Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

sabato 26 novembre 2011

Gianrico Carofiglio e Il silenzio dell'onda a Bologna

Caro Gianrico,

Va bene, hai ragione. Il personaggio che si ribella bisogna lasciarlo vivere. Anche il relatore troppo loquace. La soppressione, beninteso, era solo metaforica. Come l'onda del titolo che è sì l'onda reale ma anche il silenzio dell'infanzia, di quella stagione che tutti abbiamo perduto. Fai quasi tenerezza mentre sveli che è nel personaggio bambino che ti sei immedesimato. La storia del cane lo lasciava intuire sebbene il maresciallo, quando sfoggia tecniche investigative, è facile che induca il lettore ad associarlo a Carofiglio magistrato. Dici che è naturale, che se uno ha esperienza diretta di un mondo è facile poi trovarsi quel mondo nella scrittura. Tant'è che un episodio, quasi inverosimile, è accaduto dall'inizio alla fine e te lo raccontò un carabiniere. Tu però sei proprio bravo. La tua scrittura è sempre lieve eppure un po' tramortisce. Concordo con quella giornalista che dice che è proprio come quei vini bianchi siciliani che paiono leggeri, poi invece ti alzi e ti tremano le gambe. Sono restata appena delusa forse, m'aspettavo un Gianrico ironico come quello dell'avvocato Guerrieri in auto col suo cliente sulla superstrada Bari - Lecce. Mi aspettavo una battuta iniziale, sembravi volerla fare, accidenti! ma il relatore, sì che è relatore, relaziona troppo. Diciamo allora che va bene così, è un libro malinconico questo, niente battuta, un romanzo di caduta e riscatto, e quasi diventi serio nel descrivere Roberto e il territorio affascinante di un infiltrato. Affascinante e pericoloso. Ora sì, sei proprio serio nel dire che quando qualcuno è per troppo tempo qualcun'altro poi fa fatica ad essere se stesso. Chiedi se c'è qualche psichiatra in sala e ti viene un sorriso. Non derisorio, no, di chi dallo psichiatra ci va. Un sorriso di compiacimento, di narcisismo intellettuale, sai d'aver scritto bene quella parte. Tu con gli psichiatri ci hai parlato, soprattutto però hai parlato coi pazienti. Grazie, faremo attenzione a parlare con gli scrittori. Pazienti o no. Abbiamo capito che senza che ce ne accorgiamo lui, lo scrittore, potrà infilarsi la nostra storia in tasca, rubarci le battute, descriverci in un episodio. E che regalo quando leggi il pezzo tagliato! Quello di Roberto che si reca in libreria per la prima volta e incontra uno scrittore appunto. Finalmente ci fai sorridere, con malinconia, ovvio. Intascata la storia lo scrittore non ha paura di raccontarla. Dici che scrivere è camminare in una stanza buia, il rischio di farsi male c'è, anche di non sapere se c'è una via di uscita. Ma senza paura. Soprattutto se capita che le parole, battendole sulla tastiera, si infilino nel verso giusto. E tu questa sensazione l'hai avuta nel momento in cui il dottore perde il controllo e sfoga con il suo paziente il dolore per il figlio. Se posso dire la mia, Gianrico, le parole ti si sono infilate benissimo anche nel finale. E' semplicemente bello. Ricordati che me l'hai detto tu che il furto letterario è uno degli strumenti più importanti di chi scrive. Ed io un poco scrivo.

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