percorribile se e quando l'individuo non conta nulla. Ma mai la Bibbia sacrifica l'intelletto dell'uomo. Inoltre dopo la Shoah la teodicea si è sgretolata. È tornata all'onnipotenza di Dio che è anche impotenza, nel senso che sta accanto. È qui che è importante recuperare il termine biblico di promessa e non di senso. Questo è un libro vetero testamentario, infatti. Ildegarda dialoga con Dio come facevano gli antichi padri. E il non credere è una possibilità, credere una promessa. Appunto. Il sogno finale del libro è una consegna fatta al mondo, un desiderio ultimo prima della morte.

Avere compassione di Dio è atteggiamento che si colloca oltre ogni religione...

E' la ragione per cui non scriverò mai un saggio. Perché non ho le risposte. Poi non si può contenere la Vita in un saggio. Ildegarda non è nome a caso del personaggio. È la santa che aveva una fisicità incredibile, che amava la cura del corpo degli uomini, con le erbe ad esempio. È l'esempio della materialità della Fede, non i miracoli. Dio è terra insomma, e la vita va coltivata.

Quanto amore serve a salvare un amore?

Non lo so, ma non abbiamo di meglio.

Ildegarda trae più conforto o più tormento dalla sua Fede?

Anche questo non so. Dio non le risponde, ma del resto non lo ha mai fatto. Penso che la Fede sia come l'amore per qualcuno. Totalizzante. Ma l'amore si tiene nell'assenza, molto di più nell'assenza. Ildegarda è tentata di allontanarsi da Dio, ma lo ha conosciuto, l'amore c'è stato, non può più prescinderne.

Eppoi la vita stava arrivando...

Stava arrivando un amore, un amore in posizione di realtà. L'amore s'impone. S'impone sempre.

Perché il tempo è un dio breve? Sono i sentimenti le divinità brevi? I sentimenti che possono cambiare e possono tornare a farci vivere anche se stiamo morendo?

Costruisco non pensando che domani non ci sono. Una specie di promessa di eternità. Avere un po' di oblio per poter vivere.

I nomi sono moltitudine.

Non si può ignorare il nome che si porta. Dietro ogni nome c'è una storia. Grande o piccola. Di gente che lo ha portato prima di noi.

La scrittura ha uno stile molto personale, simile ai mattutini su L'Avvenire. Frasi brevi. Poi frasi secondarie come fossero principali, e brevi pure quelle. Solo a tratti pensieri lunghi molto belli.

(Sorride.) Per dimostrare che conosco la sintassi.

Che cosa del male ti ha portato dentro la riflessione?

Basta poco per accorgersi del male. Ma per me è stato devastante scoprire la Shoah. Mi ha sconvolto il male sui bambini.

È tutto inventato? La storia, i personaggi incredibili?

Sì, tutto. Tranne i luoghi che ci sono, ma a cui ho cambiato i nomi. Forse solo il Direttore è un po' reale.

Bel personaggio Marguerite, l'unica che si è salvata. Pierre il più definito.

E non è credente Marguerite. Sì, si salva perché si può sperare la felicità. Abitando il presente.

Pierre invece è il personaggio che ho cambiato di più nel corso dei dodici anni. All'inizio gli avevo attribuito troppe colpe.

Come vedi il libro ci è piaciuto.

Il libro è consegnato una volta pubblicato. Le critiche si accettano.

Perché ci hai messo dodici anni?

Perché cercavo quel tipo di scrittura per quell'argomento. Perché è un libro che aveva bisogno del suo tempo.

Il titolo è tutto tuo?

Sì, anche la copertina. E dopo è stata una esplosione di uccellini nelle librerie..
















2 commenti:

  1. Non so come spiegarlo, ascoltare e leggere Maria Pia mi rende serena . Adoro questa donna.
    Grazie S.

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  2. La storia che Mariapia ha raccontato è di amore dolore ricerca scavo... e i personaggi sono tutti protagonisti, anche quelli che sembrano secondari. Mi hanno tutti interrogata nel profondo. Devo molto ad ognuno di loro, davvero, e quindi a Mariapia. Ma il tema teologico così dominante nelle sue varie vesti ha schiacciato, PER ME, proprio l'essenzialità intensamente bella della storia e dei protagonisti. E' come se, in un certo senso, fossero serviti ad altro che non al semplice raccontarsi e incontrarsi con noi lettori e fare un pezzo di strada assieme.

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