Certo
che gli italiani son proprio da piazzola! Esclama Rebecca dopo la
prima mezza giornata parigina e l'ennesimo pardòn se
inavvertitamente t'hanno sfiorato un piede o je prer se ti sei
scusato perché hai sfiorato il piede a qualcuno. Parigi è davvero
agreable, oltre che complimentosa. Di buon mattino l'impiegato alla
metro sorride e ce lo avrebbe offerto lui il caffè, invece che
mandarmici come l'impiegata T-per di Bologna, e buon soggiorno a du
sors tre joli. Rispondo che no, siamo mamma e figlia, ma grazie. Poi,
svelata definitivamente la nostra italianietà proprio per aver
articolato più compiutamente in idioma indigeno, senza preavviso,
come un tuono a Montmartre, mi chiede del calcio. Penso al mio amico
Damiano, devo far bella figura, ma accidenti! Je comprànd le fransè
ma ne pà pu parlè. Sorride di nuovo e chiede almeno che squadra.
Ossignore! E come glielo spiego ora che ho chiuso col Lecce dopo le
combine dei mesi scorsi? Bologna, mi sento uscire di bocca,
all'unisono con Rebecca. Ulalà! Sorride di nuovo, ma ora pare
beffardo. E dice qualcosa che termina con Intèr. Ora penso al mio
amico Salvo e c'è poco da fare bella figura. Oui, je sé, l'Intèr
ci ha affondati al penultimo posto. Bon jurné! Andiamo a vedere la
torre che è meglio. Rebecca sobbalza appena la vede. Mi scoppia il
cuore a vedere lei. In tre giorni abbiamo fatto più di quattrocento
foto, duecento forse solo della torre, da tutte le angolazioni. Ai
suoi piedi hanno allestito l'Art de la Tolérance, orsi colorati da
tutto il mondo. Cerco, senza un apparente motivo, quello del Gambia.
Ma so che è per il mio nuovo amico Sarjo. La fila di gente che si
snocciola per qualche chilometro ci distoglie dal salire. Saliremo
sull'Arco di Trionfo, le dico consolatoria, vedrai c'è meno fila.
Infatti è così e Parigi è comunque sotto di noi e Rebecca si gode
la sua torre da un'altra, alta, angolazione. Il cielo è grigio, ma
riusciamo a vedere ogni cosa da lassù, a dominare ogni cosa. Due
generalesse a Parigi. Champs Elysèes sono pieni di gente, arriviamo
fino a Place de La Concorde, nel mentre una crep sucrè ci ridà
energia. L'ha chiesta Rebecca col suo francese stavolta, che parla
bene a onor del vero, ma è timìd, mi dice il gestore. Già, chissà
da chi avrà preso. Peccato, il Museo d'Orsay è chiuso, ci rifaremo
col Louvre. Camminiamo fino a sera. Prima di riprendere la metro
chiedo a Rebecca se riesce ancora a camminare, che a volte lo so che
sono odiosa, non mi fermo mai. Risponde che deve valerne proprio la
pena. Bene, allora! Riattraversiamo la Senna e percorriamo tutta Rue
de l'Universitè, che sembra non finire mai e io spero di ricordare
bene. Ma sì, la mappa è dalla mia parte, ricorda come me pure lei.
E' buio quando la strada sta per finire, meglio, penso. Svoltiamo
l'angolo e lei è lì, illuminata per la notte, e se aspettiamo
qualche minuto, alle ore precise, vedrai la sintìll. La chiamano
così i Francesi la torre scintillante a segnare le ore notturne.
Un
giorno di sole a Parigi merita una passeggiata sul lungo Senna tra
gli artisti de l'Ile de la Cité. Merita pure Notre Dame, ché le
vetrate diventano sole di ogni colore all'interno. Davanti al Palazzo
di giustizia scopro una fila interminabile di Iveco blu della
Gendarmerì fransés. Da bravi cugini, penso. Peccato infilarsi in un
museo con una così bella giornata, ma il Louvre lo merita. Visita
d'obbligo al sorriso più misterioso dell'arte. Poi un tuffo nelle
antichità egizie e greche. Senza nulla dire, Rebecca è rapita dalla
Nike di Samotracia. A volte ci assomigliamo più di quanto possa
sembrare. Quando usciamo è buio e stavolta sarà Place de La
Concorde ad accoglierci illuminata.
A Montmartre arriviamo in due
fermate. Sorridiamo io e Rebecca facendo il verso alla voce
automatica sulla metro che ripete due volte i nomi delle proscién
arrét, ma la seconda stancamente, quasi che i passeggeri fossero
tutti svogliati. Il Sacro Cuore è candido nel grigio del cielo. C'è
la messa d'Ognissanti, ma non si riesce a metter piede, aspetteremo
la fine. Una passeggiata a Place du Tertre e lì, pur di farti un
ritratto, t'inventano bellezza sàn precedànt. Fa bene
all'autostima, almeno. Eccolo il tuono dell'inizio. Stiamo ammirando
uno scià nuàr quando esplode. Poi la grandine, bellissima, e i
negozianti sono contenti. Dopo, si regala ancora bel tempo, utile per
l'ultimo angolo di Parigi, il Marais. Ulalà! Non mi aspettavo di
trovare Bologna a Parigi. I portici di Place des Vosges sono
deliziosi, casa Hugo la troviamo chiusa, almeno mangiamo al Café
Hugo. Ci siamo sentite come in un quadro di Monet, tavolini tondi uno
accanto all'altro. Lampadari rossi e luci basse. Cameriera d'una
gentilezza francese, ma era di Salerno. Siamo alla fine. Nella metro
una giapponese ci chiede indicazioni per Gare du Nord. Più facile
accompagnarla che spiegarglielo. Ma al tornello lei non ha il
biglietto, così tiriamo fuori uno dal nostro carné e glielo diamo.
E' deliziosa Rebecca quando dice che ora i giapponesi e gli inglesi
diranno che gli italiani sono gentili pure loro. Non vi ho detto, on
fét, che sotto la torre una coppia di inglesi aveva solo il telefono
per fare le foto. Mi avevano chiesto di fargliene una. Giel'ho fatta,
ma vista la qualità, ho fatto loro qualche foto con la mia macchina
fotografica dicendo che gliele avrei mandate per mail. Mi hanno
scritto il loro indirizzo e-mail sulla guida, ed è un buon ricordo
per me. Lo scioffér per l'aeroporto chiede se può dire d'avere due
belle cugine in Italia. Sé siùr, francesi e italiani sono cugini. A la
proscién fuà.
Foto riflessa, all'ingresso dell'Arco di Trionfo. |
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