Non andare cercando quale sorte il destino ha assegnato a me, a te; non consultare i maghi d'Oriente. E' meglio - vedi - non sapere; è meglio sopportare quello che verrà. Forse molti anni ancora stanno davanti a noi; forse questo inverno, che le onde del tirreno fiacca su la scogliera, è l'ultimo. Ma tu ragiona, vivi felice, e, poiché breve è la nostra vicenda, non inseguire i sogni di un futuro lontano. Ecco, mentre noi parliamo, il tempo invidioso se ne va. Cogli questo giorno che fugge, e non fidarti mai del domani.
(da Orazio, Odi, I, II)

domenica 14 dicembre 2014

Natale 2014, l'albero di Itinerari di Lettura


@
Sara
Maria Lavinia
Sarah Alessandra Elke
Rosanna
Luisa Lorenzo Mattia
Marco Luigi
Patrizia Marella Marina Anna Giuliana
Elena Roberta Rosa
Emanuela
Carla Marinella
Paola Giuseppina Mario Otello
Annalisa
Rita Tiziana Margherita
Cinzia Vita Valerio Donatella Beatrice 
ItineraridiLettura 

giovedì 13 novembre 2014

Incontro con Maria Beatrice Masella

Lunedì 10 novembre abbiamo incontrato Beatrice e conosciuto più da vicino il suo Mare d'argilla. L'incontro è stato ricco. Al rientro a casa m'è venuto da scrivere così.

Mare d'argilla, libro di Beatrice Masella, dopo la dedica riporta una breve poesia di Alda Merini.

Recita: L'unica radice che ho mi fa male.

Mare d'argilla racconta una storia di inizio '900. La storia di una famiglia numerosa, verrebbe da dire. Il farmacista infatti all'inizio del libro ha già cinque figlie femmine e un figlio maschio morto giovane. Dopo nasceranno altri due maschi e un'altra femmina premorta. Seppure brevemente, si legge di una nonna paterna e di un nonno materno nel libro. Il luogo è un luogo sperduto della Lucania. 


Io sono nata nel 1974, sono nona di undici figli viventi, due premorti. Prima di mia madre e mio padre non c'è niente. Non ci sono i loro genitori, non ho conosciuto nonni. Loro sono la mia unica radice. Ho vissuto in un luogo sperduto della Puglia. 


Discutendo il libro, qualcuno ricordava che la storia era di inizio '900. Io tacevo. 


Qualcun'altra che certe donne del Sud sono esistite solo per deformarsi il corpo in gravidanze continue. Io tacevo, cantando mentalmente "....di cinquant'anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli...".


Qualcun'altro ancora che gli uomini del Sud maltrattano le loro donne. Io tacevo, mentre il profumo del pane mi portava a trent'anni fa dove quattro braccia facevano a pugni assieme nella farina alle sei del mattino. 


Poi, qualcun'altro ancora ancora che le donne del Sud non hanno mai lavorato. Io tacevo, vedendo mia madre sempre nei campi.


E così ancora a farsi male. L'unica radice che ho non mi fa male, meno male. 

Per l'intervista CLICCATE QUI


martedì 4 novembre 2014

Incontro con Maria Beatrice Masella

 
 
lunedì 10 novembre 2014
ore 19.30
presso la sede Acli di via Lame 116 a Bologna

Itinerari di Lettura
incontra 

Maria Beatrice Masella
per discutere de
Mare d'argilla
 
L’unica radice che ho mi fa male. Recita così una poesia di Alda Merini prima che ci si inoltri nel Mare d’argilla della lettura. Una recensione QUI

venerdì 10 ottobre 2014

Incontro con Valerio Varesi



 
lunedì 13 ottobre 2014
ore 20.30
presso la sede Acli di via Lame 116 a Bologna

Itinerari di Lettura
incontra 

Valerio Varesi
per discutere de
Il commissario Soneri e la strategia della lucertola
 
Un giallo atipico questo libro. Manca di un assassino. Nella città di Parma accadono fatti apparentemente senza alcun nesso tra loro. Fatti che costringono il commissario ad indagare seguendo solo l’istinto. La recensione QUI


giovedì 11 settembre 2014

Incontro con Donatella Di Pietrantonio, Bella mia

Ci troviamo vicino al Nettuno, io e Donatella. Mi emoziona e mi commuove rivederla dopo tanto tempo dove mai è mancato il suo calore, anche in una breve mail. Lei è così. La sua presenza stasera apre la settima edizione di Itinerari di Lettura. Sarà un'edizione speciale, lo sento. 
La sala è davvero piena stasera. Mi ha portato un dono. Senza saperlo, una delle cose che, assieme a stelle, mucche, libri e margherite, mi contraddistinguono: le campane. Grazie, Donatella.
Per l'incontro-intervista cliccate QUI


martedì 9 settembre 2014

Mare d'argilla, Maria Beatrice Masella

L'ho letta in pochissimo tempo questa litania familiare antica, prestatami da Maria. Mi sono chiesta qual è l'effetto di questo libro su un lettore non meridionale. Quali altri luoghi comuni alimenterebbe su una terra spesso denigrata senza storia. E mentre me lo sono chiesto mi sono arrabbiata della mia stessa domanda. Di mari d'argilla si legge anche in terre diverse dal Sud. Ci è già capitato. A voi la recensione che trovate anche su itineraridilettura.com


L'unica radice che ho mi fa male. Recita così una poesia di Alda Merini prima che ci si inoltri nel Mare d'argilla della lettura.
Vittoria, Clara, Marianna, Isabella, Titina e Clelia sono sorelle. Eleonora la loro madre. Giacinta e Viola le nipoti. La famiglia è quella del farmacista del paese, don Filippo. Oltre a questi, si incontrano tanti altri uomini nella storia. I mariti che via via sposeranno le sorelle o le ameranno, il medico condotto, il parroco, un fratello morto prematuramente e bambini nati maschi, futuri uomini. Tante vite dentro atmosfere crepuscolari lontane, siamo infatti all'inizio del novecento. Un passaggio tra generazioni che fa fatica a compiersi, in ragione forse di quella radice che fa male.
Un libro forte e pieno di dolore. Ci si arrabbia di tanto accanimento. Poi, anche di questo mare d'argilla che lo senti che ti soffoca durante la lettura e non si vuole altro che arrivare alla fine a vedere di respirare. Traduzione efficace di questa sensazione è la scoperta per una delle sorelle, e il ricordo per il lettore, di una Anita Garibaldi forse sepolta viva, a ingoiare terra. Appunto.


giovedì 4 settembre 2014

incontro con Donatella Di Pietrantonio

 
Giovedì 11 settembre 2014
ore 19.30
presso la sede Acli di via Lame 116 a Bologna

Itinerari di Lettura
incontra 

Donatella Di Pietrantonio
per discutere il suo nuovo romanzo
Bella Mia

Raccontare il terremoto d’Abruzzo del 2009 sull’amore di due sorelle. Gemelle. Quella da sempre predestinata alla fortuna muore. L’altra le sopravvive. Alla sopravvissuta il terremoto porta un figlio che non riesce ad amare tutto. Il figlio della sorella morta.

martedì 2 settembre 2014

La malattia chiamata uomo, Ferdinando Camon

Ho letto un libro datato. Si colloca negli anni '70, quando io nascevo. Ma la storia di un'analisi probabilmente si ripete uguale ancora oggi.
Mi ha colpito molto il titolo. E' terribile doversi pensare come malattia. Mi spaventa un malessere così totale. 
Ecco una breve recensione.

La malattia chiamata uomo, questo il titolo di una storia di analisi. Una storia lunga sette anni fra due uomini, paziente e medico, fatta di silenzi e rituali, e di parole che non si possono dire in nessun altro luogo. Una storia di intimità. Di traduzione.
La storia parte da prima, però. Da altri tentativi di intesa, riusciti male, svolti dall'io narrante con altri analisti. Si legge una critica a certo modo di fare analisi. Alle analisi collettive, ad esempio. O a quelle incapaci di non includere nelle sedute troppi rumori della quotidianità. Uno sciacquone del water, un figlio che corre, una moglie che parla al telefono appena un muro di là.
Poi, finalmente, dopo due anni di attesa, il medico giusto.
Non ha pudore l'autore a raccontare di un uomo che torna a casa come dissanguato, svuotato, dopo ogni seduta. Un uomo che si cerca tutti i mali nelle miserie del corpo e gioisce se ne trova. E il sesso, sempre troppo ingombrante.
L'uomo è una nevrosi provvisoria nella nevrosi cronica della storia, scrive Camon. La sua malattia è l'incapacità di dire tutto. La lingua è il virus di questa malattia. Più l'uomo diventa uomo e si differenzia dall'animale, più si ammala.
Nella storia, ma pare anche in generale nella realtà, l'analisi finisce quando il paziente riconduce il suo analista a uomo. Quando lo ridimensiona. Non è più un mago. Non è più un traduttore.
Quando, dopo sette anni, quattro volte a settimana, del suo medico può dire: io non lo conosco.

sabato 23 agosto 2014

Scritto di notte, Ettore Sottsass

Ho letto un libro che mi somiglia molto. Si tratta di un racconto autobiografico. L'autore è Ettore Sottsass, architetto del design contemporaneo. No, io non sono architetto. Ma alcuni suoi pensieri sono anche i miei. Quelli sulle parole, ad esempio, che vanno curate e rispettate. Sulla televisione, strumento abusato. Sulla politica ignorante che non conosce alternative alla guerra. Sulla guerra che non può essere la soluzione. Sui discorsi che invece hanno in sé le tecniche delle soluzioni. Sulla vita, luogo affollato di addii necessari. Sulla violenza che viene usata da chi ha paura, alla fine. Sui libri, che è meglio leggerli, non si sa mai. Sulla infelicità di dover partecipare ad alcune cretinerie per formalità. Sull'integralismo illusorio di voler salvare il mondo. Sull'amore platonico per la montagna e il mare. Sulla sensazione di vivere in un mondo volgare, violento, traditore. Ma soprattutto volgare. 
Una vita straordinaria, quella di Ettore Sottsass. E l'ha vissuta come una specie di isterismo soltanto perchè c'era, la vita. Mai un programma che ricomprendesse il futuro. 
Il suo racconto, a episodi sparsi, senza un preciso ordine pensato, copre quasi tutto il novecento. Tutti i suoi novant'anni. Sembra che le cose gli accadono dal nulla. I maestri speciali, la guerra, il matrimonio, la malattia e la guarigione, i viaggi in un'epoca non ancora rappresaglia del turismo di massa, i personaggi che contavano e quasi snobava, le donne, l'amore. Non inseguiva l'arte lui, neppure l'eternità. La sua grandezza è stata la ricerca del provvisorio, trovare figure adatte al momento che poi sarebbero state invase da altre figure. 
Una buona scrittura, quella di Ettore Sottsass. Morbida. Silenziosa. Si sente l'intimità della notte.


sabato 26 luglio 2014

Una mutevole verità, Gianrico Carofiglio

Eccolo il libro delle vacanze, letto tutto d'un fiato un pomeriggio. No, non sono stata io a proporlo, l'ultimo di Gianrico. Ma sono stata felice sia stato proposto, naturalmente. Scoprire poi Poison mi ha fatto sorridere. Eccolo nella foto. Direte: facile casualità per una donna. Non per me, che non amo né uso profumi.

Ed ora la recensione.

A Bari, sul finire degli anni '80, viene sgozzato un uomo. La testimonianza di un'anziana signora, curiosa e paranoica, si rivela un colpo di fortuna per l'indagine. Eppure il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio sente qualcosa fuori posto. È poi questa la dote di uno sbirro, andare alla ricerca delle discontinuità, delle note dissonanti. Percepire quello che agli altri sfugge. Con la vista, certo. Ma anche udito, tatto. Olfatto. E allora Poison di Dior diventa un'ottima intuizione.
Difficile trovare uno stile così, pulito, bello. La parola curata. Le citazioni al posto giusto. Il buon gusto musicale. L'amore per i libri. Chi ha già letto le precedenti vicende dell'avvocato Guerrieri lo riconosce subito. Più carico di malinconia, forse, come suggerisce la copertina. Dono dell'età dell'autore, ma anche del nuovo personaggio. No, non è un errore. C'è anche Guerrieri. E' poco più che un ragazzo e ha cominciato la professione da pochi anni. Lui e il maresciallo si sono riconosciuti subito.

mercoledì 23 luglio 2014

Guardati dalla mia fame, Milena Agus - Luciana Castellina

Me l'ha suggerito Maria, questo libro. Può servirti per la tua esperienza politica, aveva detto. E avendolo letto, adesso, comprendo quanto avesse ragione e quanto avesse, lei,
da brava madre d'anima, inteso il mio malessere per l'ingiustizia sociale e l'urgenza di metterci in guardia.

Ora la recensione. La copertina già parla da sola.

Le parti di questo libro si parlano da lontano. Da lontano perché la distanza fra i fatti e il loro senso è quasi incolmabile.
 

Libro curioso, a quattro mani, ma di autrici molto diverse tra loro. Partendo da un fatto di cronaca, Luciana Castellina scrive della realtà nuda e cruda, Milena Agus di quella romanzata. L'episodio reale è quello del 6 marzo 1946, quando in occasione del comizio del sindacalista Giuseppe di Vittorio, qualcuno spara sulla folla. Si pensa ad una provocazione. Due sorelle di quattro, zitelle, ricche agrarie, ignare della fame intorno, incolpevoli degli spari, colpevoli per storia, per classe, vengono linciate. Altre due, malridotte, sopravvivono.

Un libro terribile e urgente. Che ha il merito di raccontare un pezzo di storia che nessuno quasi conosce. Una terribile guerra civile che si scatenò in Puglia, ma anche altrove, dal '43 al '49. Terribile e urgente e attuale. Bisogna guardarsi dalla fame della gente. Perché questa, la fame, si fa violenza e chiede vendetta.


giovedì 10 luglio 2014

Piangi pure, Lidia Ravera

Iris ha settantanove anni. Si potrebbe dire che abbia speculato sulla sua data di morte, mettendo un'ipoteca sulla vita. Ha venduto, infatti, la nuda proprietà del suo appartamento. Ma forse l'ipoteca vera è che alla sua età si innamora.
A me sta simpatica Iris così com'è. Non riesco a giudicarla. Il passato è suo, ed è lei che sa quanto può aver sofferto ad andarsene lasciando sua figlia. E ancora solo lei sa quanto possa essere stato difficile tornare sotto ricatto e convivere con un uomo, il marito, che di lei pensa solo sia una puttana borghese. A me piace lei, adesso. Mi piace proprio questo suo coraggio di vivere fino in fondo. Non solo, o di più, mi ha commosso il coraggio di andare a portarlo a morire, il suo amore. Di baciarlo senza vergognarsi dell'età.
Ne parlo con Maria, Marella e Patrizia, Marina, Elke, Marco, Lavinia, Sarah, Rosanna ed Alessandra.
Secondo Marina Iris è una personcina così. A lei nulla porterebbe a scegliere un uomo ad un figlio, l'amore è un'altra cosa. È una donna che non ha contatto con la realtà. Lo ritrova solo quando si guarda allo specchio. Mi rivedo molto in questo, dice Maria, alla quale Iris è piaciuta molto. Trova che sia una persona libera. Ha cercato l'amore, andando contro gli schematismi del partito (comunista) negli anni in cui una donna adultera veniva arrestata. Ha dovuto lasciare la figlia perché il suo uomo, Michele, non la voleva tra i piedi. Ed è certa, Maria, che questa cosa sarebbe stata normale se a comportarsi così fosse stato Irino e non Iris. Purtroppo Iris era succube di Michele.
Sarah invece pensa che, se davvero fosse stata libera, non sarebbe tornata indietro. Non lo so, penso io. Troppo facile da fuori.
Anche Marco non ha una buona opinione di Iris. La trova estremamente egoista fino a quando non si ritrova vecchia. Fino a quando l'incontro col dottore di cui si innamora, non le fa rivisitare la sua vita in una nuova prospettiva. Ma resta egoista pure da vecchia, perché vende la nuda proprietà. Poi, perché si ricorda a settantanove anni di voler vivere?
A me dispiace quest'ultimo pensiero. Maria pure s'arrabbia. La difende. Dice che era una donna morta. Che non è vero che è stata egoista, semplicemente si è ascoltata. Portando il peso del dolore degli altri nel dire la verità. Poi, con la nipote non ha mai rotto. Ed è stata la figlia, con le sue religioni e i suoi moralismi stridenti, visto che aveva voluto un figlio a tutti i costi da chiunque purché l'avesse, a non volerla più.
Sì, fino a trentasette anni ha vissuto solo doveri, riconosce Marella. Poi è diventata bugiarda e cinica.
Lavinia pure pensa sia stata egoista Iris, ma di un egoismo sano. A lei questa donna è piaciuta in ogni sua età. Quello che ha voluto fare l'ha fatto. Ha detestato la figlia invece e ritiene che se lo sia meritato d'essere abbandonata al babbo (Lavinia da buona toscana dice proprio babbo). Per rispondere a Marina dice che quando uno è innamorato non è razionale. I sentimenti sono così, sono trasporto. E ti trasportano, appunto, dove vogliono. Iris per Lavinia è un esempio di speranza. È una donna da salvare, soprattutto quella che ci si rivela a settantanove anni.
Elke è stranita. Dice che detta così, mai al mondo. Ma poi magari diventa matta pure lei e le succede di innamorarsi, di prendere e andare.
Rosanna è perplessa sul rapporto madre figlia. È un rapporto anaffettivo, nessuna delle due poteva pretendere qualcosa dall'altra. Dal punto di vista femminile è un fallimento assoluto il loro legame. Per rispondere a Sarah dice che sì, Iris è tornata, ma è restata lì punita. Mentre del rapporto con Carlo, il dottore, suo ultimo amore, pensa che funzioni perché non hanno nulla da perdere, davvero. Carlo sta morendo. Gli ci vuole un testimone, l'ha scelto: Iris. Un'affinità elettiva mentale la loro. Iris è restata devota a quella scelta.
Solo a Patrizia è stata simpatica la figlia di Iris. Meno male, povero personaggio.

VII edizione, anno di lettura 2014 - 2015

La VII edizione avrà inizio l'11 settembre 2014 e l'incontro sarà d'autore. Verrà a trovarci Donatella Di Pietrantonio, con lei parleremo di Bella mia.

Il libro per le vacanze è Una mutevole verità di Gianrico Carofiglio e lo discuteremo il 22 settembre.

Buona estate con i libri :)

lunedì 9 giugno 2014

Sorelle, Lidia ravera

Sorelline, sorellastre, sorelle. Un crescendo di sorellanza questo libro suddiviso in tre parti.
Le sorelline si scrivono lettere dopo che una è scomparsa per ottenere attenzione dall'altra. Le sorellastre finiscono col rotolare giù da una scarpata in auto, forse suicide. Le sorelle si accompagnano mentre una delle due va incontro alla morte per cancro.
Ho appena vissuto una forte esperienza di fratellanza, quando leggo questo libro. Forse il tronco, eccolo. Ma è solo un caso che siano tutti miei fratelli. Appena un mese fa ho vissuto un'esperienza di morte per cancro. Non era mia sorella, avrei voluto restarle accanto nella vita, non mentre se ne andava. Eppure sento che è lì che siamo diventate sorelle. Mi commuovo mentre ne parlo con Maria, sarah, Lavinia, Patrizia e Marella, Sara, Marco, Marina ed Elke.
Per Sarah è un libro troppo cinico. Sembra che l'autrice abbia fretta di disfare ogni famiglia. Sara, senza acca, non aveva pensato al cinismo invece, ma ad un vissuto personale. Ma si può scrivere di storie di amiche come fossero tue, interviene Maria. Le ha dato fastidio la mia definizione di tronco, perché lei si è sempre sentita sola. La sua famiglia sono i suoi amici. Non si tratta di cinismo qui, in questo libro, dice. Piuttosto di assenza di stereotipi. La prima parte del libro l'ha trovata fastidiosa, lei scrive di pancia. Eppure via via, anche il primo racconto diventa toccante, umano. Nella seconda storia invece la sorellastra è talmente diversa che le è parsa costruita. E anche se Marina ritiene che proprio perché sorellastre, quindi con un sol genitore in comune, la differenza sia credibile, Maria pensa che si tratti solo di una costruzione letteraria di tipologie di sorelle. E solo la terza sia quella possibile.
Elke ci ha messo un po' a capire che si trattava si storie staccate, che l'una non era il proseguimento dell'altra e poi dell'altra ancora. Essendo figlia unica, fa fatica a capire la condizione di sorella.
Discutiamo ancora del primo racconto, pur essendo quello che ci è piaciuto meno. Forse perché gli altri due alla fine sono più comprensibili, per quanto possa essere comprensibile la morte. Vengono sotto accusa i genitori, eppure la gran parte di noi presenti è già genitore. Quello che ho imparato a fare, col peso della distanza, è cercare ragioni più che colpe. Maria è d'accordo con me. Se si cercano ragioni ci si spiega anche certe assenze, certi vissuti. Senza giustificare. Non è automatico che se i genitori si comprtano in un certo modo i figli poi fanno diversamente.
A Marco il libro non è piaciuto. Per lui non ci sono rapporti familiari prima che se li costruisse. Nel libro ha trovato cose poco credibili. Secondo lui i rapporti in una famiglia sono più difficili dentro che fuori. Dentro c'è più pudore. Quel pudore l'ha vissuto e se lo porta dietro. Quello che ha imparato è che i rapporti non si possono delegare.
Marella alla prima pagina avrebbe voluto suicidarsi. Patrizia, ancora il primo racconto, l'ha trovato cinico e graffiante. Però le è piaciuto che potesse succedere una cosa così.
Lavinia dice che si sente fortunata dopo aver letto il libro. Fortunata del rapporto col fratello e con la sorella e si augura di trasmettere ai figli, se ne avrà, questo senso di appartenenza che è dentro la sorellanza e la fratellanza.
Rosanna infine ricorda che fare i genitori è un prendersi. Poi, dipende anche dal film che ti sei fatto, figlio o genitore. Il tronco comune? Per lei è stato avere dei genitori di cui occuparsi ed esserci, a prescindere, per suo fratello.

giovedì 1 maggio 2014

la stupida paura di un libro

Il libro Sei come sei di Melania Mazzucco, letto dal gruppo, è stato oggetto di denuncia. In un liceo romano era stato suggerito come lettura per trattare la diversità di orientamento sessuale. Alcuni genitori non hanno apprezzato, i ragazzi pare invece che sì. 
Senza voler entrare nel moralismo implicito e rispettando le opinioni di tutti, vorrei quanto meno difendere il tenore del libro. E' stato definito 'scabroso e pornografico'. E' evidente che le accuse derivano da chi il libro non l'ha neppure sfogliato. Non c'è alcuna scabrosità, tanto meno pornografia. E' un libro che racconta la storia di una formazione e di una filiazione. Ci sono parti delicatissime, quasi commoventi, di un innamoramento.Così belle che non si pensa neppure se è di un amore etero od omosessuale.
 Di Sei come sei è stato tralasciato tanto, volutamente. Perché è vero che si parla di una coppia omosessuale, è vero che si parla di una figlia di questa coppia, ma la cosa ancora più vera è che la storia, il viaggio, incomincia da episodi gravi di bullismo cibernetico, poi reali. Quelli sì, davvero raccapriccianti. E allora mi arrabbia che non ne sia stata fatta menzione. Ho conosciuto la sofferenza di chi è vittima di bullismo. Mi arrabbia che non si sia andati in fondo a leggerlo, questo libro, e vedere come si conclude. Pieno di speranza. Pieno di umiltà da parte della madre di uno dei bulli. Insomma finisce bene. Finisce in maniera educativa. E non è la Scuola uno dei luoghi dove si gioca la prevenzione, l'educazione?
Ho letto un intervento bellissimo di Massimo Recalcati riguardo la vicenda. Metteva l'accento sullo scempio iperedonista che ogni giorno ci invade facendo dei corpi erotici carne da macello, se c'è una salvezza dalla violenza che scaturisce da una rappresentazione tutta fallica della sessualità, essa non è nel ritorno ad un Ordine giustamente defunto, ma proprio nel libro, nella lettura, nella vita della Scuola. 

domenica 20 aprile 2014

Buona Pasqua

Dall'uovo di Pasqua
è uscito un pulcino
di gesso arancione
col becco turchino.
Ha detto: "Vado,
mi metto in viaggio
e porto a tutti
un grande messaggio".
E volteggiando di qua e di là
attraversando paesi e città
ha scritto sui muri,
nel cielo e per terra:
"Viva la pace,abbasso la guerra".
 
Gianni Rodari

lunedì 14 aprile 2014

Quo vadis, baby? Grazia Verasani

Il secondo libro che leggiamo di Grazia Verasani è quello che le ha dato successo. Giorgia Cantini è quarantenne, single. È un'investigatrice privata che fruga, per lavoro, nelle vite degli altri. E finalmente anche nella sua, quando le arriva una scatola di scarpe piena di lettere della sorella morta suicida molti anni prima. Il titolo del libro svela quasi a metà della storia il finale, anche se poi, Grazia, riesce a instillare il dubbio che ve ne possano essere altri, di finali.
Giorgia Cantini beve troppo per i miei gusti, mi chiedo come faccia a fare il lavoro che fa, a mantenere l'attenzione del pedinamento, come la discrezione della sobrietà. Ma ha troppo dolore dentro e quasi glielo perdono. Bologna in questo racconto sembra piccolissima. Tanti incontri, tante coincidenze. A tratti soffocanti se pure rivelatrici.
Ne parlo con Rosanna, Maria, Marina, Patrizia, Marella, Sarah, Alessandra, Sara, Lorenzo e Mattia, Elke.
Marco non c'è, ma fa arrivare il suo commento che conferma il suo scarsissimo interesse al libro giallo-poliziesco, anche se riconosce che questo libro, come il precedente, è scritto molto bene, quindi la storia scorre molto fluida. Eccellente nel rendere “presente” la figura della protagonista, che merita un dieci e lode. Del racconto non gli è rimasto nulla di particolarmente rilevante, se non l’introspezione veramente ottima della protagonista. Però il bacio sul cazzo floscio e umido lo ha fatto molto divertire.
Secondo Marella questo racconto è più bello dell'altro che abbiamo discusso. L'ha trovato più vivace e con più trama, ed è riuscita a capire perché Giorgia Cantini diventa come diventa dopo. Bello il rapporto con Gaia e questa non promessa in linea col personaggio, nonostante il cinismo.
Dipende anche dalle età il rapporto, dice Marina, che per il resto si trova d'accordo con Marco, e trova il libro in alcune parti scontato. In altre inutile, come nell'approfondimento della sfera sessuale del collaboratore. Sarah si focalizza sul fatto che fosse una famiglia sfortunata, quella di Giorgia. E in questo dramma lei è stata caricata di responsabilità, si sente tutta la pesantezza. Elke, più che la responsabilità, ha sentito il senso di colpa verso la sorella. Nessun senso di colpa doveva esserci, secondo Sara. Il gesto della sorella, più che di esasperazione, è stato un gioco.
Maria l'ha sentito tutto il noir, l'atmosfera. Giorgia Cantini vive di notte e vive come vive. In alcuni tratti la lettura l'ha affaticata, soprattutto il continuo arrivare di gente. A me e Marella invece sono stati i tempi e i luoghi scoordinati ad affaticare, ma Maria difende l'autrice e dice che era necessario, denota, lo scoordinamento, il carattere della donna. Per Patrizia Giorgia è bellissima.
Parliamo dell'alcoolismo, è inevitabile. Rosanna è benevola, bevono per anestesia dal dolore, dice. E su sua sorella pensa che sia morta solo come per una sfida. Fermami, fermami! Un gioco che nessuno ferma.

martedì 8 aprile 2014

Le parole per dirlo

La vita della protagonista così profondamente lacerata mi ha commossa. E il coraggio, poi, di prendere in mano ciascun brandello di quella vita e ricostruirlo. Parola per parola. 
Le parole per dirlo è il racconto di una giovane donna che rinasce, o semplicemente nasce, con la psicoanalisi. Ed è un riconoscimento altissimo a questo ramo della medicina, capace di fugare ogni scetticismo a riguardo. A cominciare dal mio, forse. Ché non tutti hanno la coscienza dell'ascolto, come l'uomo piccolo nel vicolo.
Sono convinta della importanza delle parole, ma più ancora della loro pesantezza. Ma non basta solo scovarle, trovarle. Bisogna anche emetterne il suono, perché alla fine è il linguaggio che crea la realtà. Questo libro ha l'onestà terribile di tirarle fuori tutte, le parole. Anche quelle più indicibili, che non si addicono ad una classe borghese. Dire con le parole quanto abbia pesato un aborto mancato, quello della sua vita per l'insufficiente coraggio di sua madre, ed essere condannata poi a vivere in un continuo aborto. Quanto possa essere feroce una educazione in ragione di un dio che, di sicuro, se ci ha creati, se siamo le sue creature, non ci vuole costretti nella prigione del nostro corpo.

domenica 23 marzo 2014

credi al tuo dolore

ma se dovessi non conservare il tuo regno
e, come tuo padre prima di te, giungere 
dove il pensiero accusa
e il sentimento irride
credi al tuo dolore
                     (W.H.Auden)

Poesia in epigrafe all'intervento di Lidia Ravera in Sala Borsa a Bologna.

Ieri  la scrittrice Lidia Ravera e lo psicoanalista Filippo Marinelli sono intervenuti all'ultimo appuntamento della riflessione, condotta dal centro psicoanalitico di Bologna in collaborazione con la Biblioteca Salaborsa, sulle categorie del maschile e del femminile. 

Gli appunti dell'intervento di Lidia Ravera  QUI
Gli appunti dell'intervento di Filippo Marinelli  QUI

lunedì 3 marzo 2014

Cosa sai della notte, Grazia Verasani

Siamo in pochi stasera a dire cosa sappiamo della notte. Ci sono Maria, Marella, Alessandra, Marco, Sarah ed Elke. Io dopo aver letto questo libro mi sono detta che, accidenti!, non so assolutamente nulla della notte. Della notte bolognese, poi. Un po' mi inquieta questa città che vivo e questo suo lato oscuro, è il caso di dirlo, che non conosco.
Elke, il libro, non lo ha finito. Ma ha capito. La storia è quella di Oliver, aspirante attore, gay, trovato morto.
Sarah ha riconosciuto l'autrice nel personaggio di Giorgia, e con gioia di tutti, è meno cupa. Vero, dice Maria. Adesso è solare la Verasani. Resta ipocondriaca, ma è eccezionale. E Giorgia le piace tantissimo. Onesta, sa riconoscere le sue paure, i suoi limiti. Sa comportarsi rispetto all'amore e al sesso. Sa pure quando è vigliacca. Ha una forte empatia con i gay. E trova belle le parti in cui spiega la preparazione ad un incontro. All'inizio Maria si era dimenticata cosa fosse Giorgia: un'investigatrice paziente e meticolosa, che incontra più volte le stesse persone. Già, interviene Sarah. Siamo così abituati agli investigatori americani, di azione, che i nostri ci sembrano tutti un po' tristi. In realtà i nostri sono più realistici. Per quel che riguarda la preparazione agli incontri, sempre Sarah, trova che oggi vi sia una sessualità esagerata, pericolosa. E che l'omosessualità viva spesso di ostentazione.
Marco pensa che l'autrice scriva proprio bene, anche se è un genere che non leggerebbe da solo. Ritrovare i luoghi che si conoscono, Bologna, è bello. E per rispondere a Sarah, dice che trovare un'investigatore cupo sia del tutto normale.
Anche Marella non lo avrebbe mai letto, questo libro, se avesse dovuto comprarlo. Giorgia per lei è cinica, ma le piace il rapporto che ha con Genzianella. Il suo bisogno d'amore è per soddisfare una mancanza, prosegue, e questa concezione si capisce solo arrivando in fondo alla lettura. Quindi ha provato a capirla, soltanto, senza giudizio. Maria ne è felice, anche perché Giorgia per prima non giudica. Poi, il povero Oliver è restato innocente, nonostante la merda che tocca. Ed è questo che mi sconvolge di quel mondo, o di questo mondo in generale. Che Oliver muoia per un motivo, Giorgia lo trova, va bene. Ma poteva non esserci, quel motivo. Poteva morire per niente. Infatti, secondo Marco Oliver è l'emblema della debolezza e dell'ingenuità. No, no. Maria legge la parte in cui il professore dice come fosse Oliver. Uno che avrebbe rinunciato a tutto se avesse trovato l'amore. Ha trovato la morte.

lunedì 10 febbraio 2014

Limbo, Melania Mazzucco

Un libro particolare Limbo. Una donna soldato che rientra dopo aver subito un attentato in una missione di pace e incontra un uomo misterioso. Un racconto su due piani assolutamente funzionale alla storia. Ci sono i capitoli live, quelli in diretta, e i capitoli homework, quelli dei compiti a casa, già passati. I capitoli in diretta li ho trovati coinvolgenti, quelli dei compiti noiosi e pieni di tecnicismi, ma utili a spiegare la Manuela soldato. Il personaggio principale, l'ho detto, è una donna soldato, e già questo mi piace poco. Ma non perché sia donna. Perché è soldato. La descrizione dell'amore per il fucile, ad esempio, mi ha proprio disgustato. Tuttavia devo riconoscere che l'autrice è una grande documentarista, che avrà studiato tanto per prepararsi e scrivere un libro come questo. Brava, e molto poi, a far dire ai vari personaggi ciò che si pensa della guerra. Non le ho perdonato invece lo stupro alla sorella di Manuela. Proprio non mi è andato giù che sia restato impunito e che l'unica preoccupazione della vittima possa essere stata una gravidanza non desiderata. Per fortuna il finale è denso di sentimenti e quasi riscatta le mancanze precedenti. Bella la scrittura nonostante l'assenza della punteggiatura tradizionale, o corretta.
E ora vediamo cosa ne pensano Maria, Lavinia, Sara, Sarah, Rosanna, Elke, Patrizia e Marella.
Sarah è d'accordo con me sullo stupro, lasciato passare con estrema leggerezza. Poi, della vita militare dice che dev'essere pazzesca, con la paura addosso d'essere colpiti in ogni momento. Sara pensa che quello dello stupro non sia l'unico passaggio debole. A lei, anche Mattia, l'uomo misterioso, pare eccessivo. Come se abbia cercato in tutti i modi di trovare una giustificazione, ma non ci è riuscito. Patrizia pure non lo trova giustificabile. Maria si è affaticata ad entrare nel libro per via della scrittura che ha trovato sgradevole anche esteticamente. Ha saltato i capitoli dei compiti a casa e solo così ha potuto trovare accettabile la lettura. L'ha colpita però, la capacità dell'autrice di avere tre registri, c'è anche una sezione rewind nella storia. A lei l'uomo misterioso è piaciuto perché delicato, femminile e molto vicino al lettore, più che al personaggio di Manuela. Ancora la capacità di dire di un uomo sotto scorta e tutto lo scavo del personaggio femminile che è un capolavoro con le sue fragilità infinite. A me è sembrata militare anche nell'amore Manuela. Certo, dice Maria. È impaziente come lo sono i militari, e non si può essere innamorati e impazienti allo stesso tempo.
Per Elke sono risultati pesanti anche i capitoli live. Solo alla fine si è un po' rilassata, ma non è riuscita ad immedesimarsi. Per lei è una storia inverosimile.
Lavinia non crede allo stupro, c'è un personaggio superficiale nella storia, semplicemente.
Per Marella ostacolanti le parti homework, ma poi incuriosita delle contraddizioni della donna soldato e della donna vera. L'ha colppita l'episodio delle mestruazioni che si fermano. Manuela è una che riesce ad estraniarsi rispetto alla sua parte femminile. Rosanna pensa che se Manuela non fosse diventata un soldato, sarebbe stata di sicuro una delinquente. In lei non le pare di scorgere intelligenza. È importante il titolo di questa storia, che non è solo il videogame che fanno la nipotina di Manuela e l'uomo misterioso. Limbo è un disturbo post traumatico. È il pensiero: potevo morire. E sei sempre lì con la testa. Per uscire dal limbo, dove non sei né vivo né morto, bisogna perdonarsi.
Marco è assente, ma ci ha fatto arrivare il suo commento. Il libro, contrariamente al precedente, gli è piaciuto nonostante l’inizio non gli sia parso particolarmente avvincente, anzi a tratti l'ha trovato noioso. Proseguendo, invece, trova molto brava l’autrice a tenerti attaccato alla storia fino al suo epilogo. La concretezza dei fatti, delle azioni che compiono o che subiscono i due protagonisti, determinano il percorso della loro storia. Se apparentemente questo incontro apre ad una nuova vita per entrambi i personaggi, questa sospensione porta in realtà ad una profonda riflessione sul senso degli accadimenti e della vita stessa.
Bella la teoria della divergenza, della vita che va altrove.

domenica 2 febbraio 2014

Ciao, Guido.

Ciao, Guido.

Prima di incontrarci, ci siamo incontrati senza saperlo due volte. Una volta era il 1999 e scrivevi il Leviatamo, un'amica me lo regalò. Un'altra era un'estate di circa dieci anni fa a Faenza e suonavi col Faxtet. Il jazz in quel cortile faentino mi commosse, ma ancora non avevo saputo chi eri. Poi ti ho proprio cercato, per i libri, sempre i libri, e ci siamo venuti incontro in stazione. Ti ho chiamato tra gli Itineranti e abbiamo parlato, riso e mangiato bene. Ancora sono venuta a trovarti nel candore delle copertine della Mobydick. 
Ho saputo che te ne sei andato da un messaggio di un'amica. Ho riletto la nostra ultima mail, di poco tempo fa. Prima dell'abbraccio scrivevi Meglio morire sorridendo che bestemmiando... Lo so che non bestemmiavi, Guido, quando è accaduto. Lo so. Sei una persona perbene, tu. Ci mancherai.

sabato 18 gennaio 2014

Tu, Gianrico, che hai scritto il bordo vertiginoso delle cose

Sei in ritardo di sette minuti. Montroni sta già presentandoti al pubblico quasi tutto femminile dell'Ambasciatori, mentre non ti sei ancora tolto la giacca. Ti mette di buon umore Bologna, sai dire perché? Dovresti, sei uno scrittore tu, uno che le parole le trova, quelle che mancano agli altri. Solo che, hai ragione, non è solo questo scrivere, ma il tuo personaggio ancora non lo sa e proprio non ce la fa a scrivere un altro libro. Tu invece lo sai che scrivere è avere a che fare con la verità, e sì che hai scritto più libri del tuo Enrico, e la verità è materiale pericoloso. Succede che si vanno a ripescare storie restate nascoste nel sottoscala della coscienza, penoso è poi mettere in ordine le parole per dirle.
Tu non sei Enrico, no. Non è un libro autobiografico, ma hai scritto un'autobiografia generazionale. Sei andato a ripescare nel sottoscala del Paese, accidenti! In un sottoscala, quello della lotta armata, dove sono state riposte tutte le dimensioni non chiarite, tutti i conti ancora aperti. Perché ancora te lo chiedi se c'era un'idea di violenza, pur sbagliata, o c'era, semplicemente, un vuoto di pensiero. Ti viene in mente la Arendt, il male non ha radici, il bene sì. Hai conosciuto storie vere dove si è ucciso per un banale litigio. Allora no, ne sei convinto, non ci sono radici, non c'è da capire il male, c'è da diventare pazzi sennò. Così hai scritto Celeste. Hai inventato questo personaggio, bello, che ha fatto innamorare Enrico e Salvatore, anche i lettori, e forse tu stesso te ne sei innamorato. E' il bello dello scrittore poter inventare un personaggio che avresti voluto incontrare. Hai fatto dire a Celeste cose meravigliose di filosofia, l'hai resa capace di di far vedere un mondo di passione che invece spesso resta nascosto.
A Enrico hai fatto incontrare non solo Celeste, ma anche il pescatore, anche Stefania, perché come parla un saggio orientale, quando l'allievo è pronto il maestro appare. Gli hai fatto seguire un percorso, un percorso di storie che l'ha portato fin lì, fino a Bari, il tuo specchio universale metropolitano. Ci leggi del primo bacio di Enrico. Sai una cosa, Gianrico? Come le leggi tu le tue storie non le legge nessuno. 


domenica 5 gennaio 2014

due fiori di campo

Fiore di campo nasce
dal grembo della terra nera
Fiore di campo cresce 
odoroso di fresca rugiada
Fiore di campo muore 
sciogliendo sulla terra gli umori segreti
                                          
                              (Peppino Impastato)





Peppino Impastato e Pippo Fava. Uno nasce il cinque gennaio, uno muore.