Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

venerdì 1 novembre 2013

La misura di tutte le cose

Anni fa, almeno dieci, ho letto un interessante libro sulla avventurosa storia del metro. Oggi la cronaca politica me l'ha rievocato. E' un gioco mentale, quello di dare titoli di libri alle persone o alle cose che accadono. La misura di tutte le cose. E non sto a tediarvi con la vicenda del nostro Guardasigilli. Ma ho trovato interessante, addirittura fulminante, tornare a sfogliare il libro e trovarvi delle associazioni tra unità di misura e giustizia che, evidentemente, la memoria tratteneva, a mia insaputa. E' pur vero che il simbolo della giustizia è una bilancia.
 
Per essere operative le misure devono essere assunti condivisi.
Nell'Antico Testamento si trova l'ammonimento "Non commettere ingiustizie nei giudizi, nei pesi o nelle misure di capacità. Avrete bilance giuste, pesi giusti, ephah giusto, hin giusto".
Le nostre unità di misura definiscono l'essenza e il valore dell'essere umano.
 
Vi racconto brevemente di questo interessante libro.
Nel XVIII secolo le unità di misura differivano non solo da nazione a nazione, ma anche al loro interno. Questa diversità ostacolava e impediva una razionale amministrazione dello Stato e dunque, almeno per le unità di misura, il buon senso reclamò un sistema coerente.
Per sette anni due astronomi viaggiarono lungo il meridiano terrestre per ottenere dalla superfice curva del nostro pianeta un'unica cosa: il metro. Una impresa straordinariamente delicata mentre si era in Francia e il mondo girava attorno alla ghigliottina. Il frutto delle loro fatiche fu conservato in una barra di platino puro lunga un metro, appunto. Ma uno dei due astronomi aveva commesso un errore nella misurazione. Soprattutto si era accorto dell'errore. Morì nel tentativo di correggerlo, quasi sull'orlo della follia. Il risultato è che il metro è in errore. E il significato della sua storia è che le persone lottano per la perfezione, poi in-evitabilmente vengono a patti con le imperfezioni. Così, alla fine, è l'uomo la misura di tutte le cose.  
 
La misura di tutte le cose di Ken Alder
 
 
 

8 commenti:

  1. Pur non desiderando di leggere questo libro, che l'uomo sia la misura di tutte le cose mi affascina. Mi urge, però, dire che secondo me ogni SINGOLO uomo è misura delle cose che lo abitano e lo premono ai fianchi e nessuno dovrebbe costringerlo a uniformarsi. Gli si può chiedere solo di non distruggere le vite che incrociano la sua, sperando che la nostra richiesta sia anche la sua, sperimentata sulla sua pelle.

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  2. Non mi sembra traumatizzante concludere che "alla fine è l'uomo la misura di tutte le cose" perchè le misurazioni si applicano alle entità misurabili e in questo campo gli strumenti a disposizione, credo che la stragrande maggioranza dei tecnici sia daccordo, danno risultati sufficientemente rassicuranti, purchè si scelga per ogni calcolo lo stumento adatto e non si voglia , per dire, calcolare la distanza della Terra dalla Luna usando il metro del sarto.
    Certamente per le grandezze non misurabili, vedi: idee, l'unità di misura è l'uomo stesso e la paura di valutazioni sballate ritorna; che dire: può consolarci il pensiero che questa unità di misura non si è costruita da sè, ma è stata creata da Qualcuno che in fatto di ...creazione se ne intenteva un po'
    di più?

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  3. E' un libro interessante come lettura scientifica e di viaggio. Naturale che l'uomo sia misura delle cose che lo abitano.
    E, dalla naturalezza appena detta, non reputo traumatizzante che l'uomo sia misura di tutte le cose.
    La mia misura (nel senso di riflessione), associazione forse sbagliata, è nella penultima frase della recensione, più che nell'ultima. L'ultima credo sia un assunto condiviso, appunto.

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  4. Mi auguro tanto che ogni umano venga a patto con le proprie imperfezioni e accettandole voglia vivere la sua vita, che sarà perfetta; mi auguro che accetti di essere una sballata unità di misura e con questo incongruo strumento ottenga misurazioni di strabiliante esattezza mi auguro che non voglia essere perfetto per vivere ma vivere per arrivare alla perfezione dopo aver vissuto.
    Credo che solo così non distruggerà le vite che incrociano la sua e la sua richiesta sarà anche quella dell'altro perchè la richiesta di entrambi è la vita

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  5. Gentile Anonimo, concordo sulla riflessione esistenziale.
    Ma la ragione per cui mi è tornato in mente questo libro è un fatto politico che ho intitolato mentalmente La misura di tutte le cose. Non volevo creare un dibattito esistenziale, sebbene sia interessante quello che ne deriva dalla necessità delle misurazioni. Ho scritto questo post semplicemente perché sono disgustata e impotente.

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  6. Proverò ad esprimere meglio il mio pensiero, ma ho bisogno di tempo. Per ora non essere disgustata e sentirti impotente.
    Armando, anonimo per cause tecniche

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  7. Credo di aver capito (finalmente!) le ragioni per cui, cara Vita, ti dichiaravi disgustata ed impotente. Ma che mai ti succede, sei diventata più grillina di Grillo? Non credo, però, che questa volta chi protesta e chiede dimissioni abbia ragione. Non è leale e corretto trincerarsi dietro ad un ipse dixit, ma dietro a ...due, forse si può. In modo meno sibillino: Valerio Onida, sul Corriere d. Sera di ieri e don Gino Rigoldi su quello di oggi, esprimono delle opinioni (quasi coincidenti!) che possono orientare in modo diverso chi è insorto contro l'azione della nostra Guardasigilli. Non per prevaricare ma per essere breve concludo dicendo: io sto dalla parte della ministra Cancellieri e presento a sostegno del mio pollice alzato le considerazioni espresse dal magistrato Onida e del prete Rigoldi
    Anonimo Armando

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  8. Caro Armando, ho letto le considerazioni di Onida e quelle di Don Gino Rinoldi. Potrei risponderti con, invece, la considerazione dell'antropologa Signorelli (Un rappresentante del governo non è chiamato a fare le opere buone, è chiamato a realizzare la legge, rispettarla e farla rispettare). Io però non protesto per principio o per abitudine, e, permettimi, resto disgustata - e impotente - da tutta la politica. Mi offende sentirmi dare della grillina, o eventualmente della berlusconiana, renziana, e chissà quali altri. E' una classe politica lontana anni luce dalla gente. E' la classe politica dei potenti. Chi chiamo io alla ricerca disperata di un lavoro? quale ministro? posso essere annoverata come caso umanitario? Poi, ricordiamoci, salvo innocenza fino a prova contraria, chi è in prigione è perché ha commesso un reato. E siamo tutti d'accordo sulla situazione delle carceri che don Gino dice di conoscere bene. Non è colpa nostra, mia e tua, se le carceri hanno perduto, semmai l'avessero avuta, la funzione rieducativa del condannato. Ma sul caso in questione è innegabile l'amicizia tra le parti, è innegabile il compenso spropositato. La verità è che si sta gettando acqua sul fuoco per mantenere in vita questa pagliacciata di governo, come pure è accaduto sul ministro degli Esteri la scorsa estate. Finiamola qui, sennò mi sentirò ancora più impotente.

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